L’ipocrisia senza confini della signora Merkel

Quella di oggi viene annunciata come una giornata assai importante per il conflitto in Ucraina. Al momento i colloqui di Mosca (Merkel ed Hollande da una parte, Putin dall’altra) non sembrano aver prodotto risultati. Vedremo se l’odierna telefonata a 4 (ai 3 di Mosca si aggiungerà Poroshenko) dirà qualcosa di nuovo. (A sinistra la cartina dell’Europa nel 1989)

Nel frattempo il presidente francese ha deciso di enfatizzare questo passaggio: «Se la nostra proposta di pace fallirà, l’unico scenario è la guerra». Ma chi è il sig. Hollande per decidere della pace e della guerra? Chiaro, che insieme alla principale tedesca, egli rappresenta in questa trattativa l’Unione Europea, o meglio i paesi dell’UE che contano. Della Mogherini non si hanno infatti notizie…

Ma, più in generale, che razza di trattativa è? Nessuno si è accorto che al tavolo mancano i rappresentanti del Donbass? Certo, nella visione occidentale Putin li rappresenta, ma ovviamente le cose non sono così semplici.

Il fatto è che i colloqui in corso hanno una natura un po’ particolare. Giocando con il fuoco, appoggiando fino in fondo i golpisti nazistoidi di Kiev, schiacciandosi del tutto sulla logica espansionista e guerrafondaia della Nato (e di Washington) l’UE si è infilata in una situazione assai complicata, rendendo così probabile lo sbocco evocato proprio da Hollande.

Sembra quasi che gli europei scoprano solo oggi che il loro giocare alla guerra possa davvero portare ad una guerra con la Russia. Ma come evitarlo questo conflitto se ci si rifiuta di guardare in faccia la realtà? Non si riesce proprio a capire come la crisi possa essere risolta senza partire dal riconoscimento di 3 fatti: 1) che l’Ucraina così come uscita dalla dissoluzione dell’Urss nel 1991 è solo un’improbabile costruzione geografica; 2) che l’espansione della Nato verso est non può essere accettata dalla Russia; 3) che il principio dell’autodeterminazione dei popoli deve valere anche per le popolazioni dell’Ucraina sud-orientale.

Sul primo punto c’è poco da aggiungere a quel che tutti sanno. Le frontiere dell’Ucraina potevano avere un senso finché si trattava di una repubblica interna all’URSS, mentre esse non potevano reggere alla lunga in uno Stato indipendente, tanto più nel momento in cui il governo centrale è stato conquistato da forze revansciste e russofobe che hanno subito chiarito di non voler rispettare i diritti delle minoranze etniche e linguistiche.

Sul secondo – l’espansione della Nato – basta provare ad immaginarsi cosa direbbero gli Usa se, per ipotesi, il Messico decidesse di ospitare basi e truppe russe. Forse Washington non reagirebbe? Ora, la Nato – che qualcuno descriveva come “alleanza difensiva” – è già ai confini della Russia. Ben lungi dallo sciogliersi, così come avvenuto un quarto di secolo fa per il Patto di Varsavia, essa non ha fatto altro che espandersi. Hanno torto i russi a sentirsi minacciati?

E sul terzo punto, cosa dice l’Europa? In nome del diritto all’autodeterminazione si è voluta imporre la dissoluzione della Jugoslavia, ottenuta col sangue ed in ultimo con i bombardieri della Nato. Che forse la popolazione del Donbass non deve avere gli stessi diritti di quelli riconosciuti dall’occidente ai narcotrafficanti del Kosovo?

Finché gli europei non vorranno riconoscere questi 3 dati di fatto, ogni loro iniziativa risulterà disonesta e velleitaria.

E non a caso, infatti, ad oggi la cifra della politica europea è l’ipocrisia. Ieri tutte le agenzie hanno battuto questa frase della Merkel: «I confini europei sono e devono restare inviolabili». Già, quali confini? Quelli del 2015? E perché non quelli del 1989? O del 1991? O anche solo del 1999?

Nella storia ognuno ha i suoi “sacri confini”, quelli che più gli convengono. Che spesso non coincidono con quelli di altri, che magari hanno più ragioni e diritti da far valere. Anche negli anni ’80 del secolo scorso i confini europei erano un tabù, ma se così fossero rimasti la signora Merkel sarebbe oggi una cittadina della Ddr. Dunque, almeno in questo caso, dovrebbe essere la prima a tacere.

In pochi anni, dalla dissoluzione di tre paesi (URSS, Jugoslavia e Cecoslovacchia) sono nati 24 nuovi stati. Hai voglia se i confini si sono mossi! E, mentre si muovevano, la Nato si spingeva sempre più ad est.

Oggi gli squartatori della Jugoslavia, coloro che non hanno esitato un attimo a soffiare sul fuoco di ogni secessionismo, coloro che pur di fare a pezzi quel paese hanno scatenato la prima vera guerra europea dopo il 1945, scoprono l’«inviolabilità dei confini».

Si dirà che è solo questione di punti di vista. Può essere, ma allora perché non rivalutare Andreotti, che amava dire: «amo tanto la Germania, che ne preferisco due»?