La «pace cartaginese» che l’Europa vuole imporre alla Grecia
Ultimatum. Questa la parola più usata nei titoli dei giornali di stamattina per descrivere l’esito della riunione di ieri dell’Eurogruppo. A dispetto degli «euro-ottimisti» a prescindere, quelli che tanto «un’intesa si trova», perché «rompere non conviene a nessuno», al posto dell’accordo c’è stata la rottura. Ed, appunto, l’ultimatum europeo alla Grecia.
Questo significa che sia da escludere un qualsiasi accordo nei prossimi giorni? Non necessariamente, ma significa quel che abbiamo detto anche pochi giorni fa, proprio in vista della riunione di ieri:
«Cosa ne uscirà non lo possiamo sapere, ma di sicuro non cambieranno i termini generali del problema, neppure se dovesse uscirne un temporaneo compromesso. In quel caso, esso servirebbe solo a prender tempo, ma senza possibilità alcuna di composizione di un conflitto alla fine del quale ci saranno vinti e vincitori. Il pareggio, in questi casi, non è proprio contemplato».
Ma cosa ha proposto l’Eurogruppo al governo di Atene? Gli ha proposto semplicemente la resa senza condizioni. Evidentemente è questa la famosa “flessibilità” europea di cui straparla Renzi…
Sentiamo il parere di Krugman
Sul significato politico, prima ancora che economico, di quanto avvenuto diamo la parola a Paul Krugman, che sul suo blog sul New York Times ha scritto:
«OK, tutto ciò è incredibile, e non nel senso buono del termine. I colloqui dei Greci con i Ministri delle Finanze [dell’Eurozona] si sono interrotti su questo “progetto di dichiarazione”, che i Greci hanno descritto come “assurdo”. E’ un’affermazione rimarchevole. Ecco, secondo me, la frase-chiave:
“Le autorità greche si impegnano a garantire degli adeguati avanzi primari di bilancio per finanziare il debito [pubblico] e quindi garantirne la sostenibilità, in linea con gli obiettivi concordati in occasione della dichiarazione dell’Eurogruppo del Novembre 2012. Tutte le nuove misure, inoltre, devono essere finanziate, senza mettere in pericolo la stabilità finanziaria”.
Traduzione (se date un’occhiata alla dichiarazione dell’Eurogruppo del 2012): non facciamo alcuna concessione riguardo l’avanzo primario, che dovrà essere del 4,5% del PIL.
Non c’era assolutamente alcun modo perché Tsipras e C. potessero firmare una tale dichiarazione, vicenda che ci fa chiedere se i Ministri dell’Eurogruppo siano consapevoli di quello che stanno facendo.
Credo che sia possibile che siano solo degli sciocchi – ovvero che non si rendano conto che la Grecia del 2015 non è l’Irlanda del 2010, e che questo tipo di bullismo non funzionerà.
In alternativa, e più probabilmente, credo che abbiano deciso di spingere la Grecia al di là del bordo. Invece di fornire un qualsivoglia motivo [alla loro decisione], preferiscono vedere la Grecia costretta al default e, probabilmente, fuori dall’euro, con il presumibile naufragio economico da considerare come una lezione impartita a chiunque altro stia pensando di chiedere aiuto.
Starebbero pensando d’imporre [alla Grecia], in altre parole, l’equivalente economico di quella “pace cartaginese” che la Francia cercò d’imporre alla Germania, dopo la Prima Guerra Mondiale.
In entrambi i casi la mancanza di saggezza è sia sorprendente che spaventosa». (traduzione di FRANCO per comedonchisciotte.org)
Una partita mortale
Il ragionamento di Krugman non fa una grinza. Specie laddove conclude sul fatto che il blocco eurista abbia ormai deciso di spingere la Grecia «al di là del bordo». Una decisione che punta dunque ad accelerare i tempi, in modo da rendere più difficile al governo Tsipras la gestione del necessario sganciamento dall’euro.
Palesemente, per costoro l’obiettivo è quello di «dare una lezione» ai greci, colpevoli di avere votato per un cambio politico vero, contro l’austerità e per la fine del commissariamento della troika. Per l’Europa l’austerità non può terminare perché quel che gli interessa è la tutela dei creditori. Ma soprattutto non può finire il commissariamento, vera garanzia della nullificazione del voto del 25 gennaio.
In ballo non è dunque soltanto la politica economica di un governo legittimamente eletto, in gioco è la stessa democrazia. Tutto ciò dovrebbe essere chiaro anche ai sassi, anche se temiamo che invece non lo sia affatto a molti degli tsiprioti italiani che ancora storcono il naso quando sentono parlare di «sovranità nazionale».
Costoro, credendo magari di pensare in grande, vendono ancora la panzana del «cambiamento dell’Europa», un’ipotesi meno realistica della riforma della CIA. Una cattiva utopia che i fatti si incaricano di smentire un giorno sì e l’altro pure. Dimostrando in maniera lampante che l’unica prospettiva percorribile è quella dello sganciamento dal regime dell’euro, da realizzare per scelta e non per costrizione, accompagnata da un pacchetto di misure economiche e sociali che pongano fine al liberismo, alla disoccupazione ed all’impoverimento crescente.