Leggendo le conversazioni segrete di Hitler si può capire dove andrà a parare la Germania odierna
I regimi cambiano ma le linee di fondo geopolitiche degli stati restano quasi sempre le stesse.
La tracotanza delle classi dominanti tedesche al tavolo negoziale di Bruxelles sulla questione greca non si spiega solo ricorrendo alle origini luterane della loro cultura. Si può comprendere piuttosto alla luce delle costanti della politica di potenza tedesca. Da Federico II il Grande alla cancelliera Merkel, passando per Bismarck prima e per Hitler poi, sono evidenti e medesime le tendenze espansionistiche.
Com’è ovvio nessun regime confessa i suoi appetiti, tanto più se sono imperialistici. Sono di norma le guerre la cartina al tornasole attraverso cui l’implicito diventa esplicito, ciò che è latente si disvela e viene alla luce. Il fatto che la Germania odierna sviluppi la sua politica di potenza non facendo ricorso alle armi ma facendo leva sulla sua supremazia economica e una aggressiva politica mercantilistica, trae in inganno i più.
Da Bismarck in poi, in effetti, l’espansionismo militare germanico ha sempre fatto seguito ad una strategia economica mercantilistica. Oggi l’ordine dei fattori sembra invertito. E’ tuttavia un dato di fatto storico che se una potenza imperialistica viene contrastata, se i suoi mercati di sbocco tendono a sfuggirgli, essa prima o poi sviluppa la sua potenza bellica e s’incammina sul sentiero della guerra guerreggiata.
La posizione punitiva e oltranzista di Berlino verso la Grecia non dev’essere fraintesa. Oggi come ieri non è il Mediterraneo il boccone succulento che brama davvero l’imperialismo tedesco, ma le praterie euroasiatiche, Russia in primis — e di cui Polonia, baltici e Ucraina sono solo dei ponti. Ma per lanciarsi ad Est Berlino deve oggi, come il Terzo Reich ieri, non avere nemici né ad Ovest né a Sud. Hitler prima di marciare su Mosca dovette coprirsi le spalle ad Occidente, e lo fece — non senza prima essersi assicurata la benevolenza russa col Patto Ribbentrop-Molotov — annientando militarmente la Francia.
Allora perché la Merkel tiene duro contro i greci, fino al punto di spingerla fuori dall’eurozona? Berlino deve “spezzare le reni” alla piccola Grecia per ribadire, anzi irrobustire, la sua supremazia, non più solo economica ma politica, sull’Europa occidentale, ed avere quindi mani libere ad Est.
Oggigiorno l’Unione europea e la moneta unica sono i ferri con i quali la Germania soggioga e incatena a sé la Francia e tutti i suoi alleati. Non è di poco conto che, proprio in virtù della acquisita supremazia ad Occidente, all’altro e strategicamente più importante tavolo negoziale, quello di Minsk sul conflitto ucraino-russo, la Merkel (accompagnata dal vassallo Hollande) e non Obama sia stata, assieme a Putin, il vero dominus.
Dicevamo che nessuno Stato-potenza svela, nei tempi di pace, ovvero quelli tra un conflitto e l’altro, i propri appetiti espansionistici. Hitler, contrariamente a quanto si pensa, fu un maestro nell’arte dell’occultamento dei suoi piani di aggressione. La famigerata Conferenza di Monaco del settembre 1938, con la quale ottenne da inglesi, francesi e italiani l’autorizzazione ad annettersi (dopo l’Austria) la Cecoslovacchia, fu anche il frutto della sua memorabile abilità nell’ingannare i suoi interlocutori.
I tedeschi sono notoriamente scrupolosi. Con maniacale meticolosità Hitler e i gerarchi nazisti vollero rubricare e verbalizzare anche le discussioni informali tra di loro. Grazie a queste sappiamo non solo che tutti i piani di aggressione erano stati pensati e e preparati fin nei dettagli molti anni prima dello scoppio della seconda guerra mondiale; abbiamo un’immagine icastica di quale fosse realmente il disegno strategico del grande capitalismo tedesco che sosteneva il regime nazista.
Chi trova esagerato quanto noi affermiamo, che cioè esista una linea di continuità tra l’attuale geopolitica tedesca e quella nazista, dovrebbe leggere con attenzione quanto affermò Hitler nelle sue conversazioni coi suoi più stretti collaboratori. Al netto delle farneticazioni razziali (Herrenvolk) e dei deliri di onnipotenza hitleriani, questa linea di continuità ed una certa peculiare “essenza” del capitalismo tedesco, emergono con chiarezza.
Vi lasciamo alla lettura di questi brevi estratti ricavati dalle Conversazioni segrete di Hilter, non senza prima segnalare che questa “essenza peculiare” consiste, messi da parte certi luoghi comuni europeisti, proprio in un sostrato nazionalista che sfocia nell’esterofobia e nello sciovinismo conclamato. Questo sostrato, certo, si manifestava nell’hitlerismo in forme parossistiche se non addirittura paranoiche (vedi il viscerale antisemitismo). Tuttavia, per comprendere quanto conti, nella psicologia dell’élite tedesca l’amorevole adesione dei propri sudditi — quanto quindi pesi per la Merkel il sostegno dei suoi connazionali, la cui dimensione è direttamente proporzionale alla spietata durezza che ostenta col popolo greco — vale la pena riportare quanto Hitler affermò nel marzo del 1942:
«…l’ultimo degli apprendisti, il più modesto dei carrettieri tedeschi, è più vicino a me che non il più importante dei lord inglesi». [1]
Sarebbe sbagliato sottovalutare, malgrado i reiterati proclami di fede globalistici e cosmopolitici delle classi dominanti tedesche, quanto insomma pesi, nella psicologia di quelle élite, il Deutschtum, la germanitudine.
Se si va alle radici di certo pensiero politico nazionalistico tedesco non c’è solo il reazionario Carl Schmitt col suo concetto geopolitico di Grossraum, che egli non a caso declinava come “comunità pluralistica di liberi popoli”. C’è Herbert Backe, che enunciò la tesi del Grossraumordung, come premessa del predominio imperialistico tedesco non solo ad Est ma anche ad Ovest (Nahrungsfreiheit). E come dimenticare F.A. Six, uno dei massimi e più arguti teorici della politica estera nazista? Egli vedeva «nella concentrazione delle forze economiche europee sotto l’egida del Reich l’attuazione del principio della solidarietà europea».
Appunto. Europeismo si può declinare in modi molto diversi, quello nazista compreso, che è la versione estrema ed in tempi asprissimi, della politica egemonica tedesca. Una politica egemonica connaturata a quello che riteniamo sia il Quarto Reich, quello che ha avuto i suoi natali con il crollo del Muro di Berlino e quindi l’annessione della Germania orientale.
Ed ecco cosa affermava Hitler….
«Lo spazio russo è la nostra India. Come gli inglesi, noi domineremo questo impero con un pugno di uomini» [2] «la sicurezza dell’Europa non sarà assicurata se non quando avremo ricacciato l’Asia dietro agli Urali». [3]
«La Romania farebbe bene a rinunciare nei limiti del possibile ad avere un’industria propria. A questo modo dirigerebbe le sue ricchezze del suo suolo e, specialmente il grano, verso il mercato tedesco. In cambio riceverebbe da noi i prodotti manifatturati di cui ha bisogno. La Bessarabia è un vero granaio. Così scomparirebbe quel proletariato [industriale, Ndr] romeno che è contaminato dal bolscevismo». [4]
L’11 aprile 1942, nell’euforia delle prime folgoranti vittorie, Hitler, sintetizzò la politica tedesca in questi termini:
«Per dominare i popoli che abbiamo sottomessi nei territori a est del Reich, dovremo di conseguenza rispondere nella misura del possibile ai desideri di libertà individuale che essi potranno manifestare, privarli dunque di qualsiasi organizzazione di Stato e mantenerli così a un livello culturale il più basso possibile.
Bisogna partire dal concetto che questi popoli non hanno dovere che servirci sul piano economico. Il nostro sforzo deve dunque consistere nel trarre dai territori che essi occupano tutto quanto se ne può trarre. Per impegnarli a consegnarci i loro prodotti agricoli, a lavorare nelle nostre miniere e nelle nostre fabbriche d’armi, li adescheremo aprendo un po’ dappertutto spacci di vendita nei quali potranno procurarsi i prodotti manifatturati dei quali abbisognano.
Se vogliamo preoccuparci del benessere individuale di ognuno, non otterremo alcun risultato imponendo loro un’organizzazione sul modello della nostra amministrazione. In tal modo non faremmo che attirarci il loro odio. Infatti, quanto più gli uomini sono primitivi, tanto più avvertono come una costrizione insopportabile qualsiasi limitazione della loro libertà personale. Dal nostro punto di vista, l’altro difetto di una tale organizzazione sarebbe di fonderli in un blocco unico, di dar loro una forza di cui si servirebbero contro di noi. In fatto di organizzazione amministrativa, il massimo che si possa loro concedere è un’amministrazione comunale, e unicamente nella misura in cui ciò è necessario al mantenimento di un determinato potenziale di lavoro, ossia il potenziale indispensabile ad assicurare i bisogni elementari dell’individuo.
Ma, nel creare tali comunità di villaggi, dovremo procedere in modo che delle comunità vicine non possano fondersi tra loro. Per esempio, avremo cura di evitare che una chiesa unica serva un ampio territorio. Insomma il nostro interesse sarebbe che ogni villaggio avesse la propria setta, che coltivasse la propria nozione di Dio. E se, come gli indiani e i negri, alcuni avessero a celebrare culti magici, non ci dispiacerebbe affatto. Dobbiamo moltiplicare, nello spazio russo, tutte le cause di divisione.
Solo ai nostri commissari spetterà di sorvegliare e dirigere l’economia dei paesi conquistati – e ciò che ho detto deve applicarsi a tutte le forme di organizzazione. E, soprattutto, che non si veda spuntare la ferula dei nostri pedagoghi, con la loro mania di educare i popoli inferiori e la loro mistica della scuola obbligatoria! Tutto quanto i russi, gli ucraini, i kirghisi potessero imparare a scuola (non fosse altro che a leggere e scrivere) finirebbe per volgersi contro di noi. Un cervello illuminato da alcune nozioni di storia giungerebbe a concepire alcune idee politiche, e questo non andrebbe mai a nostro vantaggio. Meglio installare un altoparlante in ogni villaggio: dare alcune notizie alla popolazione, e soprattutto distrarla. A che servirebbe darle la possibilità di acquisire cognizione nel campo della politica, dell’economia? La radio non dovrà impicciarsi di offrire ai popoli sottomessi conversazioni sul loro passato storico. No, musica, e ancora musica! La musica leggera provoca l’euforia del lavoro. Forniamo a quella gente l’occasione di ballare molto, e ce ne sarà riconoscente. Da noi, l’esperimento è stato fatto al tempo della Repubblica di Weimar: è dimostrativo (…)
La sciocchezza più grande che potremmo fare sarebbe di distribuire armi in quei territori. La storia insegna che tutti i popoli conquistatori sono finiti male per aver dato armi ai popoli che avevano sottomesso». [5]
NOTE
[1] Adolf Hitler, Conversazioni segrete, Napoli 1954, pp. 155-156.
[2] Adolf Hitler, Conversazioni segrete, Napoli 1954, p. 37.
[3] Adolf Hitler, Conversazioni segrete, Napoli 1954, p. 44.
[4] Adolf Hitler, Conversazioni segrete, Napoli 1954, p. 16.
[5] Adolf Hitler, Conversazioni segrete, Napoli 1954, pp. 450-453