ULTIM’ORA (ore 18:30 di domenica 8 marzo)
Avevamo da poco pubblicato l’articolo qui sotto che le agenzie hanno battuto la notizia: «L’Eurogruppo boccia le riforme greche… per il presidente Dijsselbloem la “lista delle riforme è lontana dall’essere completa. Nessun prestito a marzo».

Chi gridava al “grande tradimento di SYRIZA”, quelli che davano già per conclusa la partita greca, dovrebbero leggere l’intervista rilasciata al Corriere della Sera da Yanis Varoufakis, in particolare l’affermazione che il governo di SYRIZA potrebbe non solo convocare nuove elezioni ma un referendum sulla permanenza nell’eurozona.

Un’altra, astuta mossa, nella complessa partita a scacchi che Atene sta giocando con l’Unione europea e anzitutto la Germania. Lunedì, a Bruxelles, l’Eurogruppo (i ministri finanziari dell’eurozona) dovrà infatti decidere sulle sette proposte [1] avanzate dal governo greco per affrontare l’emergenza dei prossimi mesi — Atene ha a mala pena i quattrini per pagare pensioni e stipendi dei dipendenti pubblici il prossimo mese.

Il grosso delle sette proposte che il governo SYRIZA sottoporrà al vaglio di Bruxelles (in cambio di “aiuti”), sono un disperato tentativo di dare una botta al cerchio e una alla botte, andando incontro ai diktat degli eurocrati senza tuttavia deludere le aspettative di cambiamento dei greci. E’ molto probabile, come anticipa il Financial Times, che l’Eurogruppo respinga il piano greco, che quindi non concederà ad Atene alcun prestito.

Anche ove le sette proposte ricevessero il semaforo verde di Bruxelles, esse non sarebbero che pannicelli caldi. Varoufakis lo sa meglio di chiunque altro, sa che la Grecia non potrà mai uscire dall’abisso senza una forte ristrutturazione del debito, un piano d’investimenti su larga scala e un miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini (quindi un ruolo attivo dello Stato). Tre condizioni che la Merkel e la sua corte di Quisling di periferia non accetteranno mai. Varoufakis vede dunque altrettanto chiaramente che una rottura definitiva con l’eurozona potrebbe essere inevitabile già nei prossimi mesi, forse nelle prossime settimane.

Si dimostra dunque azzeccato quanto scritto a caldo da Pasquinelli, che l’accordo siglato all’ultimo Eurogruppo, per quanto odioso, era non solo aleatorio ma solo il primo tempo della partita, di qui il giudizio:
«Escludo che SYRIZA, dopo il primo cedimento a cui è stata costretta (certo, anche per insipienza e codardia) accetti di farne un secondo, che sarebbe fatale, diventando il boia incaricato di inchiodare sulla croce il proprio popolo. Non potendo che rifiutare questo macabro ruolo, il governo Tsipras, o farà le valige mandando i greci alle urne (col rischio del caos sociale e politico totale e dagli esiti davvero catastrofici), o sarà obbligato a gestire il default e l’uscita unilaterale dall’eurozona». [2]

Quantitative easing (Qe): un miraggio per l’Italia?

Il destino dell’eurozona dipende anche, oltre che dall’esito della partita greca, dal quello della mossa della Bce. Tra le due cose c’è una stretta relazione. Che Berlino alla fine abbia fatto buon viso a cattivo gioco, accettando la mossa di Draghi, potrebbe addirittura spiegarsi anche in questa luce: come un gesto preventivo per parare il colpo dell’eventuale e messa in conto uscita della Grecia.

Abbiamo già detto [3] che il Qe consiste nell’ennesimo tentativo di salvare le banche e di sfamare i mercati finanziari dove la speculazione la fa da padrona, col rischio collaterale di suscitare prima o poi una bolla, alla quale quasi sempre segue il crack. Per nulla secondario il fatto che per l’80% del rischio sugli acquisti di titoli se lo assumeranno le Banche centrali nazionali, a conferma che è passata la concezione tedesca della “solidarietà europea”.

Non è detto che il Qe di Draghi sortisca salutari ed omogenei effetti per le diverse economie europee. La logica mercantilistica che sottende al Qe (io produco per esportare e vendere, ma non compro e non importo) non può infatti premiare tutti allo stesso modo e allo stesso tempo. Morya Longo su Il Sole 24 Ore di ieri, 7 marzo, conferma i timori di molti analisti per cui per l’economia italiana non cambierà molto. Il Qe avvantaggerà solo le banche, le grandi aziende multinazionali, e quelle per cui l’export rappresenta il grosso dei loro fatturati. Per le aziende solide (quelle che hanno un’alta affidabilità creditizia) ci dice Longo, c’è già troppa liquidità in circolazione: “… oggi possono ottenere fondi sul mercato obbligazionario (o anche in banca) praticamente illimitati pagando interessi intorno allo zero. O addirittura sotto”.

Longo ci ricorda che solo 80 grandi aziende hanno bond sul mercato finanziario internazionale (cioè piazzati e transati nelle borse), per un valore di 174 miliardi, poco o niente se si considera che il totale del credito bancario al settore privato ammonta in Italia a 1.556 miliardi.

Il punto è capire quanta della liquidità fornita dalla Bce, riuscirà ad arrivare alle piccole e medie imprese, “… piccole e medie imprese che creano l’80% dei nuovi posti di lavoro e che dall’inizio della crisi hanno perso 580 miliardi di euro di credito bancario (100 dei quali in Italia)”.

I segnali, malgrado il Qe fosse annunciato da tempo, non indicano un’inversione di tendenza seria rispetto alla stretta creditizia: a gennaio 2015 il credito bancario al settore privato risulta infatti sceso del 2% rispetto al gennaio 2014.

Per farla breve: le banche — che sono nell’attuale sistema l’intermediario obbligato tra la Banca centrale e le aziende —, col motivo che sono zavorrate da 183 miliardi di euro di crediti inesigibili o in sofferenza, continuano a trattenere la liquidità fornita dalla Bce per restare ben capitalizzate invece che farla fruire verso le piccole e medie aziende.

Che le cose cambino noi ne dubitiamo. Al netto delle aziende che hanno chiuso i battenti a causa del micidiale mix di recessione e politiche austeritarie, il grosso di quelle che sopravvivono con estreme difficoltà, ovvero quelle che producono per il mercato interno, data la deflazione, saranno considerate “inaffidabili” dalle banche e non riceveranno il becco di un quattrino, e quelle che li riceveranno, li useranno per appianare i debiti prima che per investimenti.

Per concludere

L’economia italiana potrebbe conoscere (non l’abbiamo mai escluso) nel 2015, un’uscita dalla fossa rappresentata da recessione+deflazione. Ma essa sarebbe flebile e forse solo temporanea, trainata solo dall’export. Una ripresa su larga scala presupporrebbe infatti una scelta decisa per accrescere la “domanda aggregata” — investimenti+consumi+spesa pubblica —, tre condizioni che non possono essere soddisfatte se non facendola finita non solo con le politiche austeritarie ma pure con i dogmi neoliberisti, primo fra tutti che tutto è deciso dai mercati e lo Stato non si deve impicciare d’economia ma limitarsi a dirigere il traffico della globalizzazione.

La qual cosa implica ( va da sé ma repetita juvant) venir via dalla gabbia eurista, stracciare i Trattati europei, da Maastricht al Fiscal compact, quindi l’abbandono dell’euro ed il ritorno alla sovranità monetaria, leva primaria di politica economica proattiva di ogni Stato.

NOTE

[1] «Nei giorni scorsi il ministro greco delle finanze Yanis Varoufakis ha inviato a Jeroen Dijsselbloem, presidente dell’Eurogruppo nonché ministro delle Finanze dell’Olanda, le proposte di riforme economiche. La Grecia proporrà all’Eurogruppo di rivedere la procedura attraverso la quale negozia le riforme con l’Ue. Non solo misure anti evasione, ma anche iniziative per affrontare la crisi umanitaria in Grecia e così alleviare la povertà estrema nel breve termine. Quindi l’introduzione di buoni pasto, misure per garantire energia elettrica e assistenza abitativa. Per tutto ciò Atene stima un costo complessivo di 200,29 milioni di euro. Poi c’è la riduzione della burocrazia e ulteriori iniziative per promuovere il clima economico attraverso il miglioramento della qualità dei servizi.
Per quanto riguarda le sette proposte economiche riguardano l’istituzione di un ‘Consiglio fiscale’ che si occupi dei tagli alla spesa pubblica, un nuovo metodo di stesura della legge di bilancio, lotta all’evasione, riforma fiscale, riduzione della burocrazia e interventi per alleviare la “crisi umanitaria” nella quale è precipitata la Grecia. In Grecia gli arretrati fiscali ammontano a 76 miliardi di euro, di cui 23,56 miliardi ante 2009. L’agenzia delle entrate ellenica sostiene che gran parte della somma antecedente al 2009 non può essere recuperata mentre, alla luce dell’attuale situazione economica in Grecia, dei 76 miliardi totali, possono essere recuperati solo 8,9 miliardi di euro. In cantiere anche un nuovo piano per emettere licenze alle aziende di gioco d’azzardo online. In questo modo Atene punta a raccogliere 500 milioni di euro l’anno».

[2]  GRECIA: E ORA? di Moreno Pasquinelli. 24 febbraio 2015

[3] Per approfondimenti sul Quantitative easing su SOLLEVAZIONE puoi leggere:
COME FUNZIONA DAVVERO IL QE DELLA FED di Edward Harrison. Marzo 2011
LA MOSSA DI DRAGHI. Sul Quantitative easing alla tedesca di Moreno Pasquinelli. 6 aprile 2014
PRIMO: SALVARE LE BANCHE! Il Qe di Mario Draghi di Leonardo Mazzei. 20 dicembre 2014
TE LO DO IO IL QUANTITATIVE EASING! di Leonardo Mazzei. 28 dicembre 2014
“QUANTITATIVE NOTHING”: IL BLUFF DI DRAGHI di Sergio Cesaratto. 15 gennaio 2015
QUANTITATIVE EASING: CRESCITA O BOLLA? di Leonardo Mazzei. 23 gennaio 2015
QE: SEMPRE DI NEOLIBERISMO PARLIAMO di Luciano B.Caracciolo. 25 gennaio 2014

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