Jacques Sapir misura la “svalutazione interna” che sarebbe necessaria per restare nell’euro

L’articolo di Sapir che potete leggere di seguito è particolarmente utile. Nel caso dell’Italia (ma anche della Grecia) i calcoli dell’economista francese dimostrano due cose. La prima è la pesante svalutazione salariale (almeno il 20%) necessaria a rimanere nell’euro: chi pensa che i sacrifici per la moneta unica siano finiti è servito. La seconda è che, qualora si optasse invece per il ritorno ad una moneta nazionale (come noi sosteniamo), la svalutazione monetaria non sarebbe superiore a quella del 1992.

La differenza tra queste due alternative è enorme. La strada della svalutazione interna – quella che stiamo percorrendo da anni – colpisce i lavoratori dipendenti, i pensionati e la fascia medio-bassa del lavoro autonomo; non risolve la crisi e comunque la “meta” appare sempre lontanissima. Quella della svalutazione monetaria avrebbe anch’essa un costo, ma esso verrebbe ripartito sull’insieme della società, e sarebbe comunque molto inferiore a quel che si vuol far credere. Il 25% di svalutazione rispetto alla Germania è quel che avvenne nel 1992, con effetti davvero minimi sull’inflazione. E, del resto, non è proprio questa la percentuale di svalutazione subita in questi mesi dall’euro rispetto al dollaro, che rimane pur sempre, e di gran di lunga, la principale valuta negli scambi internazionali?

Ma c’è un’altra ragione per preferire l’opzione della svalutazione monetaria rispetto a quella della svalutazione interna (salariale). Ed essa sta nel fatto che il ritorno alla moneta nazionale porrebbe le basi per una forte ripresa economica, condizione essenziale per ridurre sul serio la disoccupazione. Viceversa la svalutazione interna, nel mentre richiede crescenti sacrifici, non riesce affatto a creare le premesse di un’uscita dalla crisi. Perché allora si insiste con questa “soluzione”? Vi sono, evidentemente, dei motivi politici (la classe dirigente europea non vuole ammettere il suo clamoroso fallimento), ma ci sono anche precisi interessi economici: quelli dei creditori, cioè delle banche e dei grandi investitori finanziari.

Sono costoro, certo non per caso, i più grandi fomentatori del terrorismo psicologico sugli effetti del ritorno alla moneta nazionale. Un terrorismo psicologico che va sconfitto mostrando anzitutto come i problemi che indubbiamente esso pone sono comunque un male assai minore rispetto agli effetti della politica dei sacrifici senza fine che l’euro impone.

Sapir dimostra come anche per la Grecia la via del ritorno alla dracma sia assolutamente sostenibile, senza che questo debba necessariamente determinare una svalutazione catastrofica. Essa sarebbe sempre sull’ordine del 25%, confermando così i calcoli di alcuni membri del governo Tsipras.

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