Gentiloni ci prova di nuovo. In Libia ci vuole proprio andare, ma il mondo è grande e si può sempre mandare soldati anche altrove, ad esempio in Nigeria…

A proposito di un’intervista del ministro degli esteri

A febbraio, dopo il suo «siamo pronti a combattere» in Libia, si era beccato del «crociato» da al Bayan, la radio del Califfato che trasmette da Mosul. Per la verità le sue gesta lì si fermarono, ma non per la condanna dell’Isis, quanto per la rapida retromarcia innestata dal suo principale. Ora, dopo neppure due mesi, il discendente della famiglia dei conti Gentiloni Silverj, ci riprova. Questa volta con un’intervista al Corriere della Sera, dal titolo «Contro i terroristi tutte le opzioni. Pronti anche alla scelta militare».

Come è facile immaginare il contesto dell’intervista è quello del «massacro dei cristiani nel mondo», simboleggiato dalla strage in Kenya. Ed anche la narrazione è quella di sempre: c’è un nemico impalpabile, il terrorismo, al quale bisogna reagire con nuovi interventi militari, cioè di fatto con nuove guerre.

Il ministro è esplicito: «Per contrastare il terrorismo è inevitabile il risvolto militare. Qualcuno potrà scandalizzarsi, ma questi gruppi vanno affrontati anche sul piano militare. Non userò la parola combattere, altrimenti mi ritrovo nei panni del crociato…».

Ed ancora: «Facciamo parte di una coalizione militare anti Daesh (l’acronimo dell’Isis in arabo) impegnata soprattutto in Iraq e in Siria. Ma in futuro si potrebbe valutare l’opportunità di contribuire al contrasto del terrorismo in Libia o di fenomeni come Boko Haram in Nigeria, per esempio. I carabinieri italiani sono impegnati in Somalia per contribuire alla formazione e all’addestramento delle forze armate locali che devono combattere proprio contro i responsabili della strage di Garissa. Insomma, c’è una dimensione militare».

Bene, fermiamoci qui, che basta e avanza. Cosa ci dice in sostanza l’ex capanniano, ex pduppino, ed ex Lega Ambiente ora approdato alla corte di Renzi? Ci dice che bisogna prepararsi a nuove guerre. E ce lo dice nella veste di quello che dovrebbe essere il capo della diplomazia. Gentiloni non solo rivendica l’impegno in Siria, Iraq e Somalia; non solo ripropone la Libia come terra di nuove avventure militari, ma si allarga pure alla Nigeria. Non ci sarà mica un legame con gli interessi dell’Eni in quel paese? No, no, ci mancherebbe, lui pensa solo ai cristiani…

Ma in quali termini è corretto parlare di “persecuzione dei cristiani”? Ecco una domanda alla quale bisognerà pur cominciare a dare delle risposte. Prima questione: esiste effettivamente una persecuzione dei cristiani in quanto tali? Sì, esiste in alcuni paesi, ma essa è solo la centesima parte di quel che ci viene presentato come mera persecuzione religiosa mentre è principalmente il frutto di conflitti politici, economici e nazionali. E, d’altra parte, possiamo invece negare, che in molte altre parti del mondo vi sia una persecuzione degli islamici in quanto tali? Evidentemente no.

Ma, soprattutto, se volessimo davvero assumere la religione delle vittime delle guerre di questo inizio secolo come il segno di una persecuzione, tutti sanno che l’Islam (basta leggere QUI) ne uscirebbe come la religione di gran lunga più perseguitata.

Per capire come stanno davvero le cose basta soffermarci brevemente sugli stessi esempi citati da Gentiloni nell’intervista. Essi riguardano l’Iraq, il Kenya e la Siria.

«Prendiamo il caso dell’Iraq. Dieci anni fa i cristiani erano un milione e mezzo, ora sono meno di trecentomila, col rischio di scomparire in zone come la Piana di Ninive». E bravo il ministro! E come mai questa moria di cristiani nel “Paese dei due fiumi”? Ma guarda un po’, i cristiani erano numerosi e sereni ai tempi del cattivo Saddam, mentre sono rimasti pochi e impauriti dopo la madre di tutte le guerre per la “libertà e la democrazia”. Il ministro è al corrente di chi ha gettato quel paese nello scontro di religione? E non ha neppure qualche briciola di riflessione da consegnarci? No: i cristiani sono dovuti scappare, ma guai a scoprire il perché.

Secondo caso, il Kenya. Certo, l’orribile strage dell’Università di Garissa non sarà mai condannata abbastanza. Ma si è trattato forse di un episodio avulso dalla guerra in corso da anni nell’area? Ovvio che no. Le milizie somale di al Shabaab si battono contro la presenza di truppe kenyote nel loro paese. Truppe che (insieme a quelle di altri paesi africani) sono lì dal 2011, a controllare la situazione dopo che nel dicembre 2006 l’intervento dell’esercito etiope aveva deposto (con il decisivo appoggio dell’aviazione Usa) il governo delle Corti Islamiche. Un governo che, con l’appoggio della popolazione, aveva precedentemente sconfitto i Signori della guerra al soldo degli americani (leggi QUI). Anche su questa “invasione democratica” della Somalia nessuna riflessione, signor ministro?

Infine, la Siria. Alla Farnesina sanno certamente come i cristiani siriani sono schierati in larghissima maggioranza con Assad. E dovrebbero sapere come la scelta occidentale del divide et impera, quella cioè di aver favorito la precipitazione dello scontro religioso, ha contribuito non poco alla situazione delle comunità cristiane di quel paese. Almeno qui una piccola autocritica? Neppure per sogno, che l’importante è progettare nuove guerre.

Ora uno potrebbe dire che queste sono vicende del passato, mentre invece – come si conviene ad ogni buon renziano – egli è chiaramente proteso verso una nuova politica che guarda al futuro. Peccato che nel giorno di Pasquetta, anziché dedicarsi ad un’innocua gita fuori porta, il Gentiloni abbia preferito applicarsi alla guerra nello Yemen. Così, giusto per non farsi mancare nulla. Secondo quanto riferisce l’Adn Kronos: «Il ministro, in relazione agli ultimi sviluppi della crisi, e alle operazioni militari condotte dalla coalizione di paesi arabi, ha espresso “piena comprensione per le preoccupazioni di sicurezza dell’Arabia Saudita”».

Avete capito di cosa si preoccupano alla Farnesina? Forse che sono gli Houthi yemeniti ad aver attaccato l’Arabia saudita e non viceversa?  In ogni caso il Gentiloni se ne sta con i sauditi, a loro volta alleati di fatto con le forze di al Qaeda nello Yemen. Piccole contraddizioni di uno strenuo lottatore contro i persecutori dei cristiani.

Crociato sì, ma sempre dalla parte degli USA. E, si direbbe ancor più, dalla parte di Israele.