Una Ong denuncia: 194 sentenze di morte solo nel primo trimestre del 2015. Nel 2014 erano state 509, con una sola esecuzione accertata. Si avvicina l’11 aprile, giorno in cui il gran mufti dovrà dare il suo parere sulla condanna a morte di Mohamed Badi’, guida suprema della Fratellanza.

Il nuovo Egitto di al-Sisi si scopre campione regionale di condanne a morte. E’ quanto emerge dal rapporto pubblicato ieri dall’Osservatorio Egiziano di Diritti e Libertà (EOFR), un’organizzazione non governativa nata all’indomani del golpe ai danni del presidente islamista eletto Mohamed Morsi. Secondo il resoconto mensile diffuso dall’EOFR 194 persone sono state condannate alla pena capitale solo nel primo trimestre del 2015, mentre altre 2.381 sono state sentenziate a un totale di 11.666 anni di carcere sempre nei primi tre mesi dell’anno.

Secondo l’EOFR, che si occupa di tenere il conto mensile delle condanne e di monitorare i processi che hanno luogo nel paese, cinque dibattimenti su 148 sono stati giudicati da tribunali militari, pratica che diverrà ancora più usata in Egitto a seguito della promulgazione, lo scorso febbraio, della legge anti-terrorismo: alle Forze Armate spetta infatti la giurisdizione  su gran parte delle strutture pubbliche del Paese (università, centrali elettriche, ponti, ferrovie e tutte le proprietà dello Stato) e i manifestanti possono essere condannati da corti militari con l’accusa di aver  “attaccato le istituzioni dello Stato”.

Le autorità egiziane hanno arrestato migliaia di attivisti laici e sostenitori dei Fratelli musulmani da quando l’esercito, guidato dall’attuale presidente Abd al-Fattah as-Sisi, ha deposto nel luglio del 2013 con un golpe militare il presidente islamista Mohammed Morsi. Al golpe sono seguite una serie di misure repressive per schiacciare ogni tipo di dissenso: nel novembre dello stesso anno una legge emanata dalla Giunta militare metteva di fatto un freno alle manifestazioni in strada, vietandole se non autorizzate.

Il mese seguente il generale al-Sisi, non ancora presidente, dichiarava la Fratellanza organizzazione terroristica. Le prigioni si riempivano di dissidenti islamisti e di attivisti laici: nel 2014 le organizzazioni internazionali hanno contato 509 condanne a morte, un numero che ha dato all’Egitto il primato nella regione con il 65 per cento delle pene capitali di tutto il Medio Oriente e Nord Africa.

Delle 509 condanne a morte spiccate, solo una è stata finora eseguita: Mahmoud Ramadan Mahmoud Ramadan, condannato lo scorso anno per aver lanciato un adolescente da un tetto ad Alessandria durante disordini seguiti alla cacciata di Morsi, è stato giustiziato per impiccagione il 7 marzo scorso. Una condanna controversa, secondo Amnesty International, basata su “prove troppo deboli” che aveva spinto persino l’Unione Africana a chiedere all’Egitto di posporre la sentenza per “un’ulteriore investigazione”.

Ora si attende il parere del gran Mufti sul caso di Mohamed Badi’, guida suprema dei Fratelli Musulmani condannato assieme ad altri 13 esponenti islamisti alla pena di morte lo scorso marzo. Badi’, come si legge nella sentenza pronunciata dal tribunale di Giza, avrebbe causato “caos e attacchi contro la polizia e le istituzioni dello Stato”, ovvero il suo movimento avrebbe partecipato attivamente alle proteste scoppiate dopo la deposizione del presidente Morsi, proteste violentissime in cui i militari uccisero circa 600 persone.

Secondo la legge egiziana, prima che abbia luogo una sentenza capitale, si richiede l’opinione religiosa del mufti sebbene il parere di quest’ultimo non sia vincolante ai fini dell’esecuzione della pena che, quasi sicuramente, sarà confermata l’11 aprile.

da Nena News