Gli incidenti di Kumanovo (cinque morti tra le guardie di frontiera macedoni) e quelli, precedenti, dell’attacco alla stazione di polizia di Goshince, dodici giorni fa, indicano una seria svolta nella inquieta situazione politica macedone
Il confine della tensione è quello con il Kosovo. E non sembra esserci dubbio che l’offensiva è condotta dalle forze kosovare dell’UCK. Il che — tenuto conto che il Kosovo è, di fatto, una colonia americana — indica che i servizi segreti statunitensi sono implicati.
Ma l’offensiva è anche interna. Il partito di opposizione SDSM, guidato da Zoran Zaev, ha organizzato quasi simultaneamente una protesta di piazza, che ha condotto a scontri violenti a Skopje. Mentre è già annunciata una grande manifestazione nella capitale, il prossimo 17 maggio che, con ogni evidenza, appare il preludio di una nuova “rivoluzione colorata” in Macedonia. Perché là e perché ora?
Per cercare di capire è utile tenere conto che sia il presidente macedone, Gjorge Ivanov, che il primo ministro Nikola Gruevski, erano il 9 maggio sulla Piazza Rossa. Gesto più che simbolico di differenziazione rispetto alla posizione europea e occidentale.
La Macedonia non è entrata nella Nato, nonostante molteplici e micidiali pressioni esercitate nei confronti del precedente presidente macedone Kiro Gligorov. L’ambasciata americana a Skopje è piuttosto simile, per dimensioni, a un gigantesco ministero. E, infatti, è da quell’avamposto — collocato proprio sulla linea di faglia che divide l’ovest dall’est — che viene diretta tutta la politica statunitense dell’area balcanica. Non senza l’aiuto attivo e potente della “Open Society” di George Soros che, dal lontano 1993, mise gli occhi sulla Macedonia, reclutando con successo non pochi quadri della ex Gioventù Comunista macedone per farne i suoi propagandisti.
Naturalmente si cominciò con le televisioni e i giornali, che vennero comprati velocemente. L’uomo di punta dell’operazione conquista della Macedonia fu, ed è tuttora, il regista cinematografico Vladimir Milcin (anche lui brillante ex comunista), che è dietro la nascita di diversi complessi musicali e artistici — lautamente sovvenzionati da Soros, appunto — come l'”Archi Brigade”, “Singing Skopjans”, e “Square Freedom”. Tutti sintomi di preparazione della rivoluzione colorata, direttamente rivolti verso la gioventù occidentalizzante, da tempo preparata dai media occupati in precedenza. Nel frattempo la stazione Radio/Tv B92 invita alla rivolta contro il governo “filo russo” di Nikola Gruevski.
Ma Soros e Milcin hanno lavorato anche sulla minoranza musulmana (albanese), circa il 25% dei due milioni circa di macedoni. Per loro sono state create “organizzazioni non governative” come “Razbudi se” (Svegliati) e “Civil”; portali web, stazioni radio e televisive.
Così ben si comprende la “dualità” dell’offensiva in atto: una interna, l’altra etnica. Manifestazioni del tipo “rivoluzione colorata” e, simultaneamente, attacchi alla frontiera. Del resto il tutto è a carte scoperte. Il presidente albanese Edi Rama ha recentemente dichiarato che, se la Macedonia non intende diventare membro della Nato, allora non resta che costruire una nuova entità statale pan-albanese, cioè musulmana, pronta a divenire membro dell’Alleanza Atlantica.
Del resto i macedoni, slavi e ortodossi, hanno rifiutato fino ad ora l’avvertimento non amichevole che, nel 1998 l’ambasciatore americano del tempo, Christopher Hill, inviò loro alla vigilia delle elezioni di quell’anno: “Il Popolo macedone — disse pubblicamente — è messo alla prova e ora potremo vedere se è divenuto sufficientemente maturo, o se dovrà tornare indietro all’asilo nido”. A quanto pare è quello che Washington, Tirana e Bruxelles vogliono fargli fare. Tanto più che la Macedonia potrebbe diventare ora il transito del segmento di gasdotto cosiddetto “Turkish Stream” (quello che si appresta a sostituire il defunto Southstream). Con la successione di passaggi di frontiera Turchia-Grecia-Macedonia-Serbia.
Washington mostra che non intende permetterlo.
da Sputniknews