La “felice contraddittorietà” del programma di Syriza non può più reggere. La sfida del referendum va raccolta.

«Se il governo greco pensa di tenere un referendum, allora dovrebbe organizzarlo. Forse potrebbe essere la misura giusta per consentire al popolo greco di decidere se è pronto ad accettare quello che è necessario, o se vogliono altro». Così Wolfgang Schaeuble all’Eurogruppo di lunedì scorso. Una provocazione fine a se stessa? Un puro esercizio di tecnica negoziale? O, più realisticamente, una vera e propria sfida politica?

Quattro anni fa, di fronte all’ipotesi di un referendum, Merkel e Sarkozy obbligarono l’allora primo ministro Papandreou alle dimissioni. Un golpe eurista – non scordiamoci mai qual è l’essenza della democrazia europea – svoltosi in contemporanea con quello di Monti-Napolitano in Italia. Oggi, almeno nelle parole del ministro delle Finanze tedesco, quel referendum potrebbe anche tenersi. Perché questa svolta?

Qualcuno penserà alle differenti situazioni finanziarie. Oggi, dicono lorsignori, la Grecia non è più un problema, può anche andarsene dall’euro senza che questo inquieti più di tanto i mercati finanziari. Il motivo di tanta sicumera è noto. L’80% del debito greco è ormai detenuto dagli stati e dalle istituzioni dell’eurozona. Il colpo può dunque essere assorbito senza troppi traumi, questo è il pensiero dominante nei circoli europei.

Ma è davvero questa la spiegazione della sfida tedesca? Penso proprio di no. Tutti sanno che se le stesse conseguenze finanziarie restano da scoprire, quelle politiche sarebbero certamente devastanti. La sfida di Schaeuble è dunque in primo luogo politica. La Germania ha probabilmente capito che il governo Tsipras non può concedere tutto quanto gli viene richiesto. Dunque, che fare? In teoria c’è l’opzione del ribaltone ad Atene, ma come confezionarlo?

Le congetture fin qui fatte, come quella fondata su una spaccatura pilotata di Syriza, per poi arrivare ad una nuova maggioranza di governo, non sembrano troppo realistiche. Perché dunque non inserirsi alla grande nell’ambiguità che ha consentito a Syriza di vincere le elezioni? Quale sia questa “felice contraddittorietà” ce lo sintetizza il Sole 24 Ore di ieri: «stare nell’euro senza convergere sulla politica europea, né ripagare tutti i debiti». Titolo enfatico quanto significativo dell’articolo: «Se il referendum è la miglior riforma strutturale».

L’idea che sta dietro la sfida di Schaeuble è dunque piuttosto semplice. Siccome i greci non vogliono fare più sacrifici, ma – così dicono i sondaggi – ancor meno vogliono uscire dall’euro, che siano essi stessi a sfiduciare Tsipras con il referendum.

Ma i tedeschi non sono stupidi. Essi sanno benissimo che l’esito del referendum sarebbe largamente deciso dalla formulazione del quesito. Una formulazione che è evidentemente nelle mani del parlamento, e dunque della maggioranza governativa di Atene. La sfida è quindi in primo luogo a Tsipras ed al gruppo dirigente di Syriza. Avranno costoro il coraggio di raccoglierla, organizzando davvero il referendum?

Il calcolo tedesco è evidente. Se il referendum dovesse dar torto al governo di Atene, che è ovviamente l’ipotesi sulla quale scommette Schaeuble, si aprirebbe la strada per una sua rapidissima sostituzione. Se invece Syriza vincesse la sfida, si aprirebbe quella – altrettanto rapida – dell’uscita della Grecia dall’eurozona, la cui responsabilità verrebbe fatta ricadere a quel punto interamente sui greci, un particolare a cui tengono molto a Berlino. C’è infine la terza possibilità, quella che Tsipras scelga di evitare, dopo averla ripetutamente evocata, la consultazione referendaria. Una scelta, quest’ultima, che sarebbe un segnale di grande difficoltà politica, che certo rafforzerebbe le posizioni dei creditori (la troika) al tavolo dei negoziati.

Per quel che vale, la mia opinione è che la sfida debba essere invece raccolta. La “felice contraddittorietà” del programma di Syriza non può più reggere. Non perché lo dice Schaeuble, perché ce lo ricordano continuamente i fatti. Ben venga dunque il referendum. Ben venga una consultazione democratica che affronti i termini reali della questione: o con l’Europa per la certezza dei sacrifici, o fuori da essa per tentare una strada alternativa. Per porre fine all’austerità e ricostruire l’economia nazionale, base indispensabile per ogni sviluppo sociale e politico più avanzato.