A tre anni dalla sua elezione, Jacques Sapir traccia un’analisi impietosa del mandato di François Hollande. A monte della crisi economica che sta distruggendo l’industria e la società francese ci sono le scelte del presidente della repubblica, determinate dalla sua stretta osservanza europeista: l’uomo, dipinto dai media come una una personalità semplice e molto incline alle soluzioni facili, potrebbe nascondere una oscura determinazione quando si parla di Unione Europea.

Il presidente François Hollande ha celebrato il 6 maggio il terzo anniversario della sua elezione alla più alta carica in Francia. Questo ci invita a guardare la storia dell’uomo e della sua politica. Molto è già stato detto. Il fallimento più evidente della sua presidenza, ma anche il più prevedibile, è stata la disoccupazione. Su questo tema, Hollande ha tentennato da una posizione insostenibile: credere, contro ogni evidenza e contro l’opinione di un gran numero di persone, che l’aumento della disoccupazione abbia una dimensione ciclica. Ha dedotto che doveva attendere la ripresa del ciclo perché la situazione migliorasse. In questo modo, si è condannato all’auto-suggestione. Le sue dichiarazioni su questo tema, e quelle dei suoi ministri, ricordano le parole del primo ministro russo sul peggioramento della crisi nel 1995. Victor Chernomyrdin stava costantemente affermando nelle trasmissioni televisive: “Sì, la situazione è difficile, ma vediamo la luce alla fine del tunnel …”. Al che i russi, che non erano stati ingannati, replicavano: “Sì, ma è la locomotiva che si ci sta venendo addosso…”.

Hollande e la disoccupazione

Nel merito della questione, Hollande ha rifiutato di riconoscere la dimensione strutturale della disoccupazione in Francia, che è in gran parte dovuta alla nostra appartenenza alla zona euro. L’effetto deleterio di quest’ultimo comprende un effetto diretto e un effetto indiretto. L’effetto diretto è chiaro. L’euro forte, che abbiamo visto fino allo scorso autunno, ha durevolmente penalizzato la competitività delle imprese francesi. La caduta dei margini aziendali ha portato le aziende a comprimere il costo dei salari, o cercando tutti i possibili metodi per ridurli, un punto sul quale hanno trovato sostegno nella politica del governo, o licenziando i lavoratori, ed eseguendo la stessa quantità di attività utilizzando un numero ridotto di dipendenti. Il miglior indicatore di questa situazione perversa è il fatto che oggi ci sono circa 600.000 persone che soffrono di esaurimento e allo stesso tempo abbiamo quasi 4 milioni di disoccupati, senza contare quelli gravemente sottoccupati. Il calo dell’euro nei confronti del dollaro ha dato un po’ di respiro, ma solo per le aziende che operano nell’area del dollaro. Il problema della competitività persisterà nella zona euro, poiché la Francia non può svalutare la propria moneta verso la Germania e i paesi del Nord Europa. Questo spiega perché la svalutazione dell’euro – che tra l’altro non ha provocato l’alta inflazione prevista da molti economisti in caso di uscita dall’euro e ritorno al franco – ha avuto così poco impatto sull’economia francese.

A questo effetto diretto si aggiunge l’effetto indiretto dell’euro. La moneta unica porta con sé una forma specifica di organizzazione delle strutture finanziarie e monetarie. In particolare, essa vieta alla Banca centrale (Banca di Francia) di offrire prestiti alle imprese per il loro sviluppo, cosa che rende inefficace la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, che non è una cattiva idea a patto di accettare che non potrebbe contare su un sistema di finanziamenti adeguati. Le banche tradizionali, in gran parte rifinanziate dalla Banca Centrale Europea, preferiscono evitare i prestiti a rischio, e forniscono il finanziamento minimo per l’attività economica. Strangolata a valle per effetto diretto dell’euro, la produzione francese è anche colpita a monte poiché non è in grado di trovare le risorse necessarie per il suo sviluppo. L’industria francese è in declino, sia per la mancanza di domanda, che per la mancanza di competitività, che per la mancanza di finanziamenti. Sta crollando sotto i colpi della concorrenza estera e le pressioni non economiche applicate dagli Stati Uniti. Pertanto l’aumento inesorabile della disoccupazione non dovrebbe essere una sorpresa.

Ideologia cieca

Questo riflette semplicemente una profonda cecità sui principi dell’economia, e ci si deve chiedere perché Francois Hollande, che non ha il profilo di un Mitterrand, un Sarkozy o uno Chirac, e che è molto meglio attrezzato intellettualmente per comprendere la natura di questi problemi, ha compiuto errori di questo tipo. Non solo non ha identificato la causa principale della crisi francese, ma le sue “riforme” non faranno che aggravare la situazione. Noi sappiamo quali saranno le conseguenze, che siano accompagnate dalla Legge “Macron” o da altre misure. Riducendo lo stato sociale, i redditi e pertanto la domanda si riducono. Aggiungete a questo delle politiche fiscali ingiuste e sconsiderate, e possiamo capire perché la domanda è stagnante, ma anche l’ira della classe operaia e di quella media, con conseguenze veramente disastrose nei sondaggi per François Hollande.

La spiegazione di questa cecità è semplice, ma l’amichevole semplicità del suo carattere l’ha nascosta. Infatti non c’è cecità, ma una scelta ideologica a favore dell’Unione europea e delle sue regole più draconiane. Non che François Hollande non abbia accarezzato il sogno di cambiare la UE. Ma di fronte all’intransigenza tedesca, ha preferito seguire altri sogni, più carnali. Rimasto con la scelta tra provocare una grave crisi dell’Unione europea, al fine di modificarla, o inchinarsi alla volontà tedesca, Hollande ha scelto di capitolare. E ha fatto questa scelta fondamentale all’inizio del suo mandato, in quanto tutto questo è andato in scena nell’estate del 2012.

Molto è stato detto della sua propensione a scegliere soluzioni facili, per evitare conflitti. Questa propensione certamente esiste; basti vedere come ha gestito la sua vita personale. Ma qui ignoreremmo un fatto essenziale che si rivela ogni qualvolta, dovendo fare una scelta di fondo, Hollande ha dimostrato durezza indiscutibile. Sotto il suo aspetto esteriore da brav’uomo, mostrando poche convinzioni dichiarate, sempre pronto al compromesso, Francois Hollande è un ideologo. L’Europa, o più precisamente l’Unione Europea, è il punto fisso della sua ideologia che non ha mai messo in discussione, e alla quale ha sacrificato tutto, la sua reputazione, la sua carriera, il suo futuro politico, il suo paese.

Non lo insulterò sostenendo che Hollande non ama la Francia. Ma a lui piace solo perché è dentro l’Unione europea, perché il suo destino, secondo lui, è di essere inseparabile dalla UE. E se questo richiede di imporre alla Francia un rigore di bilancio senza fine, crescente disoccupazione, la riduzione del modello politico e sociale francese, e l’introduzione di regole che privano i cittadini della loro sovranità, lo fa senza remore. Nel perseguimento di questa visione, è pronto a tutte le possibili manipolazioni, menzogne ??e bassezze. La sua famiglia e alcuni dei suoi ministri (come Arnaud Montebourg) lo sanno bene.

I “principi” di Hollande

Ciò che abbiamo scoperto negli ultimi tre anni è anche il rapporto speciale tra Francois Hollande e il suo concetto di “principi”. Gli piace strombazzare il suo incrollabile impegno verso questi principi. In questo egli è un prodotto del decadimento del partito “socialista”. Ma ciò che si è visto nel suo esercizio del potere è per lo più uno sfruttamento molto politico del concetto di “principio”. Il caso delle due portaelicotteri Mistral è un ottimo esempio. Come conseguenza della crisi in Ucraina, Hollande prende la decisione di sospenderne la consegna alla Russia. Ma il Presidente si reca di persona per la firma dei contratti degli aerei da combattimento “Rafale” con il Qatar e, probabilmente, con gli Emirati Arabi Uniti. Quindi dov’è la linea rossa? Certamente non sulla questione della democrazia.

Tutto sommato, e quali che siano le riserve e le critiche che possono essere fatte su questo punto al governo russo, è chiaro che la Russia è più democratica del Qatar, degli Emirati Arabi Uniti e dell’Arabia Saudita, che conduce una guerra di aggressione nello Yemen senza che questo inquieti neanche un po’ gli ambienti diplomatici francesi. Sulla questione dei “principi”, un tema che Francois Hollande ama usare per indossare i panni del difensore della libertà e dei diritti umani, si è costretti a mettere in discussione la sua posizione. Può confermalo la questione della presenza, o assenza, di Francois Hollande alla sfilata della vittoria del 9 maggio a Mosca, qualcosa che non ha nulla a che vedere con le divergenze che possiamo avere con Putin, ma che è ricca del simbolismo di questi stessi principi.

A meno che questo cinismo nasconda qualcosa di molto più grave. Si è intransigenti sull’integrazione dei russi, consapevolmente o meno, tra i popoli civili. Non è così per i popoli degli Emirati Arabi Uniti, del Qatar e dell’Arabia Saudita. Questi popoli sono considerati barbari, cosicché nessuno chiede nulla di loro. L’atteggiamento di Francois Hollande, e più precisamente i suoi atteggiamenti diversi nei confronti della Russia e di questi paesi, potrebbe tradursi bene in un latente eurocentrismo, nel migliore dei casi, e nel peggiore dei casi in una forma di razzismo, nascosta sotto la maschera del sorriso condiscendente.

L’immagine del presidente da tre anni in carica si sta rivelando molto più scura del quadro che il candidato voleva venderci nel 2012. “Mister Piccole Barzellette” sembra essersi smarrito nel lato oscuro della farsa.

da Voci dall’estero