«E di chi la colpa se il default di Atene rischia di mandare per aria anche l’Italia?
Non solo della Troika, ma dei governi italiani (Berlusconi prima e Monti poi) e dei politici (Pd e Forza Italia in primis) che accettarono quei due piani di “salvataggio” della Grecia, facendo passare il debito dai bilanci delle banche d’affari italiane a quello dello Stato, quindi sulle spalle dei cittadini. Peggio, facendolo lievitare di dieci volte da 4,5 a 39/40 miliardi. Il tutto nell’interesse delle grandi banche d’affari tedesche, francesi, inglesi e nordamericane
».

Dopo mesi di dichiarazioni apodittiche e tranquillizzanti sul fatto che la Grecia non sarebbe andata in default (in stato di insolvenza il quale, ripetiamolo, per uno Stato non è mai bancarotta), e che non sarebbe mai avvenuta la sua uscita dall’eurozona (non più di qualche giorno fa lo stesso Draghi ha ripetuto, con toni minacciosi che tradiscono la fifa, che l’adesione all’euro è “irreversibile”), ora sono sempre più numerosi gli analisti ed i commentatori che lanciano l’allarme sugli effetti devastanti di un default di Atene.

Tabella 1

Questo stato di panico l’ha espresso che meglio non si poteva Maurizio Ricci su la Repubblica di ieri. Il titolo è programmatico: “Con il crac greco rischio sconquasso per i conti di Italia e Germania“.

Ricci ci spiega che:
«Il debito pubblico totale della Grecia è di 323 miliardi di euro, di cui solo un quinto è in mano a banche e investitori privati. L’Fmi ne ha un trentina di miliardi (il 10 per cento), la Bce il 6 per cento. Il grosso, il 60 per cento, è detenuto dal resto dell’Eurozona: 142 miliardi dal Fondo salvastati e 53 miliardi dai singoli governi. Ed è qui che il default greco creerebbe sconquassi. In assoluto, il paese più esposto verso Atene – fra prestiti diretti, quota del Fondo salvastati, quota dell’intervento Bce – è la Germania: quasi 60 miliardi di euro. Poi viene la Francia (poco oltre 40 miliardi). L’Italia è terza, con 39 miliardi». [Vedi tabella sopra]

Quindi Ricci fa un po’ di conti e chiosa:
«Ma se, invece, che alla cifra in quattrini, la si considera in rapporto al prodotto interno lordo, cioè per quanto è effettivamente costata al paese che ha sborsato quei soldi, la classifica cambia. I 60 miliardi di prestiti tedeschi che andrebbero in fumo con un default sono l’1,9 per cento del Pil della Germania. In proporzione, la piccola Slovenia è più esposta: 2,6 per cento del Pil. Ma il caso più preoccupante è quello italiano: l’esposizione di Roma equivale al 2,4 per cento del prodotto interno lordo. Un crac greco sarebbe una mazzata. Soprattutto per l’impatto che avrebbe sulla dinamica del debito pubblico, già oggi il nostro maggior cruccio con Bruxelles. Oggi, il Fmi prevede che il debito netto italiano, nel 2015, salga di 35 miliardi di euro. Con un default greco e il volatilizzarsi dei 39 miliardi che Roma ha prestato, in varia forma, ad Atene, il debito netto schizzerebbe verso l’alto, in un colpo solo, non di 39, ma di 74 miliardi di euro, dieci volte il buco delle pensioni».

Tabella 2

I conti sono giusti? Si, sono giusti.
Ricci dimentica però di dire com’è che lo Stato italiano si è venuto a trovare esposto per 39/40 miliardi di euro verso la Grecia. Ricordiamolo allora!

Ciò dipende dai famigerati piani di salvataggio del 2 maggio 2010 (110 miliardi di euro) e dell’ottobre 2011 (130 miliardi). Secondo le previsioni della Troika, che nel frattempo aveva posto la Grecia sotto il proprio protettorato imponendo politiche austeritarie durissime, Atene sarebbe uscita dalla devastante recessione e tornata a finanziarsi sui mercati nel 2015.

Che la Grecia rischi invece il default è il segno più evidente che questo piano è fallito miseramente.

Si noti la Tabella n.2.
Essa fotografa la situazione debitoria della Grecia nell’agosto 2011, tra il primo ed il secondo salvataggio (bailout). Al tempo il debito greco era in gran parte in pancia a banche d’affari e fondi speculativi privati. In primis francesi, tedeschi e inglesi. Le banche italiane erano esposte per la modestissima cifra di 4,5 miliardi (più o meno la stessa cifra che è stata utilizzata per salvare il Monte dei Paschi).

Dove sono finiti tutti i soldi dei salvataggi è presto detto: non per risanare i buchi di bilancio dello Stato greco ma per risanare quelli dei suoi predatori: più dell’80% degli “aiuti” della troika sono andati infatti a beneficio diretto o indiretto del settore finanziario (nazionale ed estero). Soprattutto di quello tedesco, che infatti è riuscito a ridurre la propria esposizione nei confronti della Grecia dell’80% circa tra la metà del 2010 – quando è stata approvata la prima tranche di finanziamenti – e la metà del 2012. [vedi tabella n.3]

Tabella 3

Nel frattempo il debito della Grecia è esploso, passando dal 130% del 2010 al 177% di oggi [vedi tabella n.4], senza dimenticare che “l’aiuto” della troika è stato utilizzato come piede di porco per imporre alla Grecia un crudele programma di austerità fiscale e salariale che ha bruciato un quarto del reddito nazionale e ridotto in povertà milioni di persone.

Gli architetti di questa gigantesca operazione si sono sbagliati? No, erano criminalmente consapevoli di quel che facevano. [1]

Tornando ai piagnistei a comando di certi analisti e giornalisti al soldo dei banchieri e della finanza predatoria (è il caso di Maurizio Ricci). Essi ora lanciano l’allarme che un default della Grecia sarebbe un disastro per l’Italia.

Tabella 4

E di chi la colpa? Non solo della Troika, ma dei governi italiani (Berlusconi prima e Monti poi) e dei politici (Pd e Forza Italia in primis) che accettarono quei due piani di “salvataggio”, facendo passare il debito dai bilanci delle banche d’affari italiane a quello dello Stato, quindi sulle spalle dei cittadini.
Peggio, facendolo lievitare di dieci volte da 4,5 a 39/40 miliardi.
Il tutto nell’interesse delle grandi banche d’affari tedesche, francesi, inglesi e nordamericane.

Una prova lampante che l’europeismo di questi politici è solo l’alibi dietro al quale nascondono il loro essere dei servi e dei gauleiter di potenze finanziarie e politiche esterne.

NOTE

[1] «Incredibilmente, il dubbio che il bailout così come concepito dalla Commissione europea e dalla Bce avesse lo scopo di salvare le banche e non la Grecia fu sollevato a suo tempo persino dal terzo membro della troika, il Fondo monetario internazionale. È riportato nero su bianco nei verbali della drammatica riunione del 9 maggio 2010 in cui l’Fmi ha dato il via libera al primo piano di aiuti per il paese, pubblicati dal Wall Street Journal. I documenti, classificati come riservatissimi e segreti, parlano chiaro: più di quaranta paesi, tutti non europei e pari al 40% del board, erano contrari al progetto messo sul tavolo dai vertici Fmi. Il motivo? Era “ad altissimo rischio”, come ha messo a verbale il rappresentante brasiliano, perché “concepito solo per salvare i creditori, nella gran parte banche del vecchio continente e non la Grecia”. L’articolo spiega che l’Fmi era propenso a imporre subito un taglio al debito greco, per mezzo di un “haircut” (come poi è stato fatto nel 2012), ma la Commissione europea e la Bce erano fermamente opposte a imporre qualunque perdita ai creditori. È interessante notare che l’opposizione dell’Fmi al piano si basava sull’argomentazione secondo cui un prestito così ingente in relazione al Pil del paese (in pochi anni la Grecia ha preso in prestito dalla troika fondi equivalenti al 125% dell’attività economica del paese nel 2014) avrebbe reso il debito greco – al tempo ancora sostenibile, secondo l’organizzazione – definitivamente insostenibile». (da: Eunews del 14 gennaio 2015)