Diritti civili: la situazione è tragica ma non è seria

Secondo intervento di Moreno Pasquinelli sulla questione dei diritti civili (il primo potete leggerlo QUI).

«L’uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono».
[Protagora, in Platone, Teeteto]

Il mio articolo A QUELLI CHE I DIRITTI CIVILI…NO ha suscitato diverse ed aspre critiche. Non poteva essere diversamente. La questione  è controversa, e tocca più ambiti: politico, filosofico ed anche psicologico. Tutto si può dire, non che si tratti di una discussione sul sesso degli angeli.

Lo dimostra il recente referendum nella cattolica Irlanda sui matrimoni gay, segnato dalla vittoria schiacciante dei SI e da un’alta percentuale di votanti, e che destituisce di ogni ragionevole fondamento l’idea di chi liquida i diritti civili come bazzecole, “capricci” o, addirittura, li condanna come un maldestro tentativo di “distrazione di massa” delle élite neoliberiste.

Liberalismo

Sono stato accusato, da chi respinge la “categoria” stessa dei diritti civili, di essere un liberale e/o un anarchico. Accettandola io condividerei il paradigma individualistico tipico del pensiero liberale.

E’ curioso che l’accusa mi venga non da dei paleo-comunisti  — che dunque teorizzano l’abolizione della proprietà privata e l’estinzione dello Stato, ergo la comunione integrale dei beni e una comunità basata sulla democrazia diretta —, bensì da chi ritiene inviolabile la proprietà privata, il capitalismo un sistema ottimale, divino lo Stato e sacra la Costituzione italiana.  

E’ evidente l’autocontraddittorietà dei miei critici. Il fondamento filosofico, anzi teologico, dell’individualismo liberale è infatti il considerare “naturale” e non invece un determinato prodotto storico, la proprietà privata, il porre quest’ultima come fondamento primo dei diritti di libertà dell’uomo.

Rifiutare il paradigma liberale non autorizza nessuno a gettare l’acqua sporca col bambino. Tanto per dire: la condanna, a cui mi associo, della filosofia individualistica di Locke, non toglie nulla ai meriti del filosofo inglese, alla sua condanna dell’assolutismo, alla sua difesa del principio della tolleranza, alla sua idea di separazione tra Stato e Chiesa, ecc. Al fondo l’errore di certi giuristi statolatri e critici arruffoni è scambiare il ricco e poliforme pensiero liberale con il moderno neoliberismo, la cui forma ideologica più estrema venne ben espressa dalla nota sentenza della Thatcher: “la società non esiste, esiste solo l’individuo”.

Chi non riconosce al pensiero illuministico ed al movimento politico liberale, ovvero alla borghesia nascente, la loro funzione storica progressiva — decisiva nella battaglia per demolire i regimi feudali e nella fondazione dei moderni stati-nazione — o è un somaro oppure, gratta gratta, è un reazionario della più bell’acqua.

Un inflessibile critico della società borghese liberale fu ad esempio Karl Marx, il quale tuttavia non si sognò mai di negare il ruolo rivoluzionario della borghesia. Il fatto che contestasse al liberalismo di nascondere la diseguaglianza sociale reale dietro il velo dell’eguaglianza giuridico-formale, non gli faceva certo condannare le conquiste della rivoluzione liberale e borghese. Come invece fece il controrivoluzionario Joseph De Maistre, massimo esponente della Restaurazione.

Mi si dirà che tra Marx e De Maistre c’è un altro pensatore anti-liberale, ed anti-individualista, per la precisione Jean-Jacques Rousseau, da cui Giuseppe Mazzini trasse alcune delle sue idee politiche. Non vedo tuttavia, nel documento che prendevo di mira e nei ragionamenti di coloro che rifiutano la “categoria” dei diritti civili, né l’elogio dell’eguaglianza sociale né la preferenza per la democrazia diretta, che sono appunto i capisaldi del pensiero radicale rousseauiano. Mazzini non è Rousseau, ciò di cui si resero ben conto i teorici della dottrina fascista, che amavano il primo ma non certo il secondo.

L’errore principale di ARS è di natura filosofica. Nel documento sui diritti civili di questo gruppo, viene espresso questo principio:
«…la retorica dei diritti civili è espressione dell’individualismo filosofico e politico che l’ARS riconosce fra i suoi principali nemici».

Sotto mentite spoglie ritorna la metafisica mazziniana-gentiliana. Col pretesto di respingere l’individualismo, non solo si ripudiano gli elementi di universalità del pensiero liberale e le conquiste storiche della rivoluzione borghese, si rigettano anche i concetti di cittadino e di persona.
I concetti di individuo, cittadino e persona non vanno invece confusi: il primo è liberale, il secondo giacobino, il terzo è proprio di un pensiero anti-liberale e comunitario. Il fatto è che la Costituzione italiana del 1948, essendo un compromesso tra liberali, cattolici e social-comunisti, li recepisce tutti e tre. Ma andiamo con ordine.

La Costituzione italiana

L’autocontraddittorietà di coloro che fanno spallucce davanti ai diritti civili e li respingono anzi come “cosmetici” (quindi privi di sostanza e giuridicamente illegittimi) non finisce qui.

Essi dicono di difendere la Costituzione italiana, in verità non la capiscono. Non vogliono ammettere che essa — proprio dal momento che pone a fondamento della Repubblica e dell’ordinamento giuridico l’inviolabilità dei diritti politici, democratici e quindi civili della persona — accoglie la migliore eredità liberal-democratica. Ed è proprio per il posto centrale che occupano i Titoli riguardanti i diritti della persona e del cittadino (non solo e non tanto per il principio astratto che la sovranità spetta al popolo), che la Costituzione seppellisce il fascismo e fonda la Repubblica democratica. Ed è democratica, al contrario di quanto vaneggiano certi suoi paladini, perché insiste senza ambagi che, se è vero che i cittadini hanno dei doveri verso lo Stato, è proprio su quest’ultimo che ricadono i principali obblighi e doveri, primo fra tutti, appunto, quello di rispettare i diritti inviolabili dell’individuo, in quanto persona e cittadino.

Già ricordavo il Titolo I della Costituzione (gli articoli dal 13 al 28), con la sua apertura inequivocabile: “la libertà personale è inviolabile”, ed a seguire, l’obbligo dello Stato di difendere i diritti dei cittadini che ne conseguono.

Suggerisco di leggere quindi il Titolo II “rapporti etico-sociali”, gli articoli dal 29 al 34, dove i costituenti sottolineano i fondamentali doveri dello Stato repubblicano verso i cittadini: quelli ad esempio di tutelare i figli nati fuori dal matrimonio, di proteggere la maternità, l’infanzia e la gioventù, di tutelare la salute come fondamentale diritto dell’individuo garantendo cure gratuite agli indigenti, di assicurare la gratuità dell’istruzione. Infine, ma non meno importante, il principio che “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”.

Come si vede ai diritti del cittadino corrispondono altrettanti doveri dello Stato. E’ quindi falso ed in contraddizione col dettato costituzionale il principio secondo cui:
«Il fondamento dei diritti consiste invece nei doveri, sui quali si basa ogni grande e piccola comunità: soltanto adempiendo i nostri doveri abbiamo titolo per rivendicare i diritti». [1]

Se ciò fosse vero, dovremmo escludere dal godimento dei diritti civili e politici una buona fetta della popolazione, dai bambini a tutti gli adulti affetti da patologie che impediscono loro di compiere alcuni se non tutti gli obblighi previsti dalla legge.

I diritti civili

I diritti sanciti dalla Costituzione sono sociali? democratici? politici? civili? Sono, evidentemente, tutte queste cose insieme. Di più: essi sono un tutt’uno, e se cade una parte rischiano di cadere tutti.

Volendo seguire l’approccio giuridico formalistico potremmo, con Luigi Ferrajoli [2] classificare i diritti come segue:
(1)  diritti di libertà: quelli che comportano per il potere pubblico il dovere di non interferire;
(2)  diritti politici: quelli attinenti alla sfera pubblica;
(3)  diritti civili: quelli che attengono alla sfera privata;
(4)  diritti sociali: quelli che sanciscono l’obbligo dello Stato alla loro tutela, rimuovendo perciò gli ostacoli al benessere dei cittadini.

Se poi vogliamo seguire Norberto Bobbio, [3] per cui i diritti non sono il prodotto della natura ma della civiltà umana, ossia sono diritti storici e in quanto tali mutevoli, occorre considerare la categoria dei (5) diritti umani, affermatisi grazie alle lotte di questa o quella minoranza sociale, recepiti poi, in virtù del consenso generale, dagli Stati (vedi la Dichiarazione universale dei diritti umani dell’ONU) e dalla stessa giurisprudenza.

Come detto, con le modificazioni della struttura e della sovrastruttura sociale, delle consuetudini e dei costumi, muta anche la sfera dell’etica, quindi del diritto. Diritti un tempo primari divengono secondari, alcuni addirittura periscono per lasciare il posto a diritti nuovi. Questi ultimi si sono faticosamente fatti strada, sempre dovendo vincere le resistenze di conservatori e passatisti. E’ il caso di ricordare i movimenti delle donne, dei neri, degli omosessuali, e di altre minoranze contro le più diverse discriminazioni sociali?

Per concludere, davanti alla comparsa di nuovi bisogni sociali, sotto la spinta dei mutamenti dei costumi, della scienza, delle comunicazioni, la dottrina giuridica ha dovuto concepire i cosiddetti “diritti di quarta generazione”. Sono quelli connessi alla bioetica, alle manipolazioni genetiche, alle nuove tecnologie di comunicazione, quelli relativi ai diritti dei malati e financo degli animali.

Chi scrive è ben lontano dal ritenere che ogni nuovo bisogno sociale sia progressivo, che quindi debba essere considerato legittimo solo in quanto “moderno” o rivendicato da qualcuno. Se, ad esempio, dev’essere considerata legittima la fecondazione artificiale, non solo omologa ma pure eterologa (in base al principio che coppie non fertili possano, con l’aiuto della scienza, avere  figli), non lo è per niente la pretesa di legalizzare il commercio degli embrioni, la crioconservazione o la sperimentazione eugenetica.

L’errore madornale di considerare i diritti civili dei “capricci” conduce infine ad un curioso paradosso, alla terza antilogia.

Dopo aver sostenuto che “l’individualismo filosofico e politico è uno dei principali nemici di ARS”, il documento in questione conclude riconoscendo… “il diritto [ad ogni iscritto] di maturare con autonomia la propria opinione”. Il nemico principale, cacciato dalla finestra filosofica, rientra surrettiziamente dalla finestra della politica!
Si condanna l’individualismo liberale e poi si accetta, con la scusa che i diritti civili sono dei “capricci”, il padre di tutti i principi del liberalismo, la “libertà di coscienza”.

Aveva ragione Flaiano, che  “la situazione è tragica, ma non è seria”.

NOTE

[1] Vedi il Documento sui Diritti civili di ARS
[2] Luigi Ferrajoli, Dai diritti del cittadino ai diritti della persona. In: “La cittadinanza: appartenenza, identità, diritti”, a cura di Danilo Zolo.
[3] Norberto Bobbio, L’età dei diritti, Einaudi 1990