Il Forum Internazionale di Atene è alle porte. Cadrà in un momento delicatissimo. Ammesso che il Fmi conceda in queste ore al governo greco di posticipare il pagamento della prossima rata di debito in scadenza il 5 giugno (quella del 12 maggio è stata saldata con una maldestra partita di giro), a fine mese sapremo se la Grecia andrà in default (con il terremoto che ne conseguirà per l’eurozona) o se sarà stato raggiunto un accordo politico che salvi capra e cavoli. Ci torniamo più avanti.
Questa situazione di tensione estrema si riverbera dentro SYRIZA. Domenica scorsa si è svolto un infuocato Comitato centrale. La mozione dell’ala sinistra che chiedeva di non rimborsare i prestiti al Fmi, di nazionalizzare le banche e di indire un referendum per respingere ogni accordo capestro, è stata bocciata con 95 voti contro 75. La possibilità di una frattura, nel caso il governo accetti un accordo a perdere con la troika diventa una possibilità. Segnaliamo che, tra gli altri, saranno presenti al Forum di Atene esponenti di spicco della sinistra interna di SYRIZA, ciò che farà del Forum non solo una grande occasione di approfondimento sulle ipotesi di uscita dal marasma economico e sociale, ma un passo verso il coordinamento delle sinistre europee a vario titolo critiche del regime della moneta unica.
Veniamo quindi allo psicodramma del negoziato tra Atene e la troika o, come è stata ribattezzata, “Brussels Group”. Vediamo anzitutto di capire qual è il pomo della discordia, il macigno che si frappone ad un accordo. Giorni addietro scrivevamo che si era giunti a fine partita e che dunque si sarebbe scoperto chi stava bluffando, se i falchi euristi capeggiati da Wolfgang Schäuble o il governo greco.
E’ lo stesso Varoufakys a giungerci in soccorso per risolvere l’enigma. Egli ha consegnato alle agenzie un articolo che la dice lunga. L’ha pubblicato il 26 maggio Il Sole 24 Ore col titolo «L’austerity? In Grecia l’abbiamo già fatta». Smentendo la versione dei falchi che vogliono far apparire Atene come disobbediente e inaffidabile, Varoufakis afferma:
«Il nostro governo è più che desideroso di attuare un’agenda che includa tutte le riforme economiche che i think tank economici europei considerano centrali. E siamo perfettamente in grado di garantire il sostegno dell’opinione pubblica greca per un programma economico efficace. Di cosa stiamo parlando? Di un’agenzia delle entrate indipendente; di mantenere in eterno un avanzo di bilancio primario ragionevole; di un programma di privatizzazioni sensato e ambizioso, combinato con un’agenzia per lo sviluppo che sfrutti i beni pubblici per creare flussi di investimenti; di una riforma autentica del sistema pensionistico che garantisca la sostenibilità a lungo termine del sistema di previdenza sociale; della liberalizzazione dei mercati dei beni e dei servizi, ecc».
Si tratta di affermazioni programmatiche pesanti, molto gravi. Egli finalmente scopre (quasi completamente) le carte: dichiara che il governo greco accetta di mantenere in eterno un “ragionevole” avanzo primario, di volere un piano di privatizzazioni “sensato” ma “ambizioso”, di rimettere mano alle pensioni, di accettare un piano di liberalizzazioni dei servizi e dei mercati (oltre quelle già fatte in ossequio ai diktat della troika). In buona sostanza si tratta del puro e semplice rinnegamento del Programma di Salonicco con cui SYRIZA ha vinto le recenti elezioni.
In cambio di questi doni enormi cosa chiede Varoufakis agli strozzini del popolo greco? Semplice a dirsi: la fine dell’austerità. E’ triste dirlo, ma dal bluff nella partita negoziale con la troika, si passa a prendere per i fondelli i cittadini greci.
Il programma da lui sopra esposto non è altro che la continuazione, sotto mentite spoglie, delle terapie austeritarie imposte da Unione europea, Bce e Fmi. In un paese che ha perso in pochi anni il 25% del Pil, con un tasso di disoccupazione del 26%, con salari crollati del 16%, anche solo il prospettare un avanzo primario significa continuare le politiche austeritarie e deflazionistiche. Non ci vuole un master in economia per sapere che l’avanzo primario non solo è il contrario di una politica anticiclica di deficit spending per sostenere la domanda aggregata, ma che il disavanzo è funzionale al pagamento del debito e degli interessi sul debito pubblico.
Il fondato sospetto è che Tsipras e Varoufakis, quando parlano di fine ell’austerità, vogliano emulare Matteo Renzi e la sua farsa degli 80 euro: si continua nel rispetto dei diktat euristi e delle politiche austeritarie ma si elargisce qualche zuccherino allo scopo di non essere travolti
In questi mesi ci chiedevamo se il governo SYRIZA avesse un “Piano B” in caso di default e rottura con l’euro-Germania. Rispondevamo che di questo “Piano B” non c’era ombra. Le dichiarazioni di Varoufakis ne sono una lampante conferma. L’unico “piano” che sembra avere SYRIZA è quello di raggiungere un compromesso ad ogni costo coi creditori, e pur di ottenerlo accetta nella sostanza di continuare una politica economica neoliberista.
Quanto diciamo è evidentemente chiaro da tempo agli interlocutori di Atene, falchi compresi. Com’è che allora l’accordo non si chiude?
Ma è semplice! Perché SYRIZA in cambio chiede una sostanziale ristrutturazione del debito — 320 miliardi in totale. Non solo un dilazionamento dei pagamenti, ma un robusto taglio a capitale e interessi. Richiesta che sin qui la troika ha sempre respinto, malgrado questo taglio sia sostenibile.
Ma se è sostenibile perché la troika non ne ha sin qui voluto sapere?
Semplice anche questo: non si può concedere ad un governo “di estrema sinistra” ciò che non è stato concesso ai governi amici precedenti come quello di Samaras. La questione è dunque anzitutto politico-simbolica. Unione europea, Bce e Fmi sanno che se accettassero una sostanziale ristrutturazione del debito greco, condizione affinché avvenga un allentamento delle politiche austeritarie, ciò non solo smentirebbe il dogma che sorregge la loro narrazione — che i debiti vanno onorati, che solo seguendo politiche deflazionistiche e di taglio alla spesa pubblica crescerà la “competitività” e ci sarà la “ripresa”, che dunque solo a queste condizioni eventuali aiuti saranno sborsati —, ma sarebbe un precedente che aprirebbe una breccia nella quale si incuneerebbero altri paesi, legittimando e rafforzando i partiti anti-austerità (M5S in Italia e Podemos in Spagna anzitutto).
Ora che Varoufakys ha scoperto le carte e fatto vedere il suo punto, la mano passa alla troika. Accetteranno di chiudere la partita con un compromesso che salvi capra e cavoli? Lo vedremo appunto nei prossimi giorni. C’è chi dice che i “mercati”, ovvero grandi banche d’affari e fondi speculativi, avrebbero già scontato, almeno in parte, l’eventuale default della Grecia, e dunque l’uscita dall’eurozona (Vittorio Carlini; Il Sole 24 Ore del 26 maggio). Evidentemente ritengono che i falchi euristi guidati dalla Germania respingeranno la mano testa di Atene.
da sollevAzione