Tareq Aziz è morto due giorni fa. I suoi carcerieri hanno voluto così. Le sue condizioni di salute erano note da tempo, ma nulla ha smosso il governo iracheno. A fronte di questo accanimento, nel 2011 aveva chiesto all’allora premier al Maliki di dare esecuzione alla sua condanna a morte.

La sua detenzione, iniziata dopo la sua cattura, a poche settimane dalla presa di Baghdad da parte degli invasori americani, è durata pressoché ininterrottamente per oltre 12 anni. Il 2 marzo 2009, dopo 6 anni carcere, venne assolto dalle accuse per cui era stato arrestato, ma pochi giorni dopo venne nuovamente arrestato. Seguirono nuove accuse ed arrivarono le prime condanne per la deportazione dei curdi e per la repressione degli sciiti nel 1991. Infine, il 26 ottobre 2010, arrivò la condanna a morte.  

A nulla sono valse negli anni le pressioni esercitate dal Vaticano (Aziz era cristiano caldeo) per ottenere la sua liberazione. Ed a nulla è servita la sua reputazione internazionale. Come altri uomini di governo che hanno osato opporsi senza cedimenti all’imperialismo americano, egli doveva soltanto morire. Non è stato impiccato come Saddam, né ucciso a freddo come Gheddafi, ma la sostanza non muta.

La sua morte ricorda piuttosto quella di Slobodan Milosevic, il presidente della Serbia e dell’ex Jugoslavia, morto nel carcere dell’Aja l’11 marzo 2006, ufficialmente anche lui per infarto, ma di fatto vittima di un’assurda carcerazione basata su un’autentica bestialità giuridica.

Come Milosevic, anche Tareq Aziz non si è mai piegato all’imperialismo. E la fine è stata la stessa. Il fatto che i suoi carcerieri siano stati i nuovi governanti iracheni non cambia le cose. Semmai dimostra la cecità di questi ultimi, la loro impostazione settaria, provando anche in questo modo come la ferocia dell’attuale guerra in Iraq non venga solo da parte sunnita.

Chi era Tareq Aziz

Tareq Aziz è stato vice primo ministro per ben 24 anni, dal 1979 al 2003. In questo periodo ha ricoperto per 8 anni (1983-1991) anche la carica di ministro degli esteri. E’ in questa veste che è stato conosciuto in tutto il mondo. Aziz, anche per il suo credo cristiano, veniva spesso presentato come il volto “moderato” e “presentabile” del regime di Saddam Hussein. Come già detto, questa sua immagine internazionale non lo salvò di certo dalla caccia degli aggressori a stelle strisce che lo inserirono da subito nella lista (il famoso “mazzo di carte”) dei super-ricercati.

Per un quarto di secolo, la vita di Aziz è stata dunque sostanzialmente un tutt’uno con la storia dell’Iraq. Se è sempre stato fedele a  Saddam Hussein, egli lo è stato ancor di più al suo paese. Nel 2010 disse al Guardian di avere sconsigliato Saddam dall’invadere il Kuwait nel 1990 «ma la decisione venne presa comunque. Io ero il ministro degli Esteri del paese e dovevo proteggerlo e fare tutto il possibile per spiegare al mondo la nostra posizione. Mi schierai dalla parte giusta».

In questo quarto di secolo l’Iraq ha vissuto tre guerre – quella con l’Iran (1980-1988), la prima (1991) e la seconda (2003) Guerra del Golfo – con in mezzo il devastante periodo delle sanzioni (un milione e mezzo di morti) imposte dall’imperialismo e criminalmente ratificate dall’ONU. In questo periodo durissimo non sono certo mancate le repressioni, ma che dire dell’Iraq di oggi?

Perfino Lorenzo Cremonesi, sulle pagine del Corriere della Sera di ieri (Tarek Aziz, quando un cristiano era dirigente del governo iracheno), rimpiange i vecchi tempi, senza peraltro dire chiaramente chi e che cosa ha aperto la strada alla tragedia attuale. Ma che sia stato l’imperialismo occidentale, e in particolare l’invasione americana del 2003, evidentemente lo sanno tutti.

Un nostro ricordo

In due occasioni, nel 2002 e 2003, abbiamo incontrato Tareq Aziz a Baghdad. Fu quando due delegazioni internazionali del Campo Antimperialista si recarono in Iraq per manifestare la propria solidarietà ad una nazione e ad un popolo che sapevamo avrebbe subito, da lì a poco, un bestiale attacco militare.  

Ecco quello che ci disse agli inizi del 2003, a meno di tre mesi dall’inizio della guerra:
«L’America ha utilizzato il pretesto delle armi di distruzione di massa per dire che l’Iraq è una minaccia. Questa accusa non è credibile. Allo scopo di smontare questo pretesto l’Iraq ha accettato la risoluzione 1441. Attualmente gli ispettori possono visitare tutti i siti, in particolare quelli menzionati dai media americani e inglesi.

A dispetto di questa presenza il dispiegamento americano è andato avanti. Continuano i loro preparativi. Che significa tutto questo? Che hanno dei disegni imperialistici e che questi disegni prevedono l’occupazione dell’Iraq e l’utilizzo delle sue risorse. Chi sta spingendo questi disegni? Washington, un governo imperialista più l’industria bellica USA; Londra, la vecchia potenza imperialista. Inoltre voi sapete cosa è Israele, che sta distruggendo la Palestina e che vuole distruggere tutto il mondo arabo.

I governi europei che appoggiano gli USA commettono un errore perché l’Europa non avrà benefici da questa politica. E’ chiaro che c’è una forte pressione. Ma se USA e Gran Bretagna vinceranno non divideranno gli utili con nessuno. Se gli USA dovessero controllare tutte le risorse energetiche, metterebbero sotto ricatto l’Europa, il Giappone, l’Asia in generale. Dunque siamo tutti minacciati. Non solo l’Iraq, non solo il mondo arabo. I disegni imperialisti sono contrari alle leggi internazionali ed all’etica umana; la politica antimperialista deve crescere in tutto il mondo».


Una morte a testa alta

Le cose sono poi andate come sappiamo. La guerra c’è stata, ma gli invasori hanno trovato una Resistenza che non si aspettavano. Tuttavia anche la Resistenza non ha saputo contrastare la politica del divide et impera adottata dall’imperialismo quando la pretesa della semplice vittoria militare si rivelò un’illusione.

La risultante di tutto ciò è l’Iraq di oggi. O forse, e più realisticamente, il Medio Oriente di oggi, con una guerra complessa ed estesa, in cui è comunque centrale (anche se non è del tutto riconducibile ad essa) la fitna, la guerra di religione tra sciiti e sunniti. Una guerra che ha causato, tra le altre cose, l’esodo dei due terzi della comunità cristiana rispetto ai tempi del governo del Baath.

Tareq Aziz ha vissuto l’attuale sfacelo del suo paese tra le mura del carcere. Noi non vogliamo qui difenderne ogni scelta politica, ma ci pare giusto e doveroso rendere onore ad un uomo che è morto a testa alta.