«La capacità del governo greco di raggiungere una soluzione equa con determinazione, con incrollabile impegno rispetto ai suoi obiettivi, sarà giudicata in base al risultato».
Dal discorso di Tsipras del 16 giugno ai parlamentari di SYRIZA.

Mentre mancano solo due giorni all’inizio del Forum internazionale di Atene “L’euro è il problema, l’uscita la soluzione” è piombata da Bruxelles la notizia che l’accordo tra la troika ed il governo di SYRIZA è cosa fatta.

E’ accaduto quel che temevamo, messa alle strette dall’euro-germania, la piccola Grecia ha dovuto soccombere.

Cosa infatti prevede il protocollo d’intesa siglato ieri sera e che, salvo improbabili colpi di scena, entrerà in vigore la prossima settimana? Prevede che il governo di SYRIZA, venendo meno al programma che gli aveva fatto vincere le elezioni a gennaio, è obbligato a perseguire una politica economica e di bilancio dal segno inequivocabilmente austeritario e neoliberista.

Il nostro giudizio è esagerato? Proprio no.

Vediamo infatti quali saranno le misure previste:
«Sul piatto, Atene ha messo misure fiscali permanenti per il 2% del Prodotto interno lordo (per i tecnici del Brussels Group dovevano essere al 2,5% del Pil, ma c’è spazio per recuperare risorse altrove) per complessivi 7,5 miliardi di euro. Tsipras ha aperto anche sulle pensioni prevedendo il blocco dei prepensionamenti dal 2016 (e un successivo innalzamento dell’età della pensione) per un risparmio complessivo pari all’1,4% del pil entro la fine dell’anno prossimo (a quanto pare più di quanto chiedessero gli stessi creditori). Poi ha annunciato una sovrattassa di solidarietà per chi ha un reddito superiore a 30 mila euro l’anno e per le società con utili oltre i 500 mila euro. Inoltre la spesa militare verrebbe ridotta di 200 milioni di euro nel 2016. Infine la tagliola ‘automatica’ alle spese se queste superano la regola dello ‘zero deficit’. Alcune delle proposte incluse nel piano che Atene ha presentato ai creditori sono state anticipate dal ministro dell’Economia greco, Giorgios Stathakis, alla Bbc: “Nuove tasse sui ricchi e sulle aziende, un aumento dell’Iva su alcuni prodotti ma non sull’elettricità, non ulteriori tagli a pensioni e stipendi pubblici”. Lo stesso Stathakis ha ammesso che non ci sarà un accordo sulla ristrutturazione del debito, nonostante le pressioni di Syriza». [La Repubblica del 23 gennaio]

Una politica economica e di bilancio, come si vede, in sostanziale continuità con quella dei governi delle destre, e nel pieno rispetto dei dettami della troika e dei due dogmi tanto caro ai neoliberisti, quello per cui allo Stato è impedito attuare una politica economica interventista, ad esempio stimolando il ciclo economico spendendo più di quanto incassa, e che il rimborso del debito è il primo ed inderogabile comandamento. Ergo: in vista del pareggio di bilancio, tagli alla spesa pubblica e aumento delle tasse, dirette e indirette sui lavoratori, i pensionati e le imprese.

Queste misure, oltreché ingiuste socialmente, avranno un pesante ed indiscutibile impatto recessivo sulla disastrata economia greca — tanto per farsi un’idea più precisa della dimensione della stretta di bilancio accettata da Tsipras (2% su Pil): è come se il governo Renzi varasse una manovra da 33 Miliardi! Fra un anno la Grecia sarà da capo a quindici: in pieno marasma economico e sociale, col debito intatto se non in crescita nelle sue dimensioni e quindi con il default e l’uscita dall’eurozona sempre alle porte.

La cosa che rende il tutto ancor più tremendo, come sottolinea lo stesso ministro dell’economia greco Stathakis, è che SYRIZA ha accettato questo accordo senza avere in cambio alcuna certezza sulla ristrutturazione del debito.

Una resa umiliante alle condizioni dei creditori euro-tedeschi.

Quello che infine rasenta l’assurdo è che queste misure recessive sono adottate, com’è noto, allo scopo di ottenere da Bce e Unione gli “aiuti” finanziari già contrattati i quali andranno a finire nelle tasche, non della Grecia, ma dei suoi creditori. Il tutto si risolverà insomma in una farsesca partita di giro.

SYRIZA ora va consolando i greci (ed i suoi attivisti letteralmente scioccati) dicendo non solo che di più non si poteva ottenere, ma che questo è un buon accordo poiché… “anche i ricchi piangono”. Senza nemmeno lo scambio di una ristrutturazione del debito — ciò che lo stesso Tsipras aveva definito condizione imprescindibile — questa che “anche i ricchi piangono” è un alibi demagogico che non porterà molto lontano. I ricchi greci hanno già da tempo messo in salvo all’estero i loro danari e alla fine il peso della stretta economica ricadrà sulle spalle della povera gente.

Non è difficile immaginare che SYRIZA, che per principio ha escluso la via dell’uscita dall’eurozona, pagherà presto ed a caro prezzo questo cedimento. Ciò che è più grave è che questo accordo bastardo, per quanto dimostri in maniera evidente che quello dell’euro è un regime che “si abbatte e non si cambia”, dando così torto a chi, come Tsipras e soci scommetteva sulla certezza che a partire dalla Grecia si sarebbe cambiata l’Unione, rischia di uccidere la speranza di cambiamento che aveva risvegliato i greci, alimentando disincanto e pessimismo, di converso aumentando il rischio di un’avanzata del neofascismo.

Cosa farà ora la sinistra interna di SYRIZA? Lafazanis si dimetterà? I suoi trenta parlamentari daranno la fiducia al governo senza la quale si andrebbe ad elezioni anticipate? C’è da essere pessimisti. Per una strana regola greca se si va ad elezioni anticipate le direzioni dei diversi partiti hanno l’obbligo di seguire la procedura delle liste bloccate. Tsipras nei giorni scorsi è stato chiaro, ricattando la sinistra interna: “se non mi date la fiducia, nessuno di voi verrà ricandidato”.

Non è una novità che le minacce hanno un certo qual peso nella lotta politica. E per dei parlamentari, ne sappiamo qualcosa in Italia, il timore di perdere lo scranno, spesso prevale sui ragionamento politici e sulla coerenza.

Speriamo di sbagliarci. Meglio una scissione di SYRIZA ed andare al voto. Sarebbe l’occasione per spiegare ai greci che… l’euro è il problema e solo l’uscita la soluzione.

da sollevAzione