Il referendum greco di domenica prossima è certo uno snodo cruciale per il futuro di tutta l’Unione europea. Che sia di portata storica non lo credo. Non ritengo che una costruzione diabolica, pervasiva e sofisticata come l’Unione europea possa crollare con un referendum, tanto più di un paese periferico come la Grecia.

La frazione dei falchi guidata dal governo tedesco sapeva quello che faceva quando, il 25 giugno — mentre l’accordo sembrava al mondo cosa fatta vista la indecente proposta del governo greco —, messe in un angolo le colombe, avanzava il suo ultimatum. Sapeva che Tsipras non avrebbe potuto accettarla per quanto era crudele. Per rovesciare il governo greco i falchi dovevano tirare la corda ed avevano messo nel conto che si sarebbe potuta spezzare. Com’è avvenuto.

La spietata durezza dei falchi guidati da Berlino fa ora apparire Tsipras e Varoufakis come cavalieri coraggiosi e intrepidi paladini del popolo greco. Ahimé non è così. I due non perdono occasione per dire che sono stati costretti a rompere il negoziato e quindi ad indire controvoglia il referendum; che essi non desiderano l’uscita dall’euro né riprendersi la sovranità monetaria; essi dicono anzi che una vittoria dei NO li aiuterà a riaprire il negoziato ed a salvare l’Unione europea.

Che vada a finire in questa maniera non è affatto escluso. E’ del tutto possibile che Tsipras, confortato dal consenso dei cittadini, tornerà a Bruxelles (con l’aiuto di Obama) con il capello in mano a mendicare un… “accordo onorevole” di sudditanza.

Ciò non giustifica la posizione settaria e francamente infame del Partito comunista greco (Kke) per cui occorre votare scheda bianca. Ben al contrario!

Occorre che la vittoria del NO sia schiacciante, e che lo sia con un alta percentuale di votanti.

Una vittoria piena del NO sarebbe un colpo comunque letale non solo ai falchi euro-tedeschi ma farebbe barcollare l’edificio eurocratico.

Per questa vittoria occorre la più vasta ed urgente mobilitazione, un fronte il più ampio ed unito.

Una vittoria risicata, quindi debole, è il risultato che Tsipras preferisce, poiché giustificherebbe la sua ostinata ricerca di un nuovo compromesso con gli euroligarchi.

Il fronte degli euristi, Junker in testa, allo scopo di terrorizzare i greci, ha mobilitato la sua potente corazzata mediatica per dire che il vero oggetto del referendum è se restare o uscire dall’eurozona, Tsipras da parte sua sta disperatamente tentando di dire il contrario, chiede una proroga del piano di aiuti, e insiste che il quesito è per rispondere con un NO o con un SÌ alla proposta-diktat della troika del 25 giugno. In effetti questo sta scritto sulla scheda che i greci troveranno ai seggi.

Tsipras sceglie insomma, testardamente, il basso profilo, proprio per depotenziare il significato politico di questo referendum che obtorto collo ha dovuto indire.

Nel frattempo il governo greco, a corto di liquidità, ha dovuto bloccare la fuga dei capitali e annunciare che non pagherà al Fmi la rata di 1,6 miliardi in scadenza oggi. Scelte pressoché obbligate. Di fatto, quest’ultima misura, significa il default della Grecia, la dichiarazione dello stato di insolvenza — che, ripetiamolo  non è come dicono i media “bancarotta”, poiché uno Stato non può andare in bancarotta. Ciò ha determinato un apparente panico nelle borse, coi Tg che annunciano che “sono stati bruciati 300 miliardi” — “bruciati”? ma se qualcuno ci ha rimesso qualcun altro di sicuro ci ha guadagnato o spera di guadagnarci.

Esistono insomma, almeno sulla carta, margini di manovra, spazi per un accordo per tenere la Grecia nell’eurozona. Che è proprio ciò che disperatamente sperano Tsipras ed i suoi. E lo sperano perché una rottura definitiva con l’eurocrazia sarebbe la dimostrazione più evidente del totale fallimento della loro strategia impossibile, quella di tenersi l’euro e di porre fine all’austerità. Varoufakis e Tsipras scongiurano l’uscita, non perché, come dicono in pubblico, sarebbe una “catastrofe”, bensì perché dovrebbero ammettere che hanno perso la loro presuntuosa quanto infantile scommessa di “cambiare l’Europa”. E quando dicono che non hanno un “Piano B”, dovete credergli, non perché non ci sarebbe un “Piano B”, ma perché lo respingono per ragioni ideologiche, perché vogliono ad ogni costo restare nell’Unione.

La situazione è quindi drammaticamente seria. Mentre il nemico porta un attacco frontale e su tutta la linea, mentre tutto dimostra che l’euro-dittatura non è riformabile, lo Stato maggiore dell’aggredito esita, non ha un piano degno di questo nome, né per la difesa né per il contrattacco.

Ognuno di noi deve a maggior ragione fare la sua parte per la vittoria del NO. Una consistente vittoria al referendum, a causa del carattere pusillanime dei generali alla sua testa, non metterà al riparo il popolo greco, ma almeno arresterà momentaneamente l’avanzata del nemico e, ci auguriamo, consentirà molto presto di sparare sul Quartier generale, nella speranza che sia smentita la triste massima che “ogni popolo ha il governo che si merita”.

Piazza Syntagma, 28 giugno: Sotiris Panagiotis legge l’appello finale per il NO approvato al Forum