L’accordo Usa-Iran e il caos mediorientale

L’accordo-bomba sul nucleare iraniano venne annunciato agli inizi di aprile. L’impegno era quello di perfezionarne i contenuti entro il 30 giugno. Sono state necessarie due settimane in più, ma la sostanza non cambia. Alla fine i negoziatori statunitensi ed iraniani, con il contributo attivo dei russi – le altre potenze presenti (Francia, Gran Bretagna e Germania) hanno giocato un ruolo del tutto secondario -, si sono accordati su uno scambio tra lo stop al nucleare iraniano e la fine delle sanzioni imposte a Teheran.

Ad aprile commentammo con un articolo intitolato «Non di solo nucleare si tratta», e per capire il senso dell’accordo annunciato il 14 luglio è da lì che bisogna ripartire. Non solo perché i termini dell’intesa sono rimasti sostanzialmente quelli, ma perché la sostanza di questa svolta è anzitutto politica, anzi geopolitica.

Naturalmente, il tempo trascorso da aprile è stato utilizzato per precisare dettagli importanti, soprattutto quelli concernenti il dispositivo delle ispezioni. I controlli nei siti iraniani non potranno essere immediati e senza preavviso. I tecnici dell’Aiea potranno avere l’accesso a questi impianti solo dopo un iter procedurale che potrebbe durare fino ad un massimo di 24 giorni dalla richiesta.

In ogni caso sono evidenti le concessioni fatte dall’Iran allo scopo di mettere fine delle sanzioni. Una fine che non sarà immediata, ma che interessa anche le controparti occidentali, a partire dalle compagnie petrolifere ma non solo. E’ un fatto che diversi ministri degli esteri europei abbiano già programmato una serie di visite a Teheran, nelle quali si parlerà soprattutto di affari.

Intanto nella capitale si festeggia. Ai nuovi ricchi della borghesia iraniana l’occidente piace molto. E’ questa classe che ha lottato in tutti i modi per fare fuori la politica antimperialista di Ahmadinejad. Ed il passaggio da Ahmadinejad all’attuale presidente Rohani – se non proprio un “regime change”, un cambio di governo assai sostanziale negli orientamenti di fondo – è stata la premessa che ha reso possibile l’accordo di Vienna.

Un gigantesco matrimonio di interessi

Sia chiaro, non è che con questo accordo l’Iran diventi un semplice alleato degli USA. La strategia americana in Medio Oriente è in realtà assai più complessa e articolata, così come quella del governo di Teheran mira a costruire le condizioni affinché l’Iran possa affermarsi come potenza regionale. Ognuna delle due parti ha dei precisi interessi in questo accordo. Vediamoli.

Obiettivi ed interessi USA:
1. Tentare di sganciare l’Iran dall’alleanza con Mosca e Pechino.
2. Riequilibrare le alleanze in Medio Oriente.
3. Utilizzare l’Iran, specie in Iraq, in funzione anti-Isis.

Obiettivi ed interessi Iran:
1. Porre fine alle sanzioni.
2. Acquisire maggiore libertà di movimento nella regione, soprattutto in Iraq.
3. Tornare da protagonista nel mercato energetico.

Obiettivi ed interessi comuni a USA ed Iran:
sconfiggere il progetto del califfato dei takfiri dell’Isis

Entriamo nel dettaglio, sempre in maniera sintetica:

a) Da parte americana i vantaggi sono essenzialmente di natura strategica. Nell’area mediorientale gli USA hanno ora un sistema di relazioni piuttosto solido con tutte le potenze della regione. Se quella con Israele rimane un’alleanza dai caratteri eccezionali, nonostante gli scontri verbali di questi giorni, noti sono i rapporti con la Turchia (membro Nato), l’Arabia Saudita e l’Egitto. A questi paesi si aggiunge ora l’Iran.

b) In questo modo l’influenza americana si allarga dal mondo arabo a quello persiano, dal campo sunnita a quello sciita. La complessa strategia obamiana, fatta di alleanze a geometria variabile, ne risulta perciò rafforzata. Questo non significa, come pensano i complottisti, che in questo modo non si muoverà foglia che la CIA non voglia. Non è più così, ammesso che lo sia stato in passato. Ma è proprio perché non è più così, perché la potenza globale degli USA si è indebolita dopo l’impantanamento iracheno, che gli USA hanno bisogno di giocare su più tavoli.

c) Un gioco che significa, ad esempio, appoggiare l’Arabia Saudita contro l’Iran nello Yemen e l’Iran contro i sauditi in Iraq. Lo scopo è quello di impedire l’affermarsi di una potenza regionale troppo forte. Nel caso specifico dell’Iraq è assai probabile che l’accordo di Vienna dia un sostanziale via libera ad un maggior impegno di Teheran contro l’Isis. Fino a dove potrà arrivare questo impegno è presto per dirlo, ma in ogni caso gli americani preferiscono che siano altri (in questo caso l’Iran) a togliergli le castagne dal fuoco. E intanto il governo di Baghdad ha annunciato un’iniziativa militare per riprendere il controllo della provincia di Al Anbar.  

d) Da parte iraniana, oltre agli aspetti strategici, contano – e non poco – quelli economici. La fine delle sanzioni comporterà per Teheran lo sblocco di una cifra oscillante tra i 50 ed i 150 miliardi di dollari, mentre nel campo petrolifero l’Iran dovrebbe arrivare entro un anno a raddoppiare le proprie esportazioni. Un incremento che potrebbe avere conseguenze pesantissime sul prezzo del petrolio. Quando si parla di aspetti economici con riferimento all’Iran non si deve pensare ad un paese del terzo mondo. L’Iran ha un’economia relativamente sviluppata (ad esempio produce un milione e mezzo di automobili all’anno, quasi quattro volte la produzione italiana), ma ha un notevole bisogno di svilupparsi. Questo anche a causa della forte crescita demografica: su 80 milioni di abitanti il 50% ha meno di 30 anni.

e) Ma ci sono anche altri elementi da considerare, certo non secondari. Visto da Teheran, e dalla parte di popolazione più filo-occidentale, l’accordo segna la fine dell’isolamento. L’Iran esce dalla lista degli “Stati canaglia”, quelli messi costantemente sotto tiro dall’imperialismo occidentale.

f) In quanto agli aspetti geopolitici è chiaro che da ora in avanti l’Iran avrà maggiore possibilità di movimento su tutto lo scacchiere mediorientale. Come questa carta verrà giocata è tutto da vedere, ma il vantaggio acquisito è del tutto evidente. Diversamente non si capirebbero gli strilli di Israele ed Arabia Saudita.

Questi sono, a grandi linee, i fattori che hanno portato al gigantesco matrimonio d’interessi che si è consumato a Vienna. Un matrimonio d’interessi che potrebbe forse rivelarsi decisivo nel progetto americano di ridisegno complessivo del Grande Medio Oriente. E’ presto per dire se le cose andranno veramente così, ma di sicuro il banco di prova davvero cruciale dei nuovi rapporti tra USA ed Iran sarà la Siria.

In Siria niente fa pensare che il conflitto possa avviarsi ad una soluzione in tempi brevi, né gli attori che si combattono sul terreno sono semplici marionette dell’una e dell’altra parte. Proprio per questo un tentativo di compromesso in Siria sarebbe la prova provata della costruzione di nuovi equilibri in Medio Oriente. Nuovi equilibri che ad oggi restano fortemente contrastati nel Congresso e nell’intero establishment americano.

Dagli accordi di Vienna i cosiddetti “falchi”, quelli che sono stati definiti nel decennio scorso “neocons“, escono sconfitti. Così come, in Iran, esce sconfitta la componente dichiaratamente antimperialista. Negli Stati Uniti ha vinto la linea del divide et impera, quella che punta a giocare sulle divisioni nell’Islam, piuttosto che su una fallimentare “Guerra di civiltà” modello Bush jr.

Vedremo nel tempo quanto questa vittoria si rivelerà solida. Nel 2016 si terranno le elezioni presidenziali e non è certo da escludersi una nuova svolta in senso “bushista” della politica estera americana. E’ esattamente su questo che punta Israele, che sa anche di poter giocare su una potente lobby sionista all’interno degli USA.


Conclusione

L’accordo USA-Iran è certamente un fatto di grande rilevanza, una vera svolta negli equilibri mediorientali, anche se prima che se ne vedano tutti gli effetti dovrà passare del tempo. Intanto vedremo cosa accadrà sul banco di prova iracheno. Poi vedremo la reazione saudita e quella delle altre potenze sunnite (Turchia, Egitto).

Quel che è certo è che dell’asse anti-imperialista Teheran-Damasco-Beirut resta ormai solo l’ombra. La Grande Guerra Mediorientale si svolge lungo profonde faglie religiose e settarie, che si intersecano con gli interessi delle potenze regionali e con quelli dell’imperialismo occidentale. All’interno di quest’ultimo, gli USA – anche grazie agli accordi di Vienna – confermano la loro assoluta preminenza.

I movimenti e le resistenze antimperialiste, come quella palestinese e quella di Hezbollah in Libano, si trovano ad agire in questo complicato ginepraio. A loro deve andare il massimo sostegno degli antimperialisti, così come va sostenuta la lotta dei guerriglieri Houthi per uno Yemen libero e indipendente.


Campo Antimperialista – sezione italiana