Un’intervista di Enrico Letta a Limes
La descrizione dell’Unione Europea nelle parole di un ultras dell’europeismo

Da un po’ di tempo tutte le colpe sono della Germania. E’ così al bar, sulla spiaggia, nei media e nei discorsi delle èlite. Curiosamente, questi discorsi vengono in genere dagli stessi che fino a poco tempo fa sostenevano addirittura la necessità di diventare come la Germania. Ma, si sa, i tempi cambiano…

Prendiamo, ad esempio, il titolo di questo articolo. Che non è nostro, bensì quello che la rivista Limes ha dato ad un’intervista di Lucio Caracciolo e Fabrizio Maronta ad Enrico Letta. Intervista in realtà interessante ed istruttiva. Almeno per chi vuol provare a capire cosa sia davvero la mitica Europa.

Sia pure col suo solito stile compassato, Letta junior ne ha per tutti. Del resto mica vuol passare tutto il resto della sua vita a prendersela solo con Renzi… Ovviamente, trattandosi di un inarrivabile ultras dell’europeismo delle èlite, i suoi rilievi all’attuale funzionamento dell’UE non lo portano certo ad una qualche revisione dei suoi convincimenti di fondo, bensì alla solita perorazione del «più Europa».

Ma come perseguire concretamente oggi questo obiettivo? Con la costruzione di «Un’Europa a due velocità», che Letta così immagina: «Da un lato, i 19 paesi della zona euro, che condividano sempre più profonde forme di integrazione, a partire da un bilancio unico e da una politica fiscale comune. Dall’altro lato l’Europa a 28, con Stati come il Regno Unito attivamente e convintamente a bordo».

Ora, a parte la contraddizione in termini di un’«Unione» che per essere tale ha bisogno di due velocità, come pensa Letta junior di poter realizzare il «bilancio unico» tra i paesi dell’eurozona? Il successore di Monti, ovviamente non ce lo spiega. Ma dato che «bilancio unico» significherebbe giocoforza mutualizzazione del debito, chi va a Berlino per convincere Merkel e Schaeuble? Lui no. Adesso insegna a Parigi e può dare più agevolmente fiato alla bocca…

Ma lasciamo perdere, mica possiamo pretendere che Letta diventi “euroscettico”. Altre sono le cose interessanti che egli dice. La prima, che la crisi dell’Europa è reale; la seconda, che essa dipende dalla ri-nazionalizzazione delle politiche; la terza, che in questo quadro chi comanda è comunque la Germania.

Senza dubbio non si tratta di chissà quali novità. Letta del resto non ha mai dato prova di un qualche pensiero originale. Tuttavia le sue parole non vengono da un banale commentatore, bensì da un ex presidente del consiglio, da sempre inserito nei più alti consessi oligarchici nazionali ed europei.

Prestiamogli dunque la dovuta attenzione. Per Letta la crisi europea deriva dal fatto che le politiche restano nazionali, mentre i problemi da risolvere sono per loro natura sovranazionali. Fin qui è la solita solfa che ascoltiamo da anni, senza che mai provassero a spiegarci il perché di questo mancato passaggio al sovra-nazionale. Ma in realtà l’ex premier dice qualcosa di più. Leggiamo:

«Purtroppo, in questi otto anni di crisi l’Europa ha subito un’involuzione: le istituzioni comunitarie hanno ceduto terreno alla contrattazione intergovernativa, ma dato che i governi nazionali rispondono ai rispettivi elettorati, difficilmente faranno l’interesse europeo a Bruxelles, a meno che questo non coincida incidentalmente con il loro».

La fotografia è precisa. La crisi ha disvelato quel che prima l’ipocrisia unionista in qualche modo mascherava. La ri-nazionalizzazione delle politiche è ormai un dato di fatto. E Letta ci spiega qual è – a suo giudizio – il simbolo di questo processo: l’accentramento dei poteri nel Consiglio europeo, a scapito di quello delle altre istituzioni comunitarie (Commissione in primis).

Su questo punto cruciale, leggiamo di seguito alcuni significativi passaggi dell’intervista:

«Nel mio periodo come presidente del Consiglio ho toccato con mano la progressiva trasformazione dell’Europa in senso intergovernativo». E ancora: «Ho assistito a questa trasformazione della vita dell’Unione, che ha visto emergere come organo centrale il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo».

Il risultato? Più o meno questo: «Al termine dei Consigli, il momento importante non è la conferenza stampa istituzionale, di solito piuttosto noiosa, bensì quelle dei singoli governi, che riportano ai rispettivi mass media la propria versione dei fatti. Queste narrazioni ad uso e consumo interno producono esiti paradossali: il giorno dopo, sui giornali dei ventotto Stati membri si leggono spesso ventotto “verità” diverse, come se non si fosse trattato del medesimo vertice».

Letta, sempre parlando del Consiglio europeo, si lamenta poi della trasformazione di un’istituzione priva sulla carta di veri poteri decisionali, cui erano originariamente demandate risoluzioni di tipo puramente indicativo, nell’alfa e l’omega della vita comunitaria.

Ma se è in questo organismo che si prendono le decisioni che contano, chi lo convoca? Chi ne fissa l’ordine del giorno? Ecco a voi l’illuminate risposta:

«L’ordine del giorno è fissato dal presidente del Consiglio europeo, che lo concorda con il presidente della Commissione. E di norma, ancorché informalmente, con il governo tedesco (sottolineatura nostra). Negli ultimi anni la Germania ha assunto un ruolo chiave che si riflette anche in sede di discussione, laddove durante i vertici la posizione di Berlino è lo spartiacque che determina gli schieramenti sulle singole questioni».

Anche qui, da parte nostra, nessuna sorpresa. Ma è assai interessante che un’ammissione del genere, su chi comanda davvero in Europa, arrivi da un ex capo di governo. Ci verrebbe da chiedergli cosa egli abbia mai fatto per cambiare questo stato di cose, ma non spariamo sulla Croce Rossa.

Ci interessa invece tornare al punto iniziale. Alla curiosa contraddizione di chi prima ci voleva tutti tedeschi ed adesso scarica invece tutte le colpe sulla Germania. Non sarà che entrambe queste pretese, apparentemente contraddittorie, siano in realtà figlie del medesimo fallimento del progetto europeo? Un fallimento di cui, fino a poco tempo fa, si accusavano i popoli del sud del continente, colpevoli di essere spreconi e poco produttivi. Ora, che questa narrazione fa acqua da tutte le parti, ecco che spunta il tedesco cattivo, uno stereotipo buono per tutte le occasioni.

Che la Germania comandi in Europa, che i suoi interessi si leggano in ogni scelta dell’Unione, che grazie all’euro essa abbia lucrato ingenti vantaggi competitivi, nonché tassi di interesse inferiori all’inflazione, lo sappiamo e lo diciamo da tempo. Ma che forse gli altri governi non sono stati servilmente compiacenti con queste scelte e questi meccanismi? Che forse le classi dominanti italiane, a dispetto dello stesso interesse nazionale, non si sono avvantaggiate anch’esse delle politiche austeritarie e liberiste promosse dall’Europa?

Ma per favore…

Il problema non è nei cattivi tedeschi, ma in una costruzione mostruosa che si è voluta edificare per colpire ogni diritto sociale, per privatizzare tutto il privatizzabile, per precarizzare tutto il precarizzabile. E’ in questo contesto che i governi tedeschi hanno potuto imporre i propri interessi nazionali. E le nazioni dell’area mediterranea ne hanno fatto le spese.

Ma perché il processo di ri-nazionalizzazione dell’Europa appare inarrestabile? Ad un certo punto dell’intervista, Letta sembra avvicinarsi al succo del problema: «Del resto, non si può pretendere che i leader nazionali si comportino necessariamente anche come leader europei: essi rispondono alle proprie costituencies. In assenza di un demos europeo che produca leader comunitari in grado di esprimere una visione continentale, restiamo prigionieri della logica nazionale».

Ma guarda un po’ che strano! E come pensa Letta di costruire questo “demos mancante”? In laboratorio, oppure semplicemente annullando insieme a quelli sociali anche ogni diritto democratico? Di sicuro, come direbbe il comico, “la seconda che hai detto”. Perché certi europeisti sono in realtà ben più pericolosi dei cattivi tedeschi. I quali esistono, ma solo in virtù di quella mostruosa creatura che quelli come Letta semplicemente adorano. E dalla quale, invece, noi ci vogliamo liberare. Il più presto possibile.