Guerra dell’energia (2)
Oggi parliamo di gas
Gas e petrolio vanno a braccetto. In primo luogo perché sono in buona parte intercambiabili. In secondo luogo perché maggiori produttori e maggiori consumatori coincidono largamente. In terzo luogo perché i prezzi del primo sono strettamente legati a quelli del secondo. Infine, perché nell’offensiva americana in corso non c’è solo lo shale oil, ma pure lo shale gas.
Oggi comunque parliamo di gas. E soprattutto degli aspetti geopolitici connessi alla partita in corso tra Unione Europea (pressata dagli Usa) e Russia. L’articolo che proponiamo è di un esperto del settore, Demostenes Floros, il quale – riguardo all’esigenza di perseguire l’indipendenza energetica dell’Italia – approda ad una conclusione ben precisa: quella della necessità di sganciarsi dalle politiche europee. Politiche – aggiungiamo noi – dettate dalla linea violentemente anti-russa dell’amministrazione americana.
Il gas della Russia e l’indipendenza dell’Italia
di Demostenes Floros
Da anni l’Europa cerca invano un’alternativa energetica a Mosca. È in ballo la sicurezza nazionale: non possiamo lasciare la nostra politica energetica al resto dell’Ue.
Dopo avere aperto luglio poco sotto 1,12€/$, il dollaro si è apprezzato nei confronti dell’euro spingendosi fino a quota 1,08€/$ sulla scia dell’accordo sul nucleare iraniano. Durante l’ultima decade del mese, complice la decisione della Fed di rinviare il rialzo dei tassi di interesse, il cambio si è stabilizzato attorno a quota 1,09€/$.
Nel contempo, il prezzo del petrolio è crollato. La qualità Brent è calata da 62 a 53 dollari al barile [$/b] circa, il Wti da 57$/b a 48$/b.
Le cause sono quattro:
1. Il perdurare dell’eccesso dell’offerta sulla domanda, nonostante quest’ultima sia stimata in crescita di 1.4 milioni di b/d nel 2015 e di 1.2 milioni di b/d nel 2016. Pur in presenza della stabilizzazione della produzione di petrolio statunitense malgrado un modesto calo della componente del fracking, si addensano le nubi all’orizzonte in merito alla sostenibilità finanziaria del tight oil made in Usa. Dall’evolversi di questa situazione, si decreterà il successo o l’insuccesso delle strategie saudite nei confronti dei produttori Non-OPEC e dei cosiddetti frackers.
2. L’accordo sul nucleare iraniano, che in una prospettiva non immediata potrebbe rafforzare ulteriormente l’output.
3. Il parziale rafforzamento del dollaro.
4. Il crollo della Borsa cinese. Il petrolio, oltre ad essere una materia prima, è anche un asset finanziario e Pechino influenza sempre più entrambi gli aspetti.
Al Forum economico internazionale di San Pietroburgo, i rappresentanti di Gazprom (Federazione Russa), E.On (Germania), Royal Dutch-Shell (Olanda-Regno Unito) e Omv (Austria) hanno firmato un Memorandum di Intenti per il raddoppio dell’attuale pipeline denominata Nord Stream. Attraverso i fondali del Mar Baltico, la capacità di trasporto di gas naturale russo all’Europa passerà da 55 a 110 miliardi di metri cubi all’anno.
Questa opzione è in continuità con la volontà di Mosca di non voler rinnovare il contratto di transito con il sistema infrastrutturale gasiero ucraino in scadenza nel 2019 ed è complementare con il progetto del gasdotto Turkish (Greek) Stream il quale, probabilmente grazie alla costruzione di due linee e non più quattro, rifornirà la Turchia e i Balcani dopo aver attraversato i fondali del Mar Nero.
Da un punto di vista della geopolitica dell’energia, tale scenario che cosa potrebbe implicare per l’Europa e per l’Italia? Per tentare di rispondere a questa domanda, dobbiamo anzitutto chiederci se il gas russo sia effettivamente sostituibile.
In un primo momento, l’Europa ha ritenuto di poter sostituire il gas naturale russo – nel 2014, 146,6 miliardi di metri cubi – con lo shale americano. Secondo Massimo Nicolazzi, il gas americano “non può sovvertire l’assetto energetico russo-europeo per capacità di approvvigionamento, per il costo degli impianti, per le tipologie di contratto”.
Un secondo tentativo volto a sostituire o comunque a ridurre fortemente le importazioni del gas naturale russo ha coinvolto l’Algeria. Secondo il presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli, “l’incapacità di elaborare politiche energetiche efficienti – e allettanti per le compagnie straniere – al fine di riammodernare il settore degli idrocarburi di Algeri ha provocato una fase di stallo”. Infatti, dati alla mano, nel 2014 l’Algeria ha contribuito all’approvvigionamento del gas naturale dell’Europa per il 6% e dell’Italia per l’11% (trend in forte calo visto il 20% nel 2013).
Se per il paese nordafricano il problema non attiene l’ammontare di risorse/riserve, bensì la necessità di attrarre investimenti e tecnologie stranieri, per altri storici fornitori dell’Europa e dell’Italia – quali la Norvegia e l’Olanda – il problema è l’impossibilità di mantenere l’output produttivo attuale visto il superamento del picco del gas. Oltre a ciò, per il governo olandese si pone la grave incognita del rischio sismico nell’area di Groningen.
Da ultimo, circa la strategia energetica dell’Ue, un tentativo avente l’obiettivo di limitare il peso dell’approvvigionamento energetico russo ha riguardato il Mar Caspio. I progetti riconducibili alle riserve azere del giacimento Saha Deniz II – in particolare, il Corridoio Meridionale composto dalla somma di tre gasdotti, il South Caucasus Pipeline di cui solo ora si sta predisponendo l’upgrade + Trans Anatolian Pipeline e Trans Adriatic Pipeline, entrambi ancora da costruire – contribuiranno solo marginalmente alla riduzione della dipendenza di gas naturale russo da parte dell’Europa. A condizione che non abbia ragione il presidente azero Ilham Aliyev, che a febbraio diceva: “Francamente, con il prezzo del petrolio poco sopra i 50 dollari al barile sarà molto difficile rendere questo progetto commercialmente profittevole”.
Tramontata l’ipotesi di creare un consorzio paritetico fra Federazione Russa, Ucraina e Ue avanzata dall’ex presidente della Commissione Romano Prodi, la Germania – grazie al gas russo – diverrebbe il principale hub energetico europeo.
Nel 2014, l’Italia ha utilizzato il gas naturale per il 34% dei propri consumi di energia primaria (149 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, Mtep). Dal momento che il 42% del gas da noi consumato è giunto da Mosca attraverso i gasdotti dell’Ucraina, riteniamo lecito porci il tema della sicurezza energetica nazionale. La rescissione dei contratti di Gazprom con la Saipem (al 43% controllata di Eni) per la costruzione della prima linea del gasdotto Turkish Stream ha complicato ulteriormente la nostra situazione. Non è chiaro se si sia trattato di un disaccordo circoscritto alle due società, di un “danno collaterale della politica di Mosca” come pare suggerire Il Sole 24 Ore oppure degli effetti della politica estera statunitense in Europa.
L’Italia avrebbe dinanzi a sé due strade: potrebbe approvvigionarsi attraverso il secondo tubo della pipeline Turkish Stream (il primo verrà interamente utilizzato per la Turchia), il cui approdo sarà lo snodo di Baumgarten (Austria), quindi il Tarvisio. Questa opzione non sarebbe necessariamente in contrasto con il gasdotto Trans Adriatic Pipeline (Grecia-Adriatico-Italia), che potrebbe rifornirsi anche di gas russo facendo così venir meno alcuni limiti estrattivi e tecnici dei giacimenti del Mar Caspio dal quale si rifornirebbe. Oppure, Roma potrebbe approvvigionarsi attraverso il Nord Stream II (Federazione Russa-Baltico-Germania), la cui destinazione finale rimarrà comunque Baumgarten.
Se così fosse, la sicurezza energetica italiana potrebbe verosimilmente essere favorita da un’entrata di Eni nel capitale azionario del tubo sotto il Baltico. Così il progetto assumerebbe un carattere ancora più europeo in barba alla presunta “politica dei ricatti” del Cremlino. Di fatto, l’unica cosa certa è che Roma non può più permettersi di continuare a dipendere totalmente da Berlino, nelle politiche economiche (austerity) come in quelle energetiche.
Nonostante le sanzioni, il via libera dato dal governo conservatore di David Cameron alla britannica BP per l’acquisto del 20% dell’immenso giacimento di gas e petrolio di Taas-Yuryakh in Siberia (pagato 750 milioni di dollari cash) chiarisce perfettamente come si stanno riposizionando le grandi potenze nello scacchiere internazionale.
da limesonline