Confessiamolo subito: Marco Revelli non ci ha mai convinto. Nulla di personale, ovviamente. E neppure niente di grave, se non fosse per il ruolo che ha. E che esercita con una certa dose di supponenza. La colpa principale però non è sua, ma di chi ne ha fatto una specie di icona dei presunti “rifondatori” della sinistra.

Ma veniamo al dunque. Nel 2014 Revelli è stato uno dei promotori della Lista Tsipras, il pittoresco carrozzone che ha mandato a Strasburgo 3 parlamentari, due dei quali giornalisti de la Repubblica. L’originaria pretesa di far scaturire da quella lista abborracciata un soggetto politico è ben presto fallita, ma l’ambizione è rimasta. Fin qui tutto legittimo e normale. Qual è allora il problema? E’ presto detto: il problema è la profonda disonestà intellettuale del suo approccio alle attuali vicende greche. Disonestà non solo sua, ovviamente. Ma è proprio per questo che ce ne occupiamo, che se fosse solo sua il problema sarebbe assai modesto.

Leggiamo sul Manifesto di oggi un suo editoriale dal titolo «Tsipras aiuta le sfide d’autunno», che è come dire che la resa aiuta la lotta, che il voltafaccia è segno di credibilità, che il cedimento (e che cedimento!) è segno di forza. Ma per favore…

Sicuramente penserete che un intellettuale di tale spessore argomenti come si deve una tesi così ardita. Giudicate voi. L’articolo potete leggerlo QUI, e per fortuna è breve quanto sconcertante.

Revelli inizia prendendosela con i media mainstream, a partire da la Repubblica, che a suo dire presenterebbero Tsipras come uno sconfitto. A noi pare che sia vero il contrario (leggi QUI), che il sig. Tsipras abbia invece i media a favore: in Europa, in Italia ed in Grecia. E che è proprio grazie all’effetto di questo plauso mediatico, che ben esprime gli attuali interessi del blocco dominante, che egli sa di poter vincere le elezioni di settembre.

Ovviamente la stampa applaude al Tsipras versione Terzo Memorandum, quello che porterà alla trasformazione di Syriza nel Pasok 2.0. E cos’altro dovrebbe fare? Chiudersi gli occhi e rinunciare ad una vittoria così eclatante del pensiero unico euro-liberista?

Ma la lagna del sociologo torinese non finisce qui. Egli si dice colpito «che tra di noi qualcuno la pensi così, per lamentare un’esperienza finita o per gettare la croce sul cedimento di luglio».  Guai a pensarla così, che la verità fa male. Meglio raccontarsi balle, così almeno la morte ci troverà allegri…

Se per Louis Althusser «non raccontar(si) storie» era il primo atto d’onestà, per Revelli il raccontar(se)le sembra essere una scelta esistenziale ancor prima che un’esigenza editoriale. C’è solo l’imbarazzo della scelta.

La mossa di Tsipras di andare alle elezioni anticipate? «Un esempio di “Grande politica”». Mica un atto obbligato dopo aver perso il consenso di un terzo del gruppo parlamentare, mica una fretta dettata dall’esigenza delle oligarchie europee di avere una maggioranza assolutamente ligia ai commi del Memorandum. No, no, niente di tutto questo. Solo Grande politica.

Quella Grande politica che tiene assieme lo «spirito democratico» al «coraggio» del leader. Un «coraggio» leggendario, che a Bruxelles conoscono ormai bene. Mentre di certo lo «spirito democratico» è piuttosto rinfrancato da quel premio di maggioranza di 50 parlamentari, che ricorda così da vicino i nostri Porcellum ed Italicum.

Ma Revelli non racconta storie solo per tenersi di buon umore. Egli ha un obiettivo ben preciso: «la necessità di allargare il fronte dell’opposizione al neoliberismo e all’austerità nello spazio europeo, fuori da ogni tentazione sovranista o nazionalista». La lingua batte dove il dente duole. Ed è evidente che ciò che conta è quel «fuori da ogni tentazione sovranista o nazionalista». Un «fuori da» che è un’arrendersi a priori all’oligarchia eurista.

Questo è il Revelli-pensiero. L’ideologia di una sinistra-sinistrata che si muove a tentoni per rimettere insieme i litigiosi pezzi che la compongono. Una sinistra-sinistrata dove i galli a cantare sono certo di più delle idee da proporre. Dove in mancanza di queste c’è però il dogma: quello dell’euro che, se ancora non unisce, di certo unirà i popoli.

Naturalmente il problema non è Revelli. Il fondatore della Lista Tsipras è solo la punta di un iceberg. Egli, giusto per fare un esempio, cita tra le «sfide d’autunno» che lui ritiene «aiutate» da Tsipras, le elezioni spagnole. Che dire? Chiunque è in grado di capire che dopo la capitolazione greca di luglio le chance di Podemos sono piuttosto ridotte. Questo anche perché Podemos, al pari di Izquierda Unida, non ha saputo né voluto prendere le distanze dalle scelte del governo greco. Certo, Pablo Iglesias non è Marco Revelli, ma tutto ciò non gli gioverà di certo.

Tornando all’Italia, la verità è che bisogna guardare in faccia la realtà. Smetterla di raccontar(si) storie, costruire una strategia di liberazione dalla gabbia europea. Questo è il compito: dar vita ad una sinistra sovranista che sappia mettersi alla testa del processo di sganciamento dal capitalismo-casinò.

Chi invece non ce la fa proprio a dedicarsi alle cose serie, può sempre consultare il dibattito apertosi sulle pagine del Manifesto. Il titolo dice che «C’è vita a sinistra», ma gli interventi dimostrano esattamente il contrario. E l’unico articolo che ha posto la questione del superamento dell’euro e della inevitabile ri-nazionalizzazione dell’Europa (quello di Stefano Fassina) non è stato ripreso da nessuno, ma proprio nessuno. Una cosa abbastanza offensiva per l’autore, ma soprattutto assai indicativa del livello morale e culturale dei partecipanti al dibattito. Quelli che certo si riconoscono nelle storie di Revelli.