Qui di seguito l’intervento che Stefano Fassina  [nella foto] ha svolto all’incontro svoltosi ieri a Parigi (di cui davamo conto l’11 settembre) ed al quale hanno partecipato Oskar Lafontaine, Jean-Luc Mélenchon e Yanis Varoufakis.

Un intervento molto significativo poiché Fassina, oltre a ribadire che la moneta unica ha fallito, conferma la sua ferma condanna della capitolazione di Tsipras  — su quali basi egli si è imbarcato nell’impresa di dare vita qui da noi ad un nuovo partito arcobalenico con i sinistrati altreuropeisti che difendono sia l’euro che la capitolazione di Tsipras… questo chiedetelo a lui.

Intervento doppiamente significativo poiché Fassina mette finalmente in chiaro la sua posizione strategica, il suo “Piano B”. Eccolo qua in due punti: (1) dissoluzione concordata della moneta unica — no a rotture unilaterali dunque; (2) salvare l’Unione europea per evitare “rischi di rotture nazionalistiche e xenofobe”.

Condannata la gabbia dell’euro, si resta prigionieri del recinto ideologico europeista e antisovranitario, proprio quel recinto in cui la sinistra sta marcendo. Cosa abbiamo da dire, nello specifico, di questo “Piano B”, della “dissoluzione concordata”?

Questo “piano”, come del resto andiamo segnalando da un paio d’anni, ha tre difetti, uno peggiore dell’altro: (1) una separazione armoniosa e consensuale tra 19 stati tanto diversi tra loro è velleitario — anche solo il sentore di uno smontamento dell’eurozona scatenerebbe un disordinato fuggi fuggi, ognuno nel tentativo di limitare i danni, e causerebbe anche la fine dell’Unione; (2)  la “dissoluzione concordata”, ove riuscisse a  funzionare, ciò sarebbe il segno che il processo avverrebbe sotto l’egida e la ferrea guida dell’eurocrazia medesima, quindi per nome e per conto della potenza egemone, la Germania e, sullo sfondo degli Stati Uniti — in breve: questo “Piano B” è proprio quello di chi oggi comanda; (3) l’idea di un’Unione armoniosa dopo l’espianto della moneta unica è una pia illusione, la tendenza oggettiva dominante è infatti quella alla rinazionalizzazione degli assetti europei, ovvero ogni stato, a seconda del suo rango, che sia dominante o “periferico”, tenderà a proteggersi dal marasma, mettendo dunque in atto politiche pro domo sua o di tipo protezionistico.


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L’intervento di Fassina a Parigi

«La bruciante vicenda greca ha un significato politico generale. La mia sensazione è che siamo qui oggi, a causa della capitolazione del governo greco nella drammatica notte dello scorso 12 luglio a Bruxelles. Quella notte, secondo la mia lettura degli eventi, ha segnato un punto di svolta. Si è trattato di una logica conseguenza: il tabù dell’irreversibilità dell’euro era stato apertamente violato. Il governo tedesco aveva messo sul tavolo la proposta di Grexit, leggermente ammorbidita dall’aggettivo “temporanea”. Non si è trattato solo di una manovra tattica, ma di un’opzione strategica per affrontare le profonde lacune e le contraddizioni della “costituzione” dell’Eurozona e dell’agenda politica: alcuni giorni dopo, la possibilità di abbandonare la moneta unica è stata presentata in un report del Comitato degli Esperti Economici, il più importante comitato consultivo del governo tedesco, come possibilità di risolvere le contraddizioni presenti nei Trattati: l’impossibilità di un taglio del debito.

Che lezione possiamo trarre dalla vicenda greca? Alexis Tsipras, Syriza e il popolo greco hanno l’innegabile merito storico di aver strappato il velo della retorica europeista e dell’obiettività tecnica finalizzata a mascherare le dinamiche in eurozona. Ora è possibile vedere la politica di potere ed il conflitto sociale tra l’aristocrazia finanziaria e le classi medie: la Germania, incapace di essere egemone, domina l’euro zona e persegue un ordine economico funzionale al proprio interesse nazionale e a quello della grande finanza.

Ci sono due punti da affrontare qui. Il primo: il mercantilismo neo-liberista dettato da Berlino e ivi incentrato è insostenibile. La svalutazione del lavoro in alternativa alla svalutazione della valuta nazionale, come via principale per aggiustamenti “reali”, comporta una cronica insufficienza di domanda aggregata, disoccupazione persistentemente elevata, deflazione e esplosione dei debiti pubblici. In un tale contesto, al di là dei confini dello stato-nazione dominante, l’euro porta ad uno svuotamento della democrazia, trasformando la politica in amministrazione per conto terzi e spettacolo.

Questo è il punto. Non è un punto economico ma politico. Il significato di democrazia nel XXI secolo. Esiste un conflitto sempre più evidente tra il rispetto dei Trattati e delle regole fiscali da una parte e i principi di solidarietà e democrazia iscritti nelle nostre costituzioni nazionali dall’altra. Fatemi essere estremamente chiaro su questo: la moneta unica di per se stessa non è la causa della svalutazione della democrazia ma ne è sicuramente un fattore peggiorativo. L’euro, secondo l’ingenuo piano progressista, avrebbe dovuto rappresentare una protezione contro la svalutazione del lavoro e della democrazia, generata dalla globalizzazione economica SREGOLATA. In realtà l’euro è stato realizzato come un mezzo per aiutare la grande impresa ad indebolire i diritti dei lavoratori e a debilitare le istituzioni dello stato sociale. Dobbiamo ammetterlo: l’euro è stato un errore.

Questa rotta è reversibile? Questo è il secondo punto. È difficile rispondere “si”. Sfortunatamente, le necessarie correzioni per rendere l’euro sostenibile appaiono non percorribili per ragioni culturali, storiche e politiche. La strada per completare l’unione politica al fine di “democratizzare” la moneta comune richiede molto più di un’operazione di ingegneria istituzionale calata dall’alto. Richiede un livello di solidarietà economica tra i popoli europei che al momento manca. Le opinioni pubbliche nazionali hanno punti di vista divergenti e posizioni conflittuali, rese ancora più distanti dall’agenda dominante in eurozona dopo il 2008.

Inoltre, dati gli attuali squilibri di potere tra Stati membri, tra debitori e creditori, il proseguire lungo la rotta di una maggiore integrazione politica è molto probabile che si risolverà in un consolidamento delle attuali asimmetrie.

I primi due punti dell’analisi portano ad una verità sconfortante: dobbiamo essere consapevoli che l’euro è stato un errore di prospettiva politica. Dobbiamo ammettere che nella gabbia neo-liberista dell’euro, la sinistra perde la propria funzione storica ed è morta come forza impegnata a dare dignità e rilevanza politica al lavoro e ad perseguire l’affermazione della cittadinanza sociale quale veicolo di democrazia effettiva. L’ irrilevanza o la connivenza dei partiti della famiglia socialista europea è manifesta. Senza il nostro Piano B, continuare ad invocare, come si sta facendo, gli “Stati Uniti d’Europa” o una “riscrittura pro-lavoro” dei Trattati è un esercizio virtuale che porta a una continua perdita di credibilità politica.

Cosa dovrebbe essere fatto? Siamo ad un crocevia della storia. Da una parte, il sentiero della continuità legata all’euro, che è accettazione della fine della democrazia delle classi medie e dello stato sociale: un equilibrio precario di sotto-occupazione e rabbia sociale, minacciato da alti rischi di rotture nazionalistiche e xenofobe. Dall’altra, una decisione condivisa, senza atti unilaterali, del nostro Piano B per superare la moneta unica ed il connesso quadro istituzionale, e soprattutto per aggiustare la accountability democratica della politica monetaria: una soluzione reciprocamente benefica, nonostante il percorso difficile ed incerto e il rischio di conseguenze pesanti almeno nel periodo iniziale.

La strada della continuità è l’opzione esplicita delle “grand coalition” a trazione conservatrice e esecutivi “socialisti” (in Francia ed Italia per esempio). La strada della discontinuità può essere l’unica per tentare di salvare l’unione europea, rivitalizzare le democrazie delle classi medie e invertire il trend della svalutazione del lavoro. Per rendere il Piano B un’opzione possibile ed un effettivo asset negoziale, dobbiamo costruire un’ampia alleanza delle forze progressiste in euro zona e in UE. Il tempo a disposizione è sempre di meno».

da sollevAzione