Più sotto un articolo di Jean-Luc Mélenchon

Domani è giorno di elezioni in Portogallo. Nell’articolo più sotto, Jean-Luc Mélenchon (foto) fornisce un quadro piuttosto preciso delle forze in campo. C’è però un aspetto da sottolineare, che il leader del Partì de Gauche non tratta.

Nonostante la crisi e la “cura” da cavallo della Troika, in Portogallo non ci si è mai aspettati grandi scossoni da questa consultazione elettorale. Tuttavia, fino all’inizio dell’estate, la coalizione conservatrice al governo veniva data per perdente nei confronti del Partito Socialista. Niente di trascendentale, viste le posizioni dei socialisti, che furono addirittura gli iniziatori (governo Socrates) delle politiche austeritarie portate avanti in questi ultimi anni da Passos Coelho.

Poi è arrivata l’estate, e più esattamente è arrivata la disfatta del governo Tsipras. Una capitolazione certo voluta dall’intera oligarchia eurista, ma reclamata a gran voce proprio dai due premier iberici, lo spagnolo Rajoy ed appunto il portoghese Passos Coelho, ben coscienti degli effetti della vicenda greca sulle urne dei propri paesi. Che nessuna concessione venisse fatta alla Grecia, per dimostrare che l’austerità (e dunque la politica da loro applicata in questi anni) non ha alternative. Detto in maniera sintetica: sindrome TINA (There is no alternative).

Questa sindrome farà probabilmente capolino domani in Portogallo. Attualmente i sondaggi danno la coalizione di destra tra il 35 ed il 40%. I socialisti – dati nettamente in vantaggio solo pochi mesi fa – sarebbero ora tra il 32 e il 36%. Un margine risicatissimo che potrebbe portare ad una situazione abbastanza instabile, con le due coalizioni di sinistra (di cui ci parla l’articolo) complessivamente intorno al 15%. Non è che una vittoria dei socialisti avrebbe aperto chissà quali prospettive, ma l’eventualità che (contro tutte le previsioni di qualche mese fa) il campione dell’austerità, l’allievo prediletto degli eurocrati, Passos Coehlo, possa arrivare un’altra volta primo, ci dice quanto sia lunga e pesante l’onda della disfatta greca. I danni prodotti dalle scelte di Tsipras non sono stati forse ancora capiti in tutta la loro portata, ma probabilmente domani TINA ce li ricorderà facendo scalo a Lisbona.

Le due coalizioni di sinistra – la CDU (che include il Partito Comunista Portoghese) ed il “Bloco de Esquerda” – dovrebbero ottenere dei buoni risultati, pur senza avanzate eclatanti. A loro merito vanno le posizioni sull’Europa, ed il non essersi appiattiti sulle posizioni altreuropeiste di Tsipras. Nel panorama della sinistra europea non è poco.

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Il voto di domenica in Portogallo
di Jean-Luc Mélenchon

Questa Domenica, 4 ottobre si terranno le elezioni parlamentari in Portogallo. Sarà un episodio politico che peserà sul vecchio continente. Il nuovo parlamento sarà eletto con sistema proporzionale basato su circoscrizioni regionali. Il primo ministro è attualmente Pedro Passos Coello. In Portogallo c’è un governo di destra dal 2011. Il partito di governo si chiama “social-democratico”, ma è una reliquia del periodo successivo alla caduta della dittatura di Salazar in cui nessuno allora osava dirsi apertamente di destra. Questa destra è data favorita anche se perderà dei voti. Il Partito Socialista portoghese (PS) è dato per secondo, malgrado si ritiene aumenterà i voti. Il divario con la destra rimane stretto. Ovviamente, il PS ha concentrato la sua campagna sul “voto utile”. “Utile per cosa?”.

Il PS che è quello che chiamò la troika ad attuare, nel 2010-11 le prime misure di austerità. Da allora, la destra ha perseguito la linea europea ordo-liberale. E PS. naturalmente, non propone alcuna rottura con questa politica. Il bilancio è quindi terribile. La ricchezza prodotta (ammesso che si tratti di un parametro affidabile per noi come lo è per i produttivisti) è ancora inferiore a quello del 2009, dopo 3 anni di recessione tra il 2011 e il 2013. Ci sono 300.000 disoccupati in più e il 40% di disoccupazione giovanile. Abbiamo così che ben 500.000 portoghesi sono fuggiti in esilio in 5 anni; e tra la popolazione che resta vi è il 20% dei poveri.

Il Portogallo è spesso presentato come il “bravo allievo” della Troika per il fatto che esso non è più soggetto a “pacchetti di salvataggio”. Sappiamo che un “piano di salvataggio” consiste in privatizzazioni crudeli e tagli della spesa pubblica per fare affidamento direttamente sui mercati. I cantori della “unica politica possibile” si fanno ancora i gargarismi con questo mantra. Vista da vicino la situazione è molto diversa. Il piccolo respiro ritrovato dall’economia portoghese non dipende affatto dalla politica della Troika, ma dal suo opposto. La timida “ripresa” del 2014-15 ha coinciso con l’allentamento dell’Ordoliberismo, vale a dire, che questa ripresa si è verificata grazie ad un’attenuazione della politica di austerità.

E’ la paura di rompere la corda che tiene in vita l’impiccato. Altrimenti detto nella lingua del FMI: “l’aggiustamento di bilancio ha subito un rallentamento.” Il deprezzamento dell’euro causato dalla BCE contro il dogma dell’euro forte è stato un’altro fattore che spiega la timida ripresa. Ed è stato l’intervento della BCE la causa della diminuzione dei tassi di interesse per cui il Portogallo può ora “finanziarsi direttamente” sui mercati. In breve, è ricorrendo alle  condizioni opposte contemplate dal catechismo liberale che la situazione è oggi leggermente meno crudele. Ma guardatevi dalla propaganda! I Bla Bla sulla “ripresa portoghese” non devono farci perdere di vista che al ritmo attuale, solo entro il 2020, il PIL del Portogallo tornerà ai livelli del 2009! A lungo termine l’economia portoghese è mutilata dalla medicina che è stata applicata.

Il modello tedesco ha fatto il suo lavoro. Ora il Portogallo si basa sulle esportazioni: esse rappresentano il 40% del PIL, contro il 27% prima della crisi. In altre parole, alla prima inversione di tendenza dell’economia globale, patatrac, il Portogallo tornerà all’età della pietra. La cattiva notizia già circola, il WTO (World Trade Organization) annuncia che il commercio internazionale diminuirà per il quarto anno consecutivo. Il livello degli scambi si allinea con il tasso di crescita globale. Addio al periodo delle “vacche grasse” in cui il commercio mondiale progrediva due volte più veloce della produzione perché le merci circolano a tutto gas.

La “ripresa” non è né sostenibile né durevole. Le esportazioni che la sostengono si basano sul dumping sociale, vale a dire il minor costo del lavoro e quello della moneta unica, due parametri che sono sottoposti a forti fluttuazioni sociali e politiche. In ogni caso, non si vede come la manipolazione di una moneta e la regressione sociale migliorino il livello di qualità o le performaces delle merci scambiate. La produzione portoghese è quindi maggiore rispetto all’inizio della crisi. Il suo valore d’uso è lo stesso e il suo valore di scambio viene manipolato. Nel frattempo, i salari sono diminuiti del 6% tra il 2010 e il 2013 e non è quindi il consumo popolare che potrà rimpiazzare il declino delle  esportazioni. E in ogni caso, il debito pubblico resta insostenibile come quello greco e di tutto l’arco mediterraneo. Secondo il FMI, “Il peso del debito pubblico e privato è in grado di ridurre le prospettive di crescita a medio termine”. Appunto. Perché come al solito il debito pubblico è aumentato con l’austerità ed alle altre meraviglie dei trattamenti inflitti per ridurlo. E’ aumentato dal 84% del PIL nel 2009 al 130% nel 2014. Un “dettaglio” che i commentatori entusiasti del «bravo allievo portoghese» non riescono a commentare. In ogni caso, nel 2015, il rimborso del debito ha assorbito quasi il 5% della produzione del Paese. Le banche gongolano, anche visto che non navigano in buone acque. La minaccia della bolla del debito privato e quello delle banche si staglia all’orizzonte. Le cifre dovrebbero far morire di paura “mercati” come quando si tratta di debiti pubblici.

Il debito privato è leggermente diminuito, ma rappresenta ancora il 237% del PIL portoghese! Per quanto riguarda le banche private, la puzza della perdita di gas si sente a migliaia di chilometri. Nel 2014 lo Stato portoghese ha già salvato il Banco Espirito Santo, offrendogli 5 miliardi di euro. E in questo momento, i debiti inesigibili delle banche portoghesi raggiungono ancora il 12% del totale delle loro attività. Secondo il FMI, che questa quota “cresce”, minacciando il sistema finanziario portoghese, mentre il debito pubblico rende impossibile una nuova massiccia iniezione di capitali. Presto la bolla scoppierà, naturalmente. Come in Grecia, come altrove. Il debito portoghese non sarà pagato e le sue banche, a tempo debito, crolleranno.

E noi? per chi siamo in queste elezioni?

Lo spazio culturale della sinistra è occupata da altri due blocchi.
Il primo è costituito dall’alleanza del Partito comunista coi verdi [CDU: Coligaçao Democrática Unitaria PCP-PEV], il secondo è una coalizione più eteroclita ma vivace: il “Bloco de Esquerda” [alleanza nata dall’unità della nuova sinistra, Ndr]. Il totale dei voti è impressionante in quanto sono circa al 15%. Ma, naturalmente, siamo divisi. In queste condizioni non siamo percepiti come una reale alternativa e quindi non come un’alternativa possibile. Catalizziamo la collera senza minacciare il sistema. Questa divisione permette al PS di giocare la carta del “voto utile”  dal momento che, ovviamente, non siamo in grado di creare una maggioranza di governo. Ma il discredito PS è abbastanza grande per rendere questo ricatto meno efficace di quanto sperano i suoi portatori. Io sono il più vicino possibile ai miei compagni portoghesi. Al Parlamento europeo mi siedo a destra sulla stessa riga dei comunisti portoghesi che sono molto francofoni e io non nascondo che votiamo molto spesso alla stessa maniera, tranne in materia di pesca. Tuttavia il dialogo è buono con il Bloco i cui eletti sono diventati miei amici personali con i quali parlo con franchezza e serenamente.

Sull’Europa, i punti di vista sono simili a quelli che abbiamo visto in Grecia. Certamente il PCP, da lungo tempo alleato dei Verdi nella “Coalizione democratica unitaria” ha una linea molto dura contro l’UE. E poi, il PCP non è un membro del Partito della Sinistra Europea.
E adesso, il Bloco ha rivisto la sua posizione sull’euro dopo la firma di Tsipras. Il Bloco non critica Tsipras, ma adotta una posizione quasi identica a quella del PG (Partì de Gauche, ndr). Fernando Rosas, cofondatore del Bloco:
«In primo luogo, non si possono perseguire politiche anti-austerity dentro l’eurozona. In secondo luogo, la zona euro è una sorta di dittatura che non permette decisioni democratiche ai paesi europei. Quindi vogliamo rinegoziare il debito e, se necessario, siamo pronti a lasciare l’euro. Non faremo l’errore di Alexis Tsipras che è andato ai negoziati senza un Piano B. Ma non vogliamo criticare pubblicamente Syriza. La nostra posizione ufficiale è che dobbiamo essere pronti a lasciare l’euro se i negoziati sul debito non hanno successo».

* Fonte: Jean-Luc Mélenchon