Venerdì di sangue in Palestina

E’ presto per parlare di Terza Intifada. Ma la pentola dell’oppressione sionista sta forse per produrre una nuova esplosione. Da ormai tre settimane si susseguono scontri sempre più sanguinosi in diverse zone dei territori sotto occupazione israeliana dal 1967. Oggi è stata la giornata più sanguinosa. Mentre scriviamo (ore 21) il bilancio complessivo è di 7 palestinesi uccisi ed almeno 270 feriti (fonte Al Jazeera).

Di fronte alla crescente mobilitazione palestinese, la repressione dell’esercito israeliano è stata come al solito violentissima.  Nella parte settentrionale di Gaza, alcune centinaia di palestinesi si sono diretti verso la rete di recinzione che chiude la Striscia in un autentico campo di concentramento da più di 8 anni. I soldati israeliani hanno fatto immediatamente fuoco. Il bilancio, ancora parziale, è di 6 morti (tra i quali un ragazzo di 15 anni) e almeno 60 feriti, diversi in condizioni definite critiche. Un altro palestinese è stato ucciso ad Hebron, mentre scontri sono stati segnalati ad Afula, Dimona e Gerusalemme.  

Ed è proprio a Gerusalemme che l’oppressione sionista si è fatta sentire, sempre più forte, negli ultimi giorni. Da ieri, giusto per rendere l’idea, l’accesso alla Spianata delle Moschee è consentito solo ai musulmani sopra ai 45 anni di età ed alle donne.

Le azioni di resistenza dei giorni scorsi sono spesso apparse come gesti individuali, episodi sconnessi di una rivolta diffusa ma disperata. Ma anche se così fosse, non è detto che questi atti restino isolati. Anzi, quanto accaduto oggi a Gaza fa pensare esattamente il contrario.

Del resto, le organizzazioni della resistenza hanno un grande problema: quello di evitare che la questione palestinese scompaia per lungo tempo dietro le linee della Grande Guerra Mediorientale che si combatte in diversi paesi, ma soprattutto in Siria ed Iraq.

E proprio oggi, il leader di Hamas Ismail Haniyeh ha parlato di Intifada, indicandola come «l’unica strada per arrivare alla liberazione». Da qui l’invito ad intensificare gli attacchi alle forze occupanti ovunque possibile. Per Haniyeh «Gaza si unirà all’Intifada per Gerusalemme», questo il senso evidente della manifestazione sul confine di questo pomeriggio. In realtà Haniyeh ha detto anche qualcosa di più, affermando che «Gaza è pronta a guidare questa battaglia». Una chiara sfida ad Abu Mazen ed alla sua politica.

Da parte sua il presidente dell’Anp non ha certo perso l’occasione per riaffermare la propria linea collaborazionista, invitando «forze della sicurezza e giovani a non usare la forza contro gli occupanti israeliani».

I prossimi giorni ci diranno se siamo di fronte ad uno dei tanti episodi di una Resistenza che dura da settant’anni, o se invece sta accadendo qualcosa di più importante. Di certo la Resistenza continua, ed il segnale più forte viene proprio da quella Gaza che i sionisti hanno provato più volte a piegare, basti pensare ai tremendi bombardamenti dell’estate 2014. Quella Gaza ridotta ad un lager che l’occidente non vuole vedere, anche se perfino l’ONU dice che nel 2020 sarà semplicemente inabitabile.