Più sotto un commento di Alberto Negri (il Sole 24 Ore)

L’attentato di ieri ad Ankara (nella foto il momento dell’esplosione) lascerà di sicuro tracce pesanti sul futuro della Turchia. Il tremendo bilancio di sangue è noto: 95 morti e 246 feriti. Quello politico andrà fatto nelle prossime settimane, anche alla luce delle nuove elezioni politiche convocate per il primo novembre.

Le bombe hanno preso di mira anzitutto i manifestanti del Partito Democratico dei Popoli (HDP) e di alcuni movimenti di estrema sinistra impegnati nella “Marcia della Pace”contro la politica di Erdogan.

Al di là degli esecutori materiali della strage, non è difficile vedere in questo attentato una nuova fase del terrore innescato dal governo dell’AKP nelle zone curde, specie dopo le elezioni del 7 giugno scorso che negarono ad Erdogan la maggioranza assoluta dei seggi proprio per il successo (13% – 80 deputati) dell’HDP.

Un terrore che Erdogan ha portato anche fuori dai propri confini. Due mesi fa la Turchia ha formalmente dichiarato guerra all’Isis, ma ad essere bombardati più che i miliziani del Califfato sono stati proprio i curdi del Pkk nel Kurdistan iracheno e quelli della Rojava (Kurdistan siriano). Il legame tra la guerra interna e quella esterna alla Turchia non potrebbe essere più evidente. Ed è proprio delle “due guerre” turche che ci parla l’articolo di Alberto Negri, uscito questa mattina sul Sole 24 Ore e che pubblichiamo più sotto.

Di certo molti nodi stanno venendo al pettine nell’intricata situazione mediorientale. E la Turchia che – non dimentichiamocelo mai – è il potente baluardo sud-orientale della Nato, rischia di venire pesantemente risucchiata nella Grande Guerra Mediorientale che ha oggi il suo epicentro più importante in Siria.

Una cosa infatti è certa: in un contesto come quello attuale, chiunque sia stato l’esecutore dell’attentato, le bombe di Ankara non sono soltanto un fatto interno della Repubblica di Turchia.

Qui sotto l’articolo di Negri.

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Un Paese alle prese con due guerre
di Alberto Negri

La guerra fuori, ai confini con la Siria e nel suo spazio aereo coi sorvoli degli aerei russi, e ora quella dentro, in un Paese che la Nato ha dichiarato di volere difendere da ogni violazione. Con lo spaventoso attentato alla marcia pacifista di Ankara che chiedeva la fine del conflitto con i curdi del Pkk, la Turchia paga tragicamente il prezzo della destabilizzazione dopo l’attentato di Suruc del luglio scorso che fece 30 morti. A venti giorni dalle elezioni anticipate del primo novembre, la cui regolarità è pregiudicata dallo stato di emergenza in molte zone dell’Anatolia del Sud Est, la Turchia è entrata in un fase di pericolosa incertezza.

Quanto sta accadendo è il risultato della ripresa del conflitto nelle zone curde, ricominciato dopo la rottura della tregua con il Pkk, e soprattutto delle politiche di un governo che in questi anni con il passaggio di migliaia di jihadisti ai confini con la Siria, con l’obiettivo di abbattere il regime di Assad, ha alimentato una destabilizzazione regionale ormai fuori controllo. All’interno si era già misurata la potenzialità distruttiva di queste politiche con l’attentato di Suruc e il moltiplicarsi della presenza dei radicali islamici, mentre in Siria l’afflusso della guerriglia ha alimentato il reclutamento del Califfato.

Dopo avere perso la maggioranza assoluta alle elezioni del 7 giugno scorso con l’ingresso in Parlamento del partito Hdp, il governo dell’Akp e il presidente Tayyp Erdogan hanno costituito un fragile governo di coalizione con i curdi che però hanno abbandonato l’esecutivo quando si è intensificato il conflitto con il Pkk. Erdogan e il premier Ahmet Davutoglu si sono quindi appoggiati ai nazionalisti, avversari dei curdi, e il clima politico interno è diventato sempre più esasperato con ripetuti attacchi alle sedi del Pkk ma anche a media e giornalisti turchi che riportavano il progressivo aggravarsi della situazione.

Sul fronte esterno il problema di Erdogan è il fallimento della guerra ad Assad, su quello interno il successo elettorale dei curdi, al punto che ha dato mano libera alle forze armate: il risultato sono stati centinaia di morti tra i curdi e dozzine tra i militari che hanno adottato metodi inaccettabili per una repressione che ha colpito non solo i combattenti ma soprattutto i civili. I filmati mostrano Cizre letteralmente rasa al suolo come una città siriana e la regolarità delle elezioni del primo novembre è già molto dubbia.

Non potendo vincere la guerra ad Assad, Erdogan ha tentato di eliminare i curdi e si è alleato con le frange più nazionaliste dei Lupi Grigi tra cui il figlio di Alpaslan Turkes. Erdogan, come ha dichiarato a Bruxelles durante la sua recente visita, qualifica ormai tutti i curdi come terroristi, siriani e Hdp compreso, per i legami con il Pkk, sperando che la deriva ipernazionalista lo salvi dalla sconfitta elettorale. L’Europa ha bisogno di lui per accogliere 2 milioni di migranti e non ha replicato a queste dichiarazioni mentre per anni Francia e Germania avevano accusato Ankara di mancato rispetto degli standard democratici.

Non c’è da stupirsi se ora arrivano gli attentati kamikaze, la Turchia è vittima della destabilizzazione alimentata in questi anni, delle politiche spericolate di Erdogan, per anni incoraggiante anche dall’Occidente, e ora la guerra di Siria si salda con il conflitto nel Kurdistan.

da il Sole 24 Ore