Una classe dirigente alla frutta, altro che complotti!

Essendo politicamente uno zero, potremmo anche evitare di occuparci del signor Marino Ignazio Roberto Maria, chirurgo, senatore piddino, sindaco di Roma, trasvolatore seriale dell’Atlantico e candidato al guinness dei primati come re degli scontrini.

Ci tocca invece occuparci della cosa per almeno due motivi. Il primo è che, non più tardi di ieri, ci è capitato di vedere una discreta folla di scapestrati inneggiare al sindaco dimissionario in Piazza del Campidoglio. Il secondo è che il caso Marino non è frutto del caso, ma neppure di un complotto, essendo piuttosto una pittoresca ma significativa manifestazione del degrado complessivo della classe dirigente del paese.

Se il primo punto è semplice da inquadrare, è il secondo quello su cui focalizzare l’attenzione.

Partiamo dunque dal più semplice. La folla inneggiante ieri a Marino ci ricorda un po’ quella che il 12 novembre 2011 festeggiava per il cambio della guardia a Palazzo Chigi tra l’uscente Berlusconi e l’entrante Monti. «Dal pagliaccio con la bandana al killer dei “mercati”», titolammo allora. In quel caso si brindava ad una cacciata senza affatto riflettere su quel che sarebbe venuto dopo. Oggi si manifesta invece per il timore del futuro, senza però fermarsi per un attimo a ragionare sui fatti che hanno portato Marino alle dimissioni.

Due situazioni apparentemente opposte, ma invece tenute assieme dallo stesso atteggiamento fideistico. Allora chi manifestava pensava che i mali dell’Italia, ed addirittura la stessa crisi economica, dipendessero da un solo uomo: il Buffone d’Arcore. Ora, probabilmente, alla luce di quel che è venuto dopo, molti avranno forse cambiato idea. Non lo sappiamo. Di certo lo stesso atteggiamento fideistico lo si è visto ieri. Se 4 anni fa vi era la certezza del «male», anzi dell’«unico male», ieri si è vista in piazza la certezza del «bene», anzi dell’«unico bene possibile», curiosamente incarnato dal volto di Ignazio Roberto Maria Marino.

Su che cosa si fonda un simile atteggiamento? E’ presto detto. Venuto meno il legame con la realtà, esso si fonda su un unico principio, quello delle «tre scimmiette»: non vedo, non sento, non parlo.

Facciamola breve. Marino ha dimostrato un’incapacità assoluta, ha scelto di rimanere al suo posto quando un anno fa l’inchiesta sul malaffare romano avrebbe imposto lo scioglimento del consiglio e l’indizione di nuove elezioni, ha mostrato una dignità pari a zero quando ha accettato di farsi accudire dalla badante (parole sue, riferite a Gabrielli) inviatagli da Renzi, e potremmo continuare…

Fatti incontestabili, ai quali i difensori di Marino ribattono dicendo che egli è «inadeguato ma onesto». Ora, «inadeguato», specie se riferito a quel ruolo non è poco. Ma perché onesto? Perché, si dice, cosa volete che siano i doppi rimborsi, rispetto a «Mafia capitale», alle tangenti, alle grandi ruberie? O che modo di ragionare è questo? I doppi rimborsi – un antico vizietto già contestato a Marino (con tanto di licenziamento) dall’Università di Pittsburgh nel 2002 – ci sono stati oppure no? A questo bisogna rispondere. Ma siccome sul punto il Nostro è in affanno, ecco che si pretende un’onestà a prescindere: Marino è onesto, come Berlusconi è un maiale, stop.

Dicono costoro che si tratta comunque di piccole cifre. Vero, ma così ragionando anche altri intrallazzi romani potrebbero essere derubricati a piccola cosa, tutto dipende dal termine di paragone. Ma poi, cosa giustificherebbe Marino da queste pratiche? E’ forse egli un sottoproletario che ha bisogno di cogliere tutte le occasioni per tirare a campare? Paragone per paragone, è proprio il rapporto tra le cifre in questione ed il reddito dell’ormai ex-sindaco quel che fa veramente vomitare. O no?

Marino dovrebbe provare a difendersi dalle accuse, non dire che sono quisquilie. Il fatto è che non lo fa. O, se prova a farlo, sa solo accennare ad un imprecisato «complotto». Troppo facile, troppo scontato, troppo generico.

Cosa abbiano da manifestare i suoi sostenitori è davvero difficile da comprendere. Tuttavia la questione riguarda un ristretto gruppo di persone, che se Marino fosse sceso in piazza tra la gente comune avrebbe forse avuto bisogno della protezione di adeguati reparti speciali antisommossa. Resta però lo sconcerto per aver sentito cantare in quella piazza «Bella ciao», con sullo sfondo pure una bandiera del Prc. Sapevamo come da quelle parti la confusione regni sovrana, ma il fondo non riescono proprio a toccarlo mai?  

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Ma veniamo al secondo punto. Perché la vicenda Marino ci parla del più complessivo degrado della classe dirigente del paese? Per alcune evidenti ragioni: perché si tratta del sindaco della capitale, di un importante esponente del Pd, di un rappresentante del «nuovo», figlio del fantasmagorico strumento di rinnovamento chiamato primarie.

Si può mettere in dubbio seriamente l’attuale degrado di Roma? Certo, si può discutere delle cause, non del fatto in sé. Ma per tutto il periodo della Seconda Repubblica (dunque dal 1993) la capitale è stata governata da politici di primissimo piano come Rutelli, Veltroni, Alemanno, fino ad arrivare a Marino. I primi due, che hanno governato per ben 15 anni (quindici), sono poi stati i candidati del centrosinistra alla presidenza del consiglio. Anche a causa dei disastri compiuti, Alemanno ha avuto meno fortuna, ma non si può dire che si trattasse di un personaggio di secondo piano. In quanto a Marino, è vero che non ha una lunga esperienza politica (e si nota!), ma è pur sempre stato senatore (dal 2006) e candidato alle primarie per la segreteria del Pd nel 2009, dove ottenne il 12,5% dei voti.

Tutti i problemi attuali dipendono da Alemanno? Lui ci ha messo abbondantemente del suo, ma è difficile sostenere una tesi del genere. Scrivevamo in proposito nel dicembre scorso:

«Certo, tra i sindaci che si sono succeduti le responsabilità maggiori vanno sicuramente ad Alemanno, colui che ha messo tante leve del potere in mano agli amici della cupola nera di Carminati e soci. Ma le cronache, e le stesse carte dell’inchiesta, parlano di un meccanismo perfettamente bipartisan. Si dice che Marino fosse all’oscuro di tutto. Ma se così fosse meglio per lui cambiare rapidamente mestiere. In ogni caso non pare proprio che i traffici della cupola nera abbiano trovato qualche intralcio nel consiglio comunale eletto nel 2013, come vorrebbe invece sostenere il patetico “commissario” Pd, Orfini».

Ma torniamo a bomba. Cosa intendiamo per degrado della classe politica? Intendiamo tre cose: che la politica è sempre più antidemocratica, corrotta e spesso in mano a bande di incapaci. Le tre cose stanno spesso insieme.

Così scrivevamo nell’articolo già citato:
«Si può anche discutere di quanto questa degenerazione sia figlia dell’impronta lasciata dal berlusconismo, ma sarebbe del tutto fuorviante limitarsi a ciò. C’è infatti una verità ben più profonda che va colta, ed essa consiste nel rapporto tra “politica” e “politici”, questi ultimi intesi come “uomini delle istituzioni”. Se la politica si fa sempre più oligarchica, e dunque a-democratica, è naturale che gli corrisponda un tipo di “politico” e di amministratore espresso direttamente dai vari gruppi di potere, dalle varie lobby in cui si struttura il blocco dominante».

Che una simile politica sia strutturalmente corrotta è cosa fin troppo ovvia, ma che da questo stato di cose derivi anche un elevato grado di inefficienza non è poi così difficile da capire.

Sul tipo di classe politica emergente così argomentavamo lo scorso anno:
«C’è da stupirsi se da una politica finita su questo binario morto, dominata dall’economia e, peggio, dalle oligarchie che la governano, vengono fuori i Carminati, i Buzzi od i Di Stefano? I politici del tipo di quelli coinvolti nell’inchiesta romana hanno parecchi vizi, ma un paio di virtù fondamentali: non disturbano il manovratore e sono sempre ricattabili. Loro chiedono solo di far cassa. Che poi, facendola grazie all’ormai famoso «mondo di mezzo» – quello dove potere politico, imprenditoria e delinquenza allo stato puro si incontrano – una parte ritorna anche a chi sta più in alto. Il che non guasta».

Bene, si dirà, ma che c’entra tutto ciò con Marino? C’entra, c’entra.
Perché i mille faccendieri dediti ai lavori sporchi sono solo l’altra faccia di un «rinnovamento» che serve solo a coprire quel marciume. Per arrivare a questa particolare configurazione del potere politico – un obiettivo che i centri economici nazionali e sovranazionali perseguono a partire dagli anni ’80 – sono state necessarie due mosse: promuovere la fine dei partiti di tipo novecentesco, modificare sostanzialmente le procedure di selezione del personale politico.

Mi scuso per l’ulteriore (ed ultima) auto-citazione:
«Il lungo processo che ha preso le mosse agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso ha portato alla fine dei partiti come luogo della partecipazione alla politica. Un luogo dove, naturalmente con mille difetti, si selezionava la classe politica. Non che allora i gruppi di potere, in alcuni casi di natura sostanzialmente mafiosa, non contassero. Contavano eccome, ma erano una parte del tutto, non il tutto come nella politica senza (veri) partiti di oggi. Per capire che i partiti intesi nel senso tradizionale non esistono più, basta pensare a quanto affermato dal segretario del Pd. Davanti ai dati del tracollo verticale degli iscritti, Renzi ha detto che queste sono cose del passato, che oggi l’importante è guardare ai voti».

Il simbolo più compiuto di questa degenerazione sono le primarie. E senza dubbio il Pd, che è il promotore in Italia di questo metodo di scelta dei candidati, aperto ad ogni infiltrazione lobbystica, è il partito che ha spinto maggiormente in avanti il processo di americanizzazione della politica.

Si dirà che Marino non è stato eletto come espressione di una particolare lobby. Vero, verissimo, ma si dimentica che proprio nel modello americano il marcio del sistema politico viene spesso coperto da uomini-immagine, sempre incensati come buoni, puri, magari intelligenti, ma che nulla sanno – ci mancherebbe! – del mondo che gli sta sotto, accanto e pure sopra.

Volevate la fotografia di Marino? Questa mi sembra abbastanza precisa.

Una fotografia che dovrebbe far riflettere anche una particolare categoria, quella che spiega ogni evento del giorno e della notte con la teoria del complotto. Ma quale complotto? Ma vi pare che per mandare a terra uno come Marino sia stato necessario un complotto? E poi, di chi? Ieri la piazza dei sui ultras gridava «Renzi, Renzi, vaffanculo».

Uno slogan che va sempre bene, ci mancherebbe, ma davvero si pensa che sia stato Renzi il killer di Marino? Difficile crederlo, perché Marino aveva (e per quanto ne sappiamo, ha tuttora) la tessera di un partito che si chiama Pd. E per quel partito sarà dura riprendersi il Campidoglio. Non solo, Marino – pur non essendo un renziano – poteva comunque essere venduto come uno dei tanti prodotti del “rinnovamento” promosso dal fiorentino. Mentre, invece, proprio il fragoroso fallimento dell’ex sindaco mette in luce quanto sia fragile e tutta d’immagine l’idea renziana della rottamazione.

Complotto dei soliti occulti poteri? E se dalle urne uscisse un sindaco M5S? Certo, non è detto che vada così, ma la possibilità esiste eccome. Dunque non si vede il perché qualcuno di questi poteri avrebbe desiderato il passaggio dalla certezza di un Re Travicello, che per loro non è poi tanto male, all’incertezza di un futuro tutto da disegnare.

Ma i complottisti, si sa, sono fatti così: a forza di credere che tutto è un complotto, descrivono i dominanti come invincibili, mentre le loro debolezze e contraddizioni sono per fortuna sempre più manifeste. Ed il caso Marino di questo ci parla.