Una finanziaria berlusconiana e di classe
Tutto per il consenso, nulla per uscire dalla crisi
Chiariamo subito una cosa: la manovra reale contenuta nella Legge di Stabilità varata dal governo nei giorni scorsi non è di 27, bensì di circa 10 miliardi (mld). Per l’esattezza 9,8 sul lato delle uscite ed 11,9 su quello delle entrate (ma di questi, 2 miliardi e mezzo sono solo entrate una tantum). Quello di gonfiare i numeri per gonfiarsi il petto è un antico vizietto del prestigiatore di Palazzo Chigi. Fece così anche lo scorso anno, parlando di una manovra da 36 mld, quando invece i numeri reali si fermavano a 16 (leggi QUI).
Considerata dal punto di vista macro-economico, quella del duo Renzi-Padoan è in definitiva una manovricchia. Ma naturalmente anche 10 mld sono una cifretta di tutto rispetto. Ed il posizionamento delle varie voci in entrata ed in uscita illustra assai bene la natura della seconda Legge di Stabilità di questo governo: una finanziaria berlusconiana e di classe, con molte misure tese alla costruzione del consenso e nulla di concreto per uscire dalla crisi.
Ma, ormai da anni, la finanziaria non si scrive solo a Roma ma anche a Bruxelles. Bisogna dunque chiedersi come la manovra appena varata nella capitale italiana vada ad incastrarsi nelle compatibilità stabilite dagli eurocrati residenti in quella belga. Questione non burocratica, bensì tutta politica, dato che riguarda da vicino le stesse prospettive dell’Unione Europea.
Entriamo dunque nel merito, esaminando 4 questioni: 1. perché parliamo di manovricchia, 2. perché è fortemente di classe, 3. perché è di stampo berlusconiano, 4. qual è verosimilmente l’accordo tra Roma e Bruxelles (via Berlino).
1. La manovricchia gonfiata
Le tabelle del governo parlano di una manovra da 26,5 mld, ma di questi ben 16,8 derivano dall’eliminazione delle clausole di salvaguardia sul versante degli impegni, mentre su quello delle risorse 14,6 mld “arrivano” dalla cosiddetta “flessibilità UE”. E’ evidente che i 16,8 mld di minori impegni non provengono da una (inesistente) riduzione delle tasse attuali, bensì dalla provvisoria cancellazione di una clausola che avrebbe imposto l’aumento dell’IVA e delle accise sui carburanti. Questo minor gettito fiscale è semplicemente compensato da un aumento del deficit di 14,6 mld. L’applicazione della “flessibilità UE” non porta soldi, come ovvio, ma soltanto un debito più elevato.
Ora, che IVA ed accise non aumentino (almeno provvisoriamente) è di certo una cosa positiva, ma parlare di “manovra” per cose semplicemente non fatte, ma che si era previsto di fare, è decisamente un assurdo. Se io penso di acquistare una casa ma poi non lo faccio, quale sarà l’impatto sull’economia? Sarà esattamente uno zero. Certo, la mia intenzione avrà generato un’aspettativa destinata poi a restare delusa, ma così ragionando potremmo programmare (se fosse possibile) l’acquisto di Marte, salvo poi rinunciarvi, generando così una “manovra” di infiniti miliardi. E con questo ho forse dato un’idea a Renzi…
Il fatto è che anche a Bruxelles ci si è resi conto dell’insostenibilità, per l’economia italiana, di un simile aumento delle imposte indirette. E si è deciso di soprassedere in cambio delle cosiddette “riforme”, cioè delle vere e proprie controriforme varate da Renzi, il Jobs Act in primo luogo. Ma soprassedere fino a quando? Certo non per sempre. Ed a tal fine giova ricordare che le tabelline accettate dall’Italia prevedevano (e prevedono ancora) un aumento delle imposte (IVA, accise, più altre voci) non soltanto per il 2016, ma anche per il 2017 e il 2018. Il tutto per un importo complessivo a regime di 29 miliardi e 636 milioni.
Renzi ha dunque ottenuto soltanto un rinvio. Un posticipo che egli ha comunque deciso di giocarsi tutto sul piano del consenso, non su quello di misure per l’occupazione e l’uscita dalla crisi.
2. I mille regali a lorsignori da un lato, i tagli alla sanità e la beffa ai lavoratori pubblici dall’altro
Abbiamo parlato di una finanziaria di classe. E dimostrare che di questo si tratta è sicuramente la cosa meno impegnativa, visto che l’elenco delle misure a favore di lorsignori basta e avanza. Sul fronte confindustriale Squinzi ha cantato comprensibilmente vittoria, dicendo che Renzi ha fatto «il massimo possibile». E siccome se il padrone parla la grancassa mediatica segue, ecco i giornaloni tutti lì a dire che si tratta di una finanziaria “espansiva”. Espansiva sì, ma fondamentalmente del loro portafoglio.
Ma vediamo nel dettaglio i regalini di Renzi:
1) La decontribuzione per le assunzioni continuerà anche il prossimo anno, anche se in misura ridotta. Sono stimati 834 milioni di euro per il 2016 ed un miliardo e mezzo per il 2017. E’ da notare che non si è voluta inserire alcuna condizionalità, come ad esempio l’aumento dell’occupazione, per accedere al regalino. Il che significa in concreto che se un’azienda licenzia un lavoratore – e con il Jobs act può farlo senza problemi – assumendone un altro al suo posto, gode comunque della decontribuzione per due anni.
2) Con effetto immediato dal 15 ottobre scorso è prevista una deduzione extra del 40% alle quote di ammortamento sui nuovi macchinari acquistati dalle aziende. In pratica l’azienda che farà un acquisto per mille euro ne contabilizzerà in realtà 1400 Questa misura determina un consistente sgravio fiscale sull’acquisto di ogni macchinario, anche un semplice computer.
3) La cancellazione dell’IMU sugli “imbullonati” (i grandi macchinari delle aziende) e sulle prime case signorili, incluso palazzi e castelli. Alcune fonti parlano di un risparmio medio per i proprietari di queste abitazioni di superlusso intorno ai 3.000 euro annui.
4) La riduzione dell’Ires, cioè della tassa sui profitti, che Renzi vuole portare dall’attuale 27,5 al 24%. Probabilmente questa riduzione andrà a regime solo nel 2017 (una prima misura ci sarà per il 2016 solo se l’UE accetterà la “clausola migranti” di cui parleremo più avanti). A regime si tratta di ben 4 miliardi di tasse in meno che arriveranno dai profitti.
5) Il ripristino della detassazione sul “premio di produttività”, un modo per deviare le richieste salariali in quell’unica direzione, facendone assorbire i costi non al padronato, bensì alla fiscalità generale.
Ma, a fronte di questi regalini ci sono nuove misure antipopolari. Vediamo:
1) In primo luogo il nuovo taglio alla Sanità. Un taglio di 2 miliardi, dopo che si era sempre rassicurato sulla certezza e stabilità dei finanziamenti assegnati ad un sistema sanitario che – come certifica l’Istat – assorbe risorse ben inferiori a quelle della media europea. Inutile dire che questi tagli, che hanno anche lo scopo di spingere verso la sanità privata, colpiranno essenzialmente la parte più debole della popolazione.
2) La cifra indicata dal governo per i rinnovi contrattuali del pubblico impiego grida semplicemente vendetta. Agli oltre 3 milioni di dipendenti pubblici Renzi ha destinato 200 milioni di euro. Diciamo 65 euro annui. O, se volete, 5 al mese, ovviamente lordi. Che dire? I lavoratori pubblici hanno i contratti bloccati dal 2009. Un blocco giudicato illegittimo dalla Corte Costituzionale, ma a Renzi gli fa un baffo. I 5 euro mensili lordi sono la sua risposta. Vedremo quale sarà quella dei lavoratori.
3) La farsa della flessibilità in uscita, cioè verso la pensione. Si è molto parlato di questa misura, ma alla fine non si è fatto niente, dato che l’opzione scelta, quella del part time, è troppo gravosa per i lavoratori e ben pochi vi faranno ricorso. Per questa misura il governo ha messo a bilancio la miseria di 100 milioni.
Altro ci sarebbe da dire sui tagli lineari applicati ai ministeri, sull’assoluta insufficienza delle risorse destinate alla lotta alla povertà, sul nuovo meccanismo di riscossione del canone Rai (questa sì una tassa che andrebbe eliminata da subito!), ma credo che la natura di classe della finanziaria di Renzi sia già fin troppo chiara.
3. Una manovra berlusconiana
In tanti hanno già utilizzato questa definizione, che in effetti contiene diverse verità. Ma qui ci concentreremo su un aspetto, quello della ricerca a tutti i costi del consenso.
Non è certo un caso che Renzi abbia scelto come simbolo la cancellazione di IMU e Tasi sulla prima casa. Questa fu la carta giocata da Berlusconi in una ormai lontana (2006) campagna elettorale. Una carta che portò ad un quasi pareggio con Prodi, mentre fino a pochi giorni prima la vittoria del Mortadella era data per ampia e sicura. Ma Renzi ha copiato anche altre misure-immagine del Berluska, come ad esempio la detassazione del premio di produttività. E che dire dell’innalzamento a 3.00 euro del limite all’uso del contante?
Per Renzi, come per Berlusconi, il potere viene prima di tutto. Il proprio potere e quello del famelico gruppo che gli sta attorno. Ma non si mantiene il potere (Monti docet) senza conservare un adeguato consenso. Da qui la corsa a mille misure tenute insieme unicamente dalla volontà di garantirsi la vittoria alle prossime elezioni.
Si dirà che la platea dei beneficiati è comunque troppo ristretta per creare consenso, ma non bisogna sottovalutare due aspetti. Il primo è che i veri beneficiati – quelli di cui ci siamo occupati al punto 2 – sono sì pochi, ma hanno molti mezzi. Tra questi il monopolio dell’informazione con tutte le conseguenze del caso. Il secondo è che, grazie anche alla versione propagandistica diffusa da un circo mediatico così oliato, verrà annunciata la lieta novella di “meno tasse per tutti“. I “tutti” sono evidentemente i possessori di case, ma a fronte dei tremila euro di sconto per i super-ricchi, ai proprietari di una casa normale andrà poco più di 100 euro. Forse un po’ poco per riuscire davvero a turlupinarli, ma questo è il tentativo.
Ovvio che l’esasperata ricerca del consenso confligga con l’adozione di misure volte alla lotta alla disoccupazione. Prescindendo qui dalle valutazioni di merito sui singoli provvedimenti – ad esempio, chi scrive è a favore dell’eliminazione della tassazione sulla prima casa, ma non su quelle di lusso – resta il fatto che le risorse che si è deciso di avere a disposizione andando ad incrementare il deficit, sarebbe stato assai meglio spenderle per un vigoroso piano di investimenti pubblici per provare ad uscire dalla perdurante stagnazione.
Non lo si è voluto fare, tanto i disoccupati possono aspettare, come desidera anche l’UE. Meglio i regalini agli amici. Meglio non innervosire i sacerdoti del verbo liberista. Meglio pensare ai fatti propri. Meglio galleggiare, guardando alle prossime elezioni.
4. E l’Europa?
Come si è visto la seconda Legge di Stabilità di Renzi si regge sulla cosiddetta “flessibilità UE”, cioè sulla concreta possibilità di incrementare il deficit prima programmato, di rinviare il pareggio di bilancio e l’applicazione della regola del debito prevista dal Fiscal Compact.
Sulle ragioni di questa temporanea flessibilità, e su quanto possa durare, ho già scritto in abbondanza in un altro articolo di qualche giorno fa. Qui mi limito a ribadire tre cose. La prima è che questo parziale allentamento è solo momentaneo, visto che gli obiettivi del Fiscal Compact sono solo spostati in avanti. La seconda è che questo spostamento è possibile solo grazie alla gigantesca iniezione di liquidità operata dalla Bce, che Draghi si appresta probabilmente ad allungare nel tempo. La terza è che anche questa cura non potrà certo essere risolutiva, né tantomeno potrà durare a tempo indeterminato.
Tutti sanno che una mega-bolla si va preparando da tempo. Ed i quantitative easing americano, giapponese, britannico ed ora europeo gli hanno dato e continuano a dargli una spinta decisiva. Questa politica delle banche centrali, se da un lato non è riuscita nell’intento di porre termine alla crisi scoppiata nel 2008, dall’altro è però servita a contenerne gli effetti, a diluire i tempi, ad impedire una vera esplosione del conflitto sociale.
E’ in questo contesto, al di là dei sui aspetti più caserecci, fatti di clientele, favori e scambi di ogni tipo, che va inserita la nuova finanziaria renziana.
Questo non significa, beninteso, che tra Roma ed UE siano tutte rose e fiori. Come si è visto nel caso della finanziaria spagnola, rispedita da Bruxelles al mittente, gli occhiuti eurocrati al servizio del dogma della moneta unica sono ben lungi dall’allentare più di tanto le regole del rigore.
Nel concreto, come andrà a finire con la Legge di Stabilità 2016? Provo ad avanzare un’ipotesi. Penso che l’accordo ci sia già, che l’UE non avrà nulla da eccepire sullo “sconto” legato alle clausole sulle (contro)riforme (leggi Jobs act), e neppure su quello derivante dalla clausola sugli investimenti, anche se francamente non si capisce bene quali siano questi ultimi. Più difficile che Bruxelles accetti lo “sconto” (3,1 mld richiesti) per l’emergenza migranti. Anche per questa ragione non ho incluso il relativo importo nel totale della manovra di cui ci siamo occupati al punto 1.
Conclusioni
Che dire in conclusione? E’ chiaro che si tratta di una finanziaria di attesa. Così l’avevo definita nell’articolo già citato. Attesa per l’Italia ed attesa per la stessa Unione. Ma attesa di che cosa? Ovviamente della mitica ripresa. Naturalmente tutti sanno che quella che Renzi spaccia come tale è solo un modestissimo rimbalzo fisiologico pronto a sgonfiarsi alla prima turbolenza.
E di nubi all’orizzonte ce ne sono tante: dalla frenata cinese, al tremito degli “emergenti” in attesa delle decisioni della Fed; dalle delusioni sulla crescita USA ai primi scricchiolii in Germania, dove quel che potrebbe accadere con Deutsche Bank rischia di far derubricare a piccolo incidente la stessa vicenda Volkswagen.
Nubi all’orizzonte, con sempre sullo sfondo il probabile scoppio della nuova bolla finanziaria. Nubi capaci di frantumare in un baleno il castello di carte costruito da Padoan. Un castello che, riguardo ai conti 2016, già si basa – anche qualora dovessero permanere le favorevoli condizioni attuali – su due dati palesemente gonfiati: quello sulla crescita (un +1,6% che nessun organismo terzo accredita) ed un’inflazione implicitamente calcolata al +1,2% quando siamo ancora vicini alla soglia dello zero. Uno scarto decisivo nel far deragliare, nonostante la mitica flessibilità concessa, gli stessi conti per il prossimo anno. Vedremo.
Intanto Matteo Renzi da Rignano galleggia. Egli ama atteggiarsi a decisore, e senza dubbio lo è, specie quando si tratta di colpire la povera gente, di stracciare i diritti e la democrazia. E lo è stato soprattutto nel disegnarsi un sistema istituzionale ed una legge elettorale fatta su misura. Per il resto invece galleggia, intento a pavoneggiarsi e a non perdere quel consenso decisivo per restare in sella. In questo è davvero un Berlusconi all’ennesima potenza.