In memoria di Txomin Ziluaga
Difenderò la casa di mio padre … io morirò,
si perderà la mia anima,
si perderà la mia progenie,
ma la casa di mio padre resterà in piedi.
Gabriel Aresti (1933-1975).
Nella foto sopra la manifestazione per la libertà di Arnaldo Otegi e Usabiaga svoltasi a San Sebastian il 17 ottobre scorso.
Comincio, come comincerebbe Txomin, con l’autocritica e chiedendo perdono. Persi il coraggio di scrivere un articolo come questo un anno fa. Ci pensai e non osai. Perché? Per non ferire il mio movimento politico, Izquierda Unida in un momento di grande difficoltà e, debbo dirlo, per non creare ulteriori problemi al mio amico di sempre, Pablo Iglesias. Oggi so che ho sbagliato e non ho scusanti.
La mia ammirazione per Arnaldo Otegi viene da lontano. Stile diretto, modestia e chiarezza di idee. Soprattutto, il coraggio, il coraggio civile di porre fine ad una tappa della storia, dura e terribile, del movimento nazionalista. Non potremmo essergli più grati: porre fine alla violenza armata, considerare seriamente la lotta per la liberazione sociale e nazionale di Euskadi nella prospettiva di una democrazia da ricostruire, non è stato e non sarà mai facile, inoltre, deve essere sottolineato, essendo lui in carcere.
Dovete capire. Un movimento armato, centinaia di prigionieri nelle carceri, continui arresti di leader dell’ETA e avviare il dibattito. Sì, il dibattito è stato avviato, lo abbiamo condotto tutti con Arnaldo Otegi, per mettere la politica al centro, discutere le possibili soluzioni democratiche e scommettere per un nuovo Euskadi riconciliato, libero e socialista.
L’incarcerazione di Otegi è ingiusta e politicamente voluta. Lo sappiamo tutti. Tenere un uomo di pace, il suo più grande promotore, in prigione, significa puntare sul conflitto e sullo scontro. Arantza Quiroga, segretario del Partito Popolare nei Paesi Baschi, lo ha confermato in prima persona: attizzare, aggravare il conflitto basco, rimane un elemento centrale della politica della destra. Le “ragioni” le conosciamo tutti: giustificare la restrizione delle libertà, criminalizzare qualsiasi rapporto, accordo, alleanza tra la sinistra abertzale e la sinistra federalista spagnola, rafforzando un discorso “nazionale” in tempi in cui la corruzione e le politiche austeritarie provocano un drastico calo del voto dei cittadini.
La crisi dell’Unione europea, la dittatura dei creditori guidata dal potente Stato tedesco e il peggioramento della situazione economica, sociale e politica nel Sud, obbligano, io penso, ad un cambiamento di prospettiva storica. Con una certa sorpresa vediamo come le borghesie basca e catalana, nelle sue varie articolazioni politiche, approvano, insieme al governo “nemico” di Rajoy, i memoranda austeritari che sopprimono i diritti sociali, restringono i diritti sindacali, precarizzano i rapporti di lavoro e, soprattutto degradano la democrazia in tutte le sue accezioni. Lo Stato spagnolo, più precisamente il Regno di Spagna, non è uno Stato sovrano e sta diventando a poco a poco un “protettorato” economicamente dipendente e politicamente sempre più subordinato.
Questo non è un problema minore. Considerare le varie “questioni nazionali” dello Stato spagnolo come se la globalizzazione capitalista non esistesse, come se l’Unione europea non determini il contesto reale della nostra vita pubblica, è, a mio avviso, un errore enorme. Quelli che soffrono di questo stato di cose sono la nostra classe operaia, la nostra gente, i cittadini in generale. Abbiamo urgente bisogno di un mutamento politico; è molto difficile che questo cambiamento possa essere compiuto nel contesto di un’Unione europea che è organizzata come un potente sistema di dominio al servizio dei poteri economici, insisto, una Unione egemonizzata da uno Stato nazionale: la Germania.
Lo Stato spagnolo, la Costituzione venuta fuori dalla Transizione, è in crisi. La fase è caratterizzata da uno scontro radicale tra l’ennesima restaurazione borbonica e la rottura. Al centro, in basso e a sinistra, la necessità di un processo costituente per rendere effettuale ciò che dicono i testi costituzionali, vale a dire che sovrano è il popolo, il nostro popolo, le cittadine ed i cittadini; che il nostro dovere primario è quello dell’autogoverno, quello di amministrarci collettivamente e prendere nelle nostre mani il nostro proprio destino. Si tratta di costruire un nuovo Stato, un nuovo modello di produzione ed un nuovo modello sociale, a partire dal riconoscimento del diritto all’autodeterminazione.
C’è una possibilità reale di unità delle sinistre dello Stato, di una convergenza reale tra forze nazionaliste e forze di sinistra per cambiare questa realtà plurale chiamata Spagna. Per molti versi la cessazione della violenza nei Paesi Baschi, il processo di pace avviato, fa sì che la Politica con la P maiuscola si affacci di nuovo alla ribalta nelle nostre società e che il cambiamento diventi possibile. Non è poca cosa.
Arnaldo Otegi resta ingiustamente incarcerato. La sua libertà aiuterà la pace e la riconciliazione; sarà un interlocutore fondamentale per garantire che la crisi del regime monarchico abbia uno sbocco democratico e progressista. La sua libertà sarà la nostra.
* Fonte: Cuarto Poder
** Traduzione a cura della redazione