Gli attacchi di Parigi sono calati come un fulmine a ciel sereno nella più che tranquilla, per non dire moscia, campagna elettorale spagnola. Il primo ministro Rajoy si è ben guardato dal raccogliere l’invito di Hollande ad intrupparsi nella “super guerra” francese contro lo Stato Islamico.

Tutti i sondaggi danno il suo Partito Popolare, pur in forte calo, come primo partito. Partecipare alla crociata di Hollande, metterebbe a rischio la sua già fragile vittoria elettorale. Rajoy ha ostentato la sua maschera politicamente corretta affermando che in ogni caso deciderà il parlamento, ed ha quindi invitato tutti i partiti spagnoli a sedersi attorno ad un tavolo per decidere assieme se e come andare incontro alla richiesta di aiuto di Hollande (e della NATO). Tutti i principali partiti spagnoli hanno accettato l’invito di Rajoy (Podemos incluso), tranne Izquierda Unida.

Il governo e i partiti spagnoli hanno ben altre gatte da pelare che quella di partire lancia in resta contro il terrorismo.

La principale questione che catalizza il dibattito politico spagnolo, è la questione dell’indipendenza della Catalogna. Si può ben dire che Barcellona, in questi giorni, è la vera capitale politica della Spagna.

Il governatore indipendentista (liberista ed eurista) della Catalogna Artur Mas non sembra indietreggiare di un centimetro dal suo obiettivo di secedere dalla Spagna l’anno prossimo e proprio ieri ha ribadito che si svolgerà, in Catalogna, quanto prima, un referendum deliberativo per ottenere l’indipendenza. Artur Mas gode certo di un ampio sostegno in Catalogna, ma ha una spina nel fianco: la sinistra indipendentista della CUP (Candidatura d’Unitat Popular). Artur Mas ha chiesto alla CUP un voto favorevole come governatore della Catalogna, un passo indispensabile nella sua strategia secessionista. Un appoggio che non è affatto certo, visto che gran parte della CUP (le sue frange più radicali) si rifiutano di votargli la fiducia.

La questione della plausibilità e fattibilità di questo referendum divide i partiti spagnoli in due fronti contrapposti: da una parte gli “spagnolisti” (anzitutto il Partito Popolare, il PSOE e Ciudadanos) che ritengono questo referendum inammissibile, dall’altra Izquierda Unida e Podemos, i quali, pur essendo contrari all’indipendenza, accettano in linea di principio che i catalani possano decidere sulla propria autodeterminazione. E’ degno di nota il cambio di posizione, giunto proprio ieri [25 novembre, ndr] di Podemos che dall’opposizione al referendum, è passato ad una posizione favorevole.

Questo cambio si spiega con la grave crisi che Podemos soffre in Catalogna dove tutta la direzione regionale del movimento si era dimessa proprio per protestare contro la linea spagnolista della direzione di Pablo Iglesias e Iñigo Errejòn. Per protesta contro l’idea di una Spagna comunque unitaria si era dimessa proprio una settimana fa anche la direzione di Podemos nei Paesi Baschi. E’ in discussione, dentro Podemos, il punto 277 del programma la cui ultima versione adesso si riferisce alla “natura plurinazionale della Spagna” e quindi conclude “assicureremo il diritto dei governi autonomi a celebrare consultazioni sulla configurazione territoriale del paese”.

Ma Podemos non soffre una grave crisi solo nei Paesi Baschi e in Catalogna. La ribellione in Andalusia non è meno preoccupante per Pablo Iglesias. Qui la questione non è l’indipendentismo andaluso, ma il criterio con cui la direzione centrale ha selezionato i candidati per le prossime elezioni parlamentari del 20 dicembre.

Podemos Andalusia, con in testa Teresa Rodriguez, respinge l’imposizione di candidati decisi dall’alto e fedeli a Pablo Iglesias.

Questi diversi focolai di dissenso interni a Podemos sono la manifestazione di una crisi ben più ampia e profonda del movimento. Il discorso centrale di Pablo Iglesias è consistito per mesi nella promessa della vittoria, ovvero che con le prossime elezioni sarebbero stati battuti i poteri oligarchici e mandati a casa i loro due principali partiti PP e PSOE. Era l’idea dell’assalto frontale, di una vittoria rapida e fulminante. Tutti i sondaggi danno invece Podemos come terzo, se non quarto partito (addirittura dopo Ciudadanos, il nuovo movimento politico di matrice neoliberista).

Davanti a questo, per lui inatteso, declino di consensi, Pablo Iglesias ha risposto con un apparente slittamento a destra del suo messaggio politico, allo scopo evidente di pescare voti tra l’elettorato moderato. In questo quadro si comprende non solo la sua recente affermazione che la Spagna dovrebbe restare nella NATO ma pure la difesa della permanenza del paese nell’Unione Europea e nell’Eurozona. Questa tattica rivela quanto la direzione di Podemos sia vittima dei sondaggi e di quello che qui molti chiamano “cretinismo elettorale”.

Vedremo dunque cosa diranno le urne il 20 dicembre.
Che arrivi terzo o addirittura quarto poco cambierà. Sarebbe il fallimento del gruppo dirigente raccolto attorno a Pablo Iglesias, ciò che renderebbe molto probabile una crisi devastante di Podemos e la sua possibile frammentazione.

D’altra parte Izquierda Unida non se la passa meglio, anzi. I sondaggi le danno un risultato che oscilla tra il 3 ed il 5%, con il rischio che non superi lo sbarramento per entrare in parlamento. Se è molto probabile che dalle urne, il 20 dicembre, emergerà un quadro politico che sancirà la fine del sistema bipolare, è altrettanto possibile che ciò si accompagnerà ad un terremoto a sinistra. Un esito ben diverso da quello emerso nel vicino Portogallo.

da sollevAzione