Verificare chi come quando e perché speculerà sui crediti deteriorati delle banche ‘salvate’? Impossibile. Il segreto tutela la distruzione del risparmio italiano.
La truffa del decreto salva-banche è fin troppo evidente. La difesa dei cittadini truffati è un dovere, per ragioni di giustizia e non solo. Il governo vorrebbe chiudere la partita con un’elemosina. Una presa in giro del tutto inaccettabile. Come è stato scritto (vedi questo articolo di sollevAzione) occorre una proposta chiara per tutelare sul serio le vittime di questa mega-truffa.
Questa la proposta:
«La soglia dei 100mila euro che tutela i correntisti, dev’essere estesa a coloro che erano stati spinti ad acquistare obbligazioni e azioni. Con la clausola di una bail-in popolare: vanno rimborsati non i milionari che nel loro portafoglio avevano tra le altre, azioni delle banche in questione, ma solo i cittadini di modeste condizioni, che a causa della truffa sono stati gettati sul lastrico. Devono essere rimborsati a spese della fiscalità generale? No, devono essere rimborsati dalle banche, precisamente dal fondo inter-bancario. E se serve i soldi vanno presi dove stanno, applicando ai banchieri la norma adottata per i capi mafiosi: requisizione dei loro beni!».
Sulla rapina contenuta nelle norme del decreto renziano pubblichiamo di seguito un ottimo articolo di Simone Santini.
Mani in alto, questa è una rapina (legalizzata)
di Simone Santini
Nel marzo scorso, il governatore della BCE Mario Draghi dichiarò: «l’Italia ha 750 banche [.] Ogni CdA costa una certa cifra e tutto questo sistema è molto costoso [.] Capite che l’argomento per un consolidamento del sistema bancario italiano è forte». Insomma, ci sono troppe banche nel nostro paese. Bisogna semplificare con acquisizioni e fusioni. In parole povere: i pesci grandi devono mangiare i pesci piccoli.
Alcuni giorni fa il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha detto che bisogna: «Tornare a smuovere quella enorme massa di denaro che c’è, il denaro del risparmio privato». L’Italia ha un altissimo debito pubblico ma anche un altissimo risparmio privato. Ora basta fare le formiche anche se di doman non c’è certezza.
Con queste due coordinate va letto e compreso nel profondo il decreto emanato dal Governo lo scorso 22 novembre, cosiddetto “salva-banche”, che ha sancito una piccola rivoluzione. Per la prima volta in Italia, e prima dell’entrata in vigore della normativa europea conosciuta come bail-in dal 1° gennaio 2016, al salvataggio di banche in crisi non concorre lo Stato con soldi pubblici ma il sistema bancario e i risparmiatori in possesso di titoli delle banche in oggetto, nello specifico azioni e obbligazioni subordinate.
Così, quattro piccole o medio-piccole banche italiane territoriali, BANCA ETRURIA, BANCA MARCHE, CARIFERRARA e CARICHIETI, da tempo in crisi e commissariate da BANCA D’ITALIA, hanno visto trasformare il proprio destino in un quarto d’ora (tanto è durato il Consiglio dei Ministri) di una domenica pomeriggio.
Questi quattro istituti non esistono più. Al loro posto sono nate quattro nuove banche, nuove di zecca, ricapitalizzate con soldi freschi grazie ad un prestito arrivato dai tre maggiori gruppi italiani, INTESA SANPAOLO, UNICREDIT e UBI, e soprattutto ripulite delle cosiddette “sofferenze”, ovvero i crediti difficilmente esigibili frutto di anni di mala gestione e su cui, in diversi casi, le procure stanno indagando per storie di mazzette e ruberie assortite. Ma dove sono finiti questi crediti sofferenti? Tutti in una bad bank, una banca cattiva separata da quella buona, che avrà il compito di gestirli e soprattutto venderli a società specializzate in recupero crediti.
Tutto bene, quindi, verrebbe da pensare. Ed infatti i media, in coro, avevano osannato a caldo questa operazione del Governo: Banche salve! Correntisti tutelati! Nessun esborso per i contribuenti!
Ma vediamo più da vicino chi ci ha guadagnato (guadagnerà) e chi ci ha perso.
I grandi gruppi bancari precedentemente citati, che hanno sponsorizzato l’operazione, avranno diverse facilitazioni. Sborsano nell’immediato una cifra consistente ma avranno in cambio forti sconti fiscali e quando le quattro banche verranno quanto prima vendute al migliore offerente (è questo lo scopo principale – se non esclusivo – dell’attuale presidente unico per tutti e quattro i nuovi soggetti, Roberto Nicastro, già direttore generale di UNICREDIT) rientreranno anche del loro prestito. Faranno un ghiotto affare anche gli acquirenti (e chissà che non siano le stesse banche “prestatrici” a fare una offerta) perché potranno comprare in saldo banche ripulite e che hanno nei loro territori un insediamento storico. Unico ipotetico inghippo a questo piano perfetto, una azione dei risparmiatori che prelevando massicciamente i propri fondi da queste quattro banche, dimostrasse che l’affare approntato dal sistema bancario non sarebbe poi così lucrativo. In fondo, la ricchezza di una banca è determinata dalla sua clientela. Se loro se ne vanno, la banca smette di essere attraente per un nuovo compratore.
Capitolo bad bank. Qui la manovra è stata ancora più sporca. Le quattro banche in crisi avevano 8,5 miliardi di euro in crediti deteriorati. Mutui milionari azzardati specialmente verso il settore edilizio che, complice anche la crisi attuale, non tornano indietro. Tali crediti sono stati immessi nella bad bank per un valore di 1,5 miliardi. Una svalutazione eccezionale di oltre l’80% con accantonamenti ultra prudenziali. Si calcola che il complesso del sistema bancario italiano abbia in pancia 200 miliardi di crediti deteriorati. Se un tale coefficiente di svalutazione fosse applicato a tutti, vedremmo una sequela ininterrotta di fallimenti bancari. Ben pochi si salverebbero. Forse nessuno.
In questo caso, però, tale svalutazione ha avuto due scopi precisi. Da un lato, azzerare il capitale delle banche per consentire di far scattare il programma di risoluzione (ovvero il “salvataggio”) da parte di BANCA D’ITALIA; dall’altro offrire su un piatto d’argento un succulento cosciotto da addentare. Chi acquisterà, speculando, i crediti deteriorati e riscuotendoli riuscisse a spuntare anche soltanto un terzo del loro valore nominale, farà un profitto di oltre un miliardo.
Visto che siamo in Italia, e in questi mondi finanziari, affaristici, politici, esiste un intreccio inestricabile tra controllori, controllati, amici e amici degli amici, sarebbe interessante poter verificare con assoluta trasparenza chi come quando e perché speculerà sui crediti deteriorati delle banche “salvate”.
Ma non potremo farlo.
Tutta la procedura di risoluzione bancaria è coperta dal segreto d’ufficio come previsto, con una norma senza precedenti, dall’art. 5 del recente decreto 180 che recepisce in Italia la normativa europea del settore. A partire da BANCA D’ITALIA e suoi dipendenti e giù giù scendendo al Ministero dell’Economia, ad organismi come la CONSOB, qualsivoglia pubblica amministrazione, commissari speciali, potenziali acquirenti con i loro organi e collaboratori, insomma chiunque venisse a conoscenza di notizie, informazioni, dati relativi ad una risoluzione bancaria, è strettamente tenuto al segreto d’ufficio. Nessuno deve sapere nulla. È segreto. Tombale.
E arriviamo al lato opposto del campo di battaglia. Chi ci perde? In questo caso è facile fare i conti. Le azioni e le obbligazioni subordinate delle vecchie quattro banche, che dopo il salvataggio vengono messe in liquidazione coatta amministrativa, sono azzerate. Non valgono più nulla, carta straccia. Una perdita di risparmio tra fondazioni e privati di svariate centinaia di milioni di euro in un territorio abbastanza circoscritto del Centro-Italia, più di centomila persone coinvolte.
Il Governo ha tentato di giustificarsi, oltre che con il consueto ritornello «ce lo chiede l’Europa», sottolineando che azionisti e obbligazionisti avevano assunto un «rischio d’impresa» e che tale rischio va pagato, facendo passare i risparmiatori per investitori speculativi. Peccato chel’acquisto di azioni fosse, spesso, un corollario necessitato per avere fidi e mutui, peccato che su 780 milioni di subordinate azzerate meno di 200 erano di tipologia Upper Tier2 con rendimenti relativamente elevati e destinate a clientela istituzionale e il grosso fosse invece di tipologia Lower Tier2, destinato alla clientela retail (piccoli investitori privati), ovvero a basso rischio e con rendimenti che in molti casi arrivavano a mala pena all’1% lordo. Alla faccia della speculazione!
Chi conosce questi territori, chi conosce gli occhi delle persone che hanno visto azzerare questi soldi, sa bene da dove arrivavano. Sono risparmi creati in più generazioni, da passare dai nonni ai figli e fino ai nipoti. Sono i risparmi creati col lavoro della generazione del dopoguerra, quella che ha costruito l’Italia così com’è, faticando a testa bassa. Le province profonde di Abruzzo, Emilia-Romagna, Marche, Toscana, Umbria, terre laboriose, frugali, con un tessuto sociale che ancora resiste, nonostante le sollecitazioni. Sono i risparmi di pensionati, artigiani, piccoli imprenditori. Gente che ha sempre dato tutto chiedendo in cambio nulla. Con dignità e generosità.
E si torna così alle due coordinate da cui siamo partiti. È cominciata una vera e propria guerra che ha una posta in gioco altissima: la risistemazione dell’assetto bancario e la grande ricchezza del risparmio privato italiano. Non si faranno prigionieri e andrà sempre peggio. Questo è stato solo un primo colpo d’assaggio dopo la legge di riordino delle popolari e la promessa di dedicarsi a breve al credito cooperativo.
In questa guerra la politica non guarderà nemmeno in faccia al proprio elettorato di riferimento, a testimonianza di quanto siano forti i poteri che dirigono le danze, e se si scatenerà un po’ di panico sui mercati bancari e obbligazionari, poco male. I risparmiatori saranno caldamente spinti ad indirizzare gli investimenti verso i grandi fondi finanziari internazionali. I Masters of the Universe sentitamente ringraziano.
da Megachip