Un accordo per “giustificare” l’intervento armato europeo?
Più sotto potete leggere un articolo di Giorgia Grifoni sull’accordo per un nuovo governo unitario in Libia, firmato l’altro ieri in Marocco. Un accordo che fermerà la guerra civile, o pensato solo per favorire l’intervento delle potenze europee? La “seconda che hai detto” sostiene motivatamente Grifoni.
Sulla complessa situazione libica ci pare utile segnalare anche quanto scritto da Alberto Negri, nel cui articolo si può leggere quanto segue:
«Entrambi i capi dei due Parlamenti rivali di Tripoli e Tobruk hanno dichiarato che i firmatari non rappresentano le due Camere e le maggiori fazioni armate della capitale sono contrarie. “Chi rappresenta chi” in Libia è complicato da decifrare: le fazioni sono sostenute dai “pompieri incendiari”, un corteo di emiri e sceicchi che a parole appoggiano la pace e poi fomentano la guerra. L’Egitto manovra il generale Khalifa Haftar, il Qatar seduce con dollari sonanti gli islamisti di Tripoli, gli Emirati, per appoggiare Tobruk, si sono persino comprati il precedente mediatore dell’Onu Bernardino Leòn; senza contare la Turchia che sostiene Misurata, la città-stato più agguerrita, ma anche i jihadisti».
Libia, accordo con troppi limiti. Gongolano Francia e Gran Bretagna
di Giorgia Grifoni
Siglato ieri l’accordo tra i due parlamenti, dopo giorni di rinvii e polemiche interne per via del disaccordo di molti rappresentanti di entrambe le autorità politiche. Gongolano Francia e Gran Bretagna, già pronte a intervenire
L’accordo “non ha alcuna legittimità” e i politici presenti “rappresentano solo se stessi”, eppure è stato siglato comunque. Lo hanno detto ieri, durante le consultazioni di Skhirat, i presidenti dei parlamenti di Tobruk e Tripoli prima di procedere alla firma: “Un governo come quello proposto dalle Nazioni Unite – ha avvertito il capo del Congresso nazionale di Tripoli Nouri Abusahmein – non è oggetto di consenso e non garantisce nemmeno il minimo necessario per assicurarne l’efficacia”. Eppure, nonostante la sostanziale inconciliabilità delle parti, l’accordo c’è stato.
La “storica firma”, come l’hanno definita Italia e Stati Uniti al summit di Roma domenica scorsa, avrebbe dovuto essere apposta mercoledì scorso, come previsto da una dichiarazione congiunta diffusa nella capitale italiana al termine dell’incontro tra i delegati libici, le potenze occidentali e gli attori regionali. Ma dopo un incontro tra i rappresentanti di Tobruk e Tripoli a Malta martedì, le parti avevano chiesto di posporre il tutto a giovedì, lamentando che l’accordo, così com’era, andasse contro la volontà del popolo libico.
Ieri sembrava che si fosse sul punto di posporre ancora la firma, e voci non confermate riferivano che i delegati di Tobruk avevano abbandonato le consultazioni dopo che erano emerse delle divergenze sui nomi da inserire nel Consiglio presidenziale che dovrebbe affiancare il premier scelto – o imposto – Aguila Saleh, presidente del parlamento di Tobruk. Poi, a sorpresa, l’intesa è stata siglata nel primo pomeriggio, lasciando intendere che ci fossero state pesanti pressioni esterne e, soprattutto, che un parlamento avesse prevalso sull’altro.
Emblematiche, a questo proposito, sono state le dichiarazioni di Jamal Zubia, portavoce del Congresso nazionale: “Le persone che stanno firmando questo progetto delle Nazioni Unite – ha detto ieri – non hanno alcuna autorità. Quando si inviano persone non autorizzate a firmare, si tratta di un documento falso. Se vogliono un paese democratico, devono farlo in modo democratico – non ci possono obbligare ad accettarla. Se vogliono fare di noi una colonia, devono chiamarla colonia, e non spacciarcela come un regalo da parte dell’Onu”.
Il disaccordo all’interno dei due parlamenti – palesatosi sin dalla prima presentazione di un documento di intesa all’inizio di ottobre – e il sostanziale disaccordo di molte delle fazioni belligeranti legate ai due emicicli rivali, avevano spinto stampa internazionale e analisti a denunciare la pericolosità di un accordo firmato in fretta e in furia solo da una piccola parte dello spettro politico libico. La reale mossa dietro alla celerità e alla scarsa accuratezza delle consultazioni – avvertono in molti tra Libia ed Europa – sta nell’avanzata dell’Isis, nel suo avvicinamento al petrolio libico e nella minaccia che rappresenta a così poca distanza dalle coste europee.
Il giubilo della comunità internazionale – soprattutto di Francia e Gran Bretagna, che da alcune settimane sussurrano un intervento armato in Libia – è palese e tutto concentrato sui prossimi sforzi per abbattere l’Isis piuttosto che sull’intesa raggiunta da alcuni libici, ormai in guerra da 18 mesi. Il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius, ad esempio, ha accolto con favore l’accordo e ha raccomandato l’istituzione di “un governo di unità nazionale al più presto a Tripoli”, perché “è un obbligo per frenare il terrorismo”.
Il premier britannico David Cameron ha dichiarato che l’accordo “permetterà alla comunità internazionale di impegnarsi con un governo rappresentativo per combattere il terrorismo e l’Isis in Libia”, mentre in contemporanea il segretario britannico alla Difesa Michael Fallon rivelava che il Ministero è pronto a inviare a Tripoli fino a mille soldati in modalità di non combattimento, dopo aver mandato jet da combattimento nei cieli siriani.
Sull’agguerrito fronte inglese, inoltre, una fonte governativa ha rivelato al Guardian che la nuova amministrazione libica dovrebbe richiedere assistenza militare britannica. Un piccolo gruppo di sei persone – insieme ad altrettanti esperti militari italiani – verrebbe inviato inizialmente a vagliare la fattibilità delle operazioni anti-Isis, come il luogo per la formazione delle truppe e il livello di minaccia potenziale. Pare, quindi, che la guerra all’Isis sia già stata concordata nei minimi dettagli con i libici: non con tutti, però.
da Nena News