A proposito della Legge di Stabilità approvata dal parlamento
Renzi festeggia, la Confindustria pure: la loro “Legge di Stabilità” è stata, come previsto, approvata. L’ultimo assalto alla diligenza – la solita pioggia di regali natalizi ad amici e compagni di merende – è la pittoresca ciliegina sulla torta, messa lì quasi a volerci mostrare quel che già conoscevamo: la spudorata arroganza di un gruppo di potere famelico e corrotto, che pensa solo ai propri interessi mentre attorno tutto va in rovina.
Volete alcuni esempi? I regali concessi al casinò di Campione d’Italia (9 milioni) ed al Gran Premio di Monza, gli sgravi fiscali sulla compravendita dei calciatori, i 10 milioni dati a Radio Radicale. Tutte misure attese dal popolo, si direbbe. Soldi dati brevi manu ad istituzioni evidentemente meritorie e decisive per il paese… Sono queste le priorità del governo Renzi, e di un parlamento da mandare a casa.
Naturalmente, tutto ciò non fa altro che confermare l’impianto di fondo della Finanziaria 2015: una manovricchia di stampo berlusconiano e di classe, come già era evidente all’atto della sua presentazione (leggi QUI).
In breve: perché manovricchia, perché berlusconiana, perché di classe? Chi volesse approfondire non ha che da rileggersi le argomentazioni dell’articolo appena citato, che qui ci limitiamo a riassumere.
Quella appena approvata è e resta una manovricchia. Si parla impropriamente di misure per 32/33 miliardi, ma in realtà 16,8 di questi sono solo il frutto della provvisoria (si noti bene, provvisoria) eliminazione delle clausole di salvaguardia, cioè dell’impegno preso con l’Europa ad aumentare l’IVA e le accise in modo da ottenere la suddetta cifra. La rimozione di questa clausola per il 2016 è stata compensata dalla cosiddetta “flessibilità” concessa dall’UE. Una flessibilità che ha portato a lievitare il deficit dei conti pubblici per il 2016: era previsto all’1,4% ad aprile, poi all’1,8% a maggio, al 2,2% a settembre, per arrivare (con la cosiddetta “clausola migranti”) al 2,4%. Insomma, un punto percentuale in più rispetto alla base di partenza, 16 miliardi e rotti che andranno ad incrementare il debito nel prossimo anno.
Ora, che si sia scelto di forzare le regole europee, a partire da quelle del Fiscal compact, non è certo un male. L’economia italiana ha assolutamente bisogno di una politica espansiva. Ma si può definire tale la Legge di Stabilità di Renzi? Assolutamente no. Intanto perché buona parte delle risorse liberate vanno semplicemente nelle tasche di lorsignori (decontribuzione sulle assunzioni, deduzione extra sugli ammortamenti, riduzione dell’Ires dal 2017, eccetera). In secondo luogo perché il grosso delle riduzioni fiscali si concentra sull’IMU. In terzo luogo perché sono previsti comunque tagli di spesa per circa 8 miliardi, con il loro inevitabile effetto recessivo. Infine, perché manca proprio quella cosa di cui ci sarebbe invece estremo bisogno: un grande piano di investimenti pubblici.
Poteva andare diversamente? Certamente no, se si vuole restare nella gabbia europea. Per fare una politica davvero espansiva, volta ad azzerare la disoccupazione, non c’è che la strada dell’uscita dall’euro e del ritorno alla sovranità monetaria. Ma questa non poteva certo essere la strada di Renzi, la cui linea sta nel barcamenarsi tra le regole europee, strappando qua e là qualche decimale di spesa in deficit, ma senza un vero piano alternativo. In più, il cialtrone di Rignano ci ha messo ovviamente del suo, varando appunto una finanziaria non solo di classe – non a caso accolta da Squinzi e dai suoi con una autentica ola -, ma anche di stampo prettamente berlusconiano. Basti pensare alla pioggerella di mini-bonus pensati solo in funzione elettorale.
Dunque questa finanziaria non è affatto espansiva, anche se questo non vuol dire che accontenterà i tecnocrati di Bruxelles. Anzi, non tutte le clausole di flessibilità sono state autorizzate, e la Commissione europea si pronuncerà in proposito solo nel prossimo mese di aprile. Sarà dunque necessaria una correzione dei conti in corso d’opera? Al momento conosciamo solo il giudizio espresso dalla Commissione a novembre nel Draft budgetary Plan, secondo cui la Legge di Stabilità italiana presenta «un rischio di deviazione significativa rispetto all’obiettivo di medio termine». Parole abbastanza pesanti, che annunciano problemi in primavera.
Parole che ci rimandano al problema di fondo: la confisca della sovranità nazionale da parte di un potere tecnocratico, assolutamente impermeabile a qualunque istanza democratica, pienamente al servizio delle oligarchie finanziarie dominanti.
Detto questo, resta forse la cosa più importante: i numeri della “Stabilità 2016” sembrano davvero scritti sulla sabbia. Le previsioni in termini di deficit (2,4%) e di debito (131,4%, per la prima volta in discesa dopo molti anni) si basano su una crescita del Pil dell’1,6% e su un tasso di inflazione dell’1,2%. Sulla crescita siamo semplicemente a chi la spara più grossa, ma gli ultimi dati del 2015 (leggi QUI) confermano quel che abbiamo sempre detto in proposito, e cioè che le attese del governo sono del tutto irrealistiche. In quanto all’inflazione siamo appena sopra lo zero, e lo stesso Draghi non sa più a quale santo votarsi.
Crescono inoltre le nubi all’orizzonte. Una gigantesca bolla finanziaria si va da tempo preparando, mentre non è per niente chiaro come Renzi e Padoan pensino di affrontare la delicatissima e decisiva questione bancaria. Anzi, è proprio per il vicolo cieco in cui il governo si è messo su questa questione, ad aver costretto il premier italiano ad alzare la voce nel recente vertice europeo. Ma alzare il volume di qualche protesta di certo non basta. E sulla questione bancaria, sul rischio di nuovi e devastanti crac, Renzi cammina davvero sui carboni ardenti. Ma di questo ci occuperemo meglio in un prossimo articolo.