I pericoli per il sistema bancario, i rischi dei risparmiatori e quelli del governo Renzi
Almeno per le banche, il 2016 non sarà un anno come gli altri. Che il sistema bancario italiano abbia dei seri problemi, questo ormai l’hanno capito tutti. Le stesse ripetute rassicurazioni sulla sua “solidità” non fanno altro che confermare la gravità della situazione. In poche settimane abbiamo avuto il “decreto salvabanche”, le perdite dei risparmiatori coinvolti, lo scontro di Renzi con la Germania, il caso delle dimissioni rientrate del governatore Visco, la corsa di fine anno alla sistemazione di alcuni istituti di credito (Banca Veneto e non solo), mentre dal primo gennaio saranno legge le norme del bail-in voluto dall’Europa.
Insomma, una situazione in forte movimento, con sullo sfondo la questione delle questioni: il via libera oppure no, e se sì in quale forma, alla bad bank, il nuovo istituto che dovrebbe assorbire i crediti in “sofferenza” delle banche italiane, consentendo alle stesse una consistente ripulitura dei bilanci.
Tante le questioni in gioco: politiche, economiche e finanziarie. Tanti i soggetti a rischio, potenzialmente diversi milioni di italiani. Proviamo allora ad inquadrare i vari aspetti del problema.
1. Lo scontro con Angela Merkel non è solo propaganda
Partiamo da un fatto politico: lo scontro inscenato da Renzi nei confronti di Angela Merkel all’ultimo Consiglio europeo non è solo propaganda. Chi lo pensa sbaglia. La propaganda è sempre una componente dell’azione politica, ed il caso in oggetto non fa eccezione. Tuttavia, questa volta la sostanza prevale sul solito teatrino d’immagine. Il fatto è che sulla partita bancaria sono in gioco enormi interessi di quello stesso blocco di potere che ha portato al governo, e che tuttora sostiene Matteo Renzi.
Ma non c’è solo questo. C’è che la messa a rischio dei risparmi di milioni di persone, molte delle quali facenti parte della base di consenso del Pd, ed ancor di più del suo segretario, è un problema grande come un macigno sulla strada che il fiorentino ha disegnato per se stesso: quella della costruzione di un regime in grado di reggere la concorrenza per un bel po’ di anni.
Renzi, dunque, cammina sui carboni ardenti. Già la vicenda delle quattro banche “salvate” azzerando il valore delle azioni e delle obbligazioni subordinate è stato un colpo di non poco conto. Alcuni ironizzano sull’ingenuità di una parte dei detentori di quelle obbligazioni, ma è un fatto che dalla Legge Bancaria del 1936 in avanti i risparmiatori italiani «non hanno perso una lira o un euro in relazione a crisi, anche gravi, di singoli intermediari». Ce lo ha ricordato così il capo della vigilanza di Bankitalia, Carmelo Barbagallo, parlando alla Commissione Finanze della Camera agli inizi del mese, ed opportunamente citato da Alberto Bagnai sul Fatto Quotidiano del 18 dicembre.
La riflessione deve dunque incentrarsi sulla novità della situazione attuale. Una novità che potrebbe avere conseguenze politiche devastanti, qualora il ricorso al bail-in si facesse frequente, e ancora di più se dovesse interessare almeno una banca di grandi dimensioni. Non solo sarebbe la fine del Renzi ottimista, quello della crescita e del freno all’austerità. Sarebbe la fine politica sua e del gruppo di potere che gli si raccoglie attorno.
Se sommiamo questi aspetti politici agli interessi economici in gioco non è difficile capire che lo scontro con la Commissione UE, e con la Germania in particolare, è tutt’altro che una finzione. Questa volta Renzi non può indietreggiare più di tanto, ma neppure la Germania sembra intenzionata a farlo. Un compromesso è dunque impossibile? Le vicende europee ci insegnano come le vie del compromesso possano essere tante. Ma quale compromesso al momento non si sa.
Ad oggi i segnali che vengono da Bruxelles sono tutti negativi. Per non parlare di quelli inviati da Berlino. In una intervista al Corriere della Sera del 19 dicembre, Lars Feld, consigliere economico della Merkel e stretto collaboratore di Schaeuble, ha usato toni tra lo sprezzante e l’irridente nei confronti dell’Italia.
Leggere per credere.
Domanda di Federico Fubini: «Lei prevede che in Italia ci sarà bail-in dei conti correnti, quindi contagio e poi una richiesta di aiuto al fondo salvataggi, con l’arrivo della Troika?».
Risposta di Lars Feld:
«Prevedo un pieno bail-in. I tagli alle obbligazioni e ai conti correnti sopra i 100 mila euro dovranno aiutare a ristrutturare le banche, perché la Commissione Ue impedirà salvataggi delle banche da parte del governo o sussidi nascosti agli istituti. Non saranno permessi. Ma non credo che l’attuale situazione porterà necessariamente a una richiesta di aiuto al fondo salvataggi Esm. Non prevedo un contagio. In ogni caso, staremo a vedere» (ride).
Ecco, l’uomo della Merkel se la ride mentre annuncia la Caporetto delle banche italiane e perdite enormi per tante famiglie. Difficile per Renzi ottenere le due cose che più gli premono: l’istituzione del fondo di garanzia europeo, rigettato al momento dai tedeschi, ed una bad bank in grado di ammortizzare le perdite delle banche sui crediti in sofferenza anche attraverso una consistente garanzia pubblica.
2. L’Europa tedesca
Su questi temi l’Europa appare ancor più asimmetrica del solito. E più che asimmetrica appare proprio per quella che è: una costruzione ormai largamente in mano all’oligarchia tedesca.
L’accusa che viene fatta all’Italia è quella di voler salvare il proprio sistema bancario con soldi pubblici. Ma cosa hanno fatto finora gli altri paesi dell’UE, Germania in testa?
Nell’Unione Europea gli interventi a sostegno del sistema bancario hanno raggiunto, nel corso di questi anni di crisi, l’astronomica cifra di 2.700 miliardi di euro. Di questi 389 miliardi in capitale, 2.100 miliardi in garanzie, 142 in prestiti. Limitandoci alla sola prima voce, la Germania guida di gran lunga la graduatoria con 247 miliardi di euro, contro un immacolato zero dell’Italia.
Dunque, la Germania ha potuto mettere in sicurezza le proprie banche con le “vecchie regole”, mentre adesso con le nuove regole si vuole impedire che l’Italia faccia altrettanto. E poi qualcuno ancora ci chiede del perché insistiamo tanto sulla sovranità nazionale…
Ma non basta. I tedeschi battono sempre sul tasto del rigore nei conti pubblici, ma negli anni scorsi l’Italia ha contribuito con 59,8 miliardi ai salvataggi di Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna. Salvataggi che hanno consentito alle banche tedesche di mettere in salvo i loro investimenti a rischio in quei paesi, pari alla modica cifra di 334 miliardi. Allora i soldi pubblici italiani potevano, anzi dovevano, fluire verso i fondi europei pensati all’uopo. Adesso non più, perché l’Italia va messa in croce onde poterla meglio saccheggiare.
Ieri l’altro, con un’intervista al Quotidiano Nazionale, perfino il presidente dell’Associazione bancaria italiana (Abi), Antonio Patuelli, ha alzato la voce contro «l’egemonia della Germania», affermando fra l’altro che: «La Germania sembra aver adottato il motto di Giolitti: ‘Le leggi si interpretano per gli amici e si applicano per gli avversari’. Ma un’Europa così ingiusta e sbilanciata sui soli interessi tedeschi non solo non cresce, ma è destinata a sbriciolarsi».
Del resto le cose che dimostrano lo strapotere tedesco sono tante. Limitandoci alla cosiddetta “Unione bancaria” non c’è solo il bail-in ed il rifiuto germanico del fondo di garanzia, che in qualche modo avrebbe dovuto compensarlo. C’è anche il diverso trattamento riservato alle banche tedesche. Una delle “tre gambe” dell’Unione bancaria consiste nei poteri di vigilanza affidati alla Bce su “tutte” le banche dell’eurozona. Tutte? Non esattamente. Con un escamotage, facendo rientrare nella norma solo le banche che superano i 30 miliardi di attivo, il governo tedesco è riuscito a sottrarre al controllo della Bce tutte le sue Sparkassen (casse di risparmio municipali) ed il grosso delle Landesbanken (di proprietà dei Land).
Risultato non da poco, visto che le Sparkassen (431 banche con 1.132 miliardi di attivo) e le Landesbanken (9 banche con 1.075 miliardi di attivo) rappresentano un terzo del sistema creditizio tedesco. Quello che ha maggiormente goduto degli interventi statali (230 miliardi), che ha un livello di capitalizzazione particolarmente basso ed una quota di crediti in sofferenza assai incerta. “Privilegi” dovuti anche – ricordiamolo a certi liberisti che solo oggi si accorgono della prepotenza teutonica – alla proprietà pubblica di queste banche.
3. Una classe dirigente incapace ed avventurista
Che l’Europa sia quella cosa orrenda di cui anche tanti benpensanti nostrani vanno ora accorgendosi, lo diciamo da anni. Ma costoro dov’erano finora? Più esattamente: dov’era la classe dirigente italiana (politica, economica, finanziaria, culturale e mediatica) in questi anni? Faceva comodo l’Europa che chiedeva salari più bassi, pensioni da fame, tagli al welfare, privatizzazioni. Faceva comodo e bastava dire «ce lo chiede l”Europa», ecco dov’erano lorsignori.
Ma nella foga europeista, che era poi il modo per fare i propri interessi senza dar troppo nell’occhio, la classe dominante italiana ha finito per accettare entusiasta tutto ciò di cui ora si lamenta.
I vincoli di bilancio? Chi ha accettato ed imposto come legge divina il Trattato di Maastricht e quelli successivi? Chi ha votato il Fiscal compact? Chi il pareggio di bilancio in Costituzione?
Le regole bancarie? E perché mai il governo Renzi ha immediatamente recepito le norme sul bail-in senza neppure accertarsi del fatto che almeno il fondo di garanzia europeo sarebbe stato istituito?
Ma la politica del chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati non riguarda solo le regole di bilancio e quelle bancarie. Prendiamo le lamentele di Renzi in materia energetica: che senso ha lamentarsi del fatto che la Germania vuol mandare in porto il raddoppio del gasdotto North Stream con la Russia dopo che si è subito in silenzio l’affondamento del South Stream (nel quale l’Italia aveva enormi interessi di vario genere) da parte degli USA? Che senso ha lamentarsi della politica europea sui migranti dopo che si è accettato, senza rendersi conto delle conseguenze, il Trattato di Dublino? E che senso ha protestare blandamente sui danni delle sanzioni alla Russia senza mettere il veto al loro rinnovo?
Domande retoriche, visto il notorio servilismo euro-atlantico della classe dirigente nostrana. Oggi, però, i nodi stanno venendo al pettine. Ed il nodo più grosso sarà proprio quello della crisi bancaria. Un nodo che sta facendo emergere un gran nervosismo. Basti pensare a quel che ha scritto La Stampa lo scorso 20 dicembre sulla volontà del governatore di Bankitalia Visco di dimettersi. Dimissioni poi fermate da Mattarella, ma che evidenziano la situazione di sbando che aleggia nei palazzi del potere.
Quel che è certo è che la classe dirigente del paese, nel suo insieme, raccoglie oggi quel che ha seminato – con la sua incapacità, con il suo avventurismo europeista – ormai da un quarto di secolo. Ben gli sta. Ma una simile classe dirigente non può, non deve, rimanere al suo posto. Questa è la vera questione da risolvere, questa è la prima emergenza nazionale.
4. Le prossime crisi bancarie e la bad bank
Abbiamo già visto le sorridenti previsioni di Lars Feld sulle future crisi delle banche italiane. Crisi da risolvere con il bail-in. Che cosa sia il bail-in dovrebbe essere ormai cosa nota, ma conviene comunque ricordarlo. D’ora in avanti, nel caso di crisi di una banca, si procederà alla sua ristrutturazione attingendo in sequenza dagli azionisti, poi dai possessori di obbligazioni subordinate, quindi dai detentori di obbligazioni ordinarie ed infine dai conti correnti e dai depositi per la parte eccedente i 100mila euro. Ognuna di queste voci potrà essere tagliata in tutto o in parte.
In concreto, 596 miliardi è l’ammontare dei conti e dei depositi sotto i centomila euro teoricamente protetti, mentre la parte aggredibile dal bail-in è calcolata in ben 1.122 miliardi di euro. Di questi, alcune centinaia di miliardi sono in obbligazioni. Tra queste, quelle subordinate assommano ad oltre 70 miliardi.
Attenzione! Nel caso di ristrutturazione di una grande banca, neppure gli stessi conti e depositi sotto i centomila euro potrebbero risultare davvero protetti. Calcoli precisi non se ne fanno, ma se il fondo europeo non si fa perché Merkel e Schaeuble non vogliono, ben difficilmente potrà bastare il nostrano Fondo Interbancario. Anche da qui la grande agitazione di Renzi e del suo governo.
Ecco perché abbiamo scritto che i crac bancari potrebbero investire teoricamente i risparmi di milioni di italiani, con conseguenze assolutamente devastanti sull’intera economia nazionale.
Le cronache di questi giorni hanno portato alla ribalta il particolarissimo caso delle obbligazioni subordinate, titoli spesso venduti dalle banche ad una clientela inconsapevole dei rischi, che si è scientemente voluto rimanesse tale. Su questo aspetto perfino il prudentissimo Visco ha detto che: «Una soluzione più equilibrata, e forse più rispettosa del quadro giuridico generale, sarebbe stata quella di applicare le nuove norme solo ai titoli di nuova emissione, dotati di apposite clausole contrattuali. Nelle sedi in cui questo è stato sostenuto la pressione per l’adozione di soluzioni drastiche è stata troppo forte». (intervista a la Repubblica del 20 dicembre scorso)
Visco ci dice dunque tre cose: che la soluzione prevista dal bail in contrasta con il quadro giuridico generale (con la Costituzione – all’uopo riscoperta – ha detto Patuelli nell’intervista citata), che i titoli subordinati sono stati venduti senza che le clausole contrattuali fossero sufficientemente chiare, che le pressioni tedesche hanno imposto le soluzioni drastiche che abbiamo già visto.
Qui, di nuovo, sorge spontanea una domanda: ma se si è trattato di un’imposizione, perché non ci si è opposti con forza? Perché tanta superficialità e tanta faciloneria? Perché, evidentemente, nonostante il conto dei costi e dei benefici si faccia ormai sempre più chiaro, non si ha il coraggio politico di tagliare il cordone ombelicale con l’UE ed ovviamente con l’euro.
Ma cosa succederà concretamente alle banche italiane nei prossimi mesi e nei prossimi anni? Sarà davvero una serie di bail-in a cascata, che Lars Feld osserverà, sorridendo, da Berlino? C’è solo una possibilità che la previsione del consigliere della Merkel non si avveri. Peccato che anch’essa – la bad bank – sia nelle mani della Commissione Europea e dunque della Germania.
Ripetiamolo: qualora lo scenario più fosco si avverasse ad essere colpiti non sarebbero solo i risparmiatori con in tasca titoli, conti e depositi delle banche in dissesto. Ad essere colpita sarebbe l’intera economia italiana, il credito verrebbe paralizzato, mentre le banche così indebolite diventerebbero facili bocconi per le politiche predatorie dei grandi gruppi bancari del nord Europa e degli USA.
Ma è così grave la situazione delle banche italiane? Gli esperti ci spiegano che la salute degli istituti di credito dipende grosso modo da quattro fattori: a) il livello di patrimonializzazione, b) la quota di crediti deteriorati, c) la quantità e qualità delle attività finanziarie, d) l’andamento generale dell’economia.
Il livello di patrimonializzazione delle maggiori banche del paese, espresso attraverso l’acronimo Cet1 (Common equity tier 1) è complessivamente discreto, eccetto i noti casi della Banca Popolare di Vicenza e di Banca Veneto. Le attività finanziarie sono invece assai meno note, ma la Germania insiste sull’eccessiva quota di titoli del debito pubblico detenuto dagli istituti italiani, come a dire che il rischio default è tutt’altro che scongiurato. Sull’andamento dell’economia abbonda invece un ingiustificato ottimismo, ma nelle stanze dei bottoni sanno bene che la stagnazione economica (seguita alla profondissima recessione che sappiamo) è destinata a durare. Resta dunque un solo fattore, sul quale bisognerebbe agire con estrema urgenza: i crediti deteriorati (circa 360 miliardi), ed in particolare, all’interno di questi, i 200 miliardi classificati come “sofferenze”.
Da cosa derivi questa situazione è facile da comprendersi. Sette anni pieni di crisi economica hanno messo tanti debitori (famiglie ed aziende) nell’impossibilità di restituire i finanziamenti ricevuti dagli istituti di credito. La quota dei crediti deteriorati – npl nell’acronimo inglese (non performing loans) – è dunque esplosa verso l’alto e non accenna a calare. Una parziale riduzione potrebbe avvenire solo nel caso di una forte ripresa economica, ma se c’è una cosa che possiamo escludere – almeno fino a quando resteremo nella gabbia europea – è proprio questa. Si pone dunque il problema di far fronte a perdite estremamente pesanti. Da qui il maggior rischio per le banche italiane, da qui la discussione sulla bad bank.
Che cos’è una bad bank? Alla lettera è una “banca cattiva”, in realtà è una società che acquisisce gli npl di una o più banche, per poi tentare di recuperarli al più alto livello possibile. In questo modo le banche che cedono i crediti ripuliscono i propri bilanci, mentre i gestori della bad bank scommettono su un recupero ben superiore al prezzo pagato per acquisirli dalla banca che li deteneva in precedenza.
Un gioco win win dove tutti vincono? Non esattamente, perché tutto dipende dal prezzo dato al pacchetto di crediti ceduti. Ed è su questo punto che sorgono i problemi nel caso della bad bank pensata dal governo Renzi.
Abbiamo già detto che le sofferenze del sistema bancario ammontano a circa 200 miliardi. A fronte di questa montagna di soldi le banche dispongono di accantonamenti propri pari a 112 miliardi. Ne restano da coprire 88. Per ottenere questo risultato i crediti in sofferenza dovrebbero essere venduti al 44% del loro valore nominale. Il problema è che il loro valore di mercato – che risente ovviamente dalle manovre dei pescecani che si apprestano a realizzare enormi speculazioni – è invece del 20%. Dunque degli 88 miliardi di cui sopra ne vengono a mancare 48. Una cifra che fa la differenza tra il salvataggio (almeno temporaneo) del sistema bancario italiano ed il suo naufragio chiamato bail-in.
Ammesso e non concesso che il tracollo venga evitato, da dove cacciar fuori i 48 miliardi mancanti? Questo problema si pone sia nel caso – che oggi sta perdendo vistosamente quota – di un’unica bad bank, sia in quello, che ora sembra più probabile, di tante bad bank quanti sono gli istituti che hanno necessità di disfarsi delle proprie sofferenze. In quest’ultimo caso le singole banche provvederebbero a dotarsi in proprio di una “banca cattiva”, da gestire magari insieme a qualche fondo speculativo interessato a massimizzare i ricavi.
Ovviamente i 48 miliardi mancanti per ottenere la quadratura del cerchio possono venire solo da garanzie pubbliche, cioè da quell’aiuto di Stato che i tedeschi, dopo averlo praticato ad abundantiam a casa loro, non intendono permettere all’Italia. Una situazione di stallo, che secondo Federico Fubini (Corriere della Sera, 14 dicembre 2015) potrebbe durare ancora. Leggiamo: «probabilmente non succederà granché: non ci sarà pulizia dei bilanci, né rapida ripresa del credito, e potrebbero tornare crisi localizzate di banche di provincia affossate dalle perdite sui crediti che si svaluteranno sempre di più».
La partita è dunque aperta, ed alcune banche stanno provvedendo in proprio (vedi ad esempio QUI), ma senza un intervento pubblico la prospettiva dei bail-in a cascata è assai più che una semplice ipotesi .
5. Che fare? Nazionalizzare il sistema bancario ed uscire dall’euro
Fin qui la fotografia della crisi bancaria, così come ci viene consegnata dalle cronache nazionali ed europee. Ma, al di là dei mille tecnicismi che avvolgono la questione, quali sono le conclusioni di fondo da trarre da quanto detto sin qui?
Esse sono essenzialmente due: la necessità di nazionalizzare l’intero sistema bancario, l’urgenza di uscire quanto prima dall’euro.
Su quest’ultima questione abbiamo scritto fin troppo in questi anni e non ci torniamo su in questa sede. Che l’euro sia stata una trappola per l’economia italiana ormai lo capiscono in tanti. Che se ne debba uscire al più presto non è un’opinione, è un dato di fatto. Ma questa trappola – come si è visto in precedenza – ha un carnefice (la Germania ed i paesi che fanno parte del suo blocco) e delle vittime, non solo l’Italia ma i paesi periferici dell’area mediterranea in genere.
Il problema non sono dunque soltanto i meccanismi intrinseci ed automatici della moneta unica. Il problema è quello più generale di liberarsi dal dominio politico delle oligarchie euriste che hanno nella Germania il proprio fondamentale centro decisore.
Ma la vicenda di cui ci siamo occupati in questo articolo mostra anche un’altra necessità: quella di nazionalizzare il sistema bancario. Se c’è una cosa che la crisi ha dimostrato, ammesso ce ne fosse bisogno, è proprio l’odierna centralità della finanza. Certo, noi ci battiamo per una società che si sganci e si liberi dal dominio della finanza, ma proprio per raggiungere questo obiettivo – evitando nel contempo una catastrofica crisi sociale – non c’è altra strada che la nazionalizzazione delle banche.
Del resto, se queste non possono essere fatte fallire pena disastrose conseguenze economiche, per quale motivo il costo (pubblico) del loro salvataggio dovrebbe andare a beneficio di ricchi privati? Le banche vengano dunque salvate (evitando il bail-in e mandando a quel paese l’UE), ma nello stesso tempo nazionalizzate. Questa è la posizione che dovrebbe assumere chiunque abbia a cuore le sorti del popolo lavoratore. Altre non ne vediamo.