Nella foto: l’abbraccio tra Manolo Monereo e Pablo Iglesias. Madrid 13 dicembre 2015.

Un intervento, quello qui sotto, che ci spiega molte cose sull’aria che si respira in Spagna dopo le elezioni del 20 dicembre, ma che offre elementi importanti per comprendere il fenomeno Podemos e quanto sta accadendo a sinistra.

Gennaio è il mese di Giano, il dio romano che guardava sia avanti che indietro, la doppia porta che collegava il passato e il futuro. Se consideriamo le elezioni del 20 dicembre una soglia gianica e guardiamo indietro, è difficile esagerare i mutamenti subiti dalla Spagna da due anni a questa parte, da quando a Madrid venne alla luce l’iniziativa che oggi chiamiamo Podemos. La strada intensa, imprevedibile e talvolta tortuosa che ha portato a questi 69 deputati ha già consegnato al nostro Paese almeno tre cambiamenti decisivi.

Il primo ha a che fare con la messa in discussione di tutti gli accordi di ferro della cosiddetta “transizione” e, di conseguenza, delle pratiche politiche associate al bipartitismo dominante negli ultimi decenni.

Appoggiandosi all’aura immunologica del 15M [gli Indignatos, NdR], Podemos ripoliticizzato le maggioranze sociali spostando l’egemonia in una direzione opposta a quella dilagante in Europa. Nel paese che sembrava meglio blindato, peggio preparato e più conservatore, è riuscito a rimuovere il tabù che pesava su alcune questioni chiave (la monarchia, il modello economico e, soprattutto, “la questione nazionale”) imponendo un nuovo quadro discorsivo alle forze proprie ed a quelle del regime e bloccando la strada, così facendo, al populismo di destra che avanza nel continente.

Un piccolo esempio recente: mentre in seguito agli attentati di Parigi il 13 novembre, il Fronte nazionale imponeva al “socialista” Hollande una reazione bellicosa e islamofoba, in Spagna Podemos, con la sua iniziativa di pace e contro i bombardamenti indiscriminati, ha dettato il ritmo agli altri partiti disattivando la danza elettoralista del “patto antijihadista”.

Qui, come sulla “questione nazionale” Podemos è stato in grado di agganciare e spostare il senso comune senza perdere, anzi, un solo voto. Difendere i principi può essere la strategia più pragmatica se una direzione politica etica e la spinta sociale diventano improvvisamente udibili sui media degli stessi avversari, la maggioranza della società. Questa vera e propria rivoluzione discorsiva (sì al referendum in Catalogna sull’indipendenza!) è stata accompagnata da una democratizzazione delle pratiche politiche e una ri-politicizzazione del comportamento dei cittadini.

Il secondo cambiamento ha a che fare con le istituzioni. Nel corso di quest’anno elettoralmente insensato Podemos e le candidature affini sono riusciti a vincere nei comuni e nei parlamenti regionali, realizzando non solo una rottura simbolica ed estetica ma, attraverso essa, a produrre effetti sociali e democratici tangibili. Madrid, Barcellona, ??Cadice hanno dimostrato in meno di un anno che la volontà politica è in grado di ridurre il debito, aumentare la spesa sociale o rallentare le privatizzazioni.

Nel frattempo, la rappresentanza podemita nelle giunte regionali è diventata un vero e proprio martello per i bipartitisti e uno strumento di rieducazione democratica. Spesso a sinistra, in quanto al rapporto tra le istituzioni e la piazza, passa l’idea di una opposizione inconciliabile, e ciò a partire da una doppia convinzione: che, poiché dalle istituzioni non si può cambiare nulla solo dalla piazza si può fare “educazione popolare”. La breve esperienza istituzionale dell’anno appena passato dimostra che il primo assunto è vero solo in parte mentre il secondo è radicalmente falso. Anche ammettendo, con doloroso realismo, che anche una larga maggioranza sarebbe insufficiente a garantire i cambiamenti strutturali contro il capitalismo europeo, non dobbiamo dimenticare che le istituzioni sono uno strumento pedagogico indispensabile, come mostrato, al contrario, dall’uso che ne hanno fatto, compresi i mezzi di comunicazione annessi, i due partiti di regime negli ultimi decenni. Conta prendere il potere, non solo la piazza, per costruire un senso comune trasformatore e democratico.

L’ultima modifica ha a che fare con il Giano che guarda al futuro; cioè con quei 69 parlamentari che in realtà pongono fine alla confortevole alternanza tra i due partiti dominanti e, di conseguenza, a 35 anni di “partito unico articolato”, di governo. Non si tratta solo di ricordare che mai forze di sinistra hanno ottenuto in Spagna una forza parlamentare tanto potente e ampia, ma di segnalare che questa presenza comporta l’impossibilità di continuare a governare come prima.

E’ vero: avremo, come sostiene Julio Anguita, un patto tra le parti che formano l’unico partito al fine di garantire la “stabilità” minimale e mettere in atto le nuove misure di austerità chieste dall’Europa; ciò implica, naturalmente, continuare a lavorare per ampliare il consenso popolare. Ma questo stesso patto, quale che sarà la risposta della piazza, fornirà al nuovo blocco parlamentare un’autorità e una visibilità senza precedenti. In Parlamento si farà finalmente politica, e la vanno a fare persone prive di soggezione ideologica o economica; e, nel caso di una legislazione breve, e davanti al più che probabile crollo del PSOE, Podemos ed i suoi partner potranno affrontare con grandi speranze un secondo assalto.

Per questo sarà necessario insistere sul principio inverso della porta girevole: la porta girevole tra la piazza e il Parlamento. Penso che i nostri 69 deputati, per la loro origine, la loro giovinezza e le loro convinzioni, saranno all’altezza della sfida.

Dovremo quindi continuare a lavorare, per ampliare e rafforzare il campo popolare. Di tutte le immagini della scorsa campagna elettorale una, nel raduno alla Caja Mágica de Madrid, è particolarmente emozionale ed eloquente: l’abbraccio tra Pablo Iglesias Manolo Monereo, che il leader podemita ha qualificato come suo “padre politico”. È più di una immagine e più di un abbraccio: è un emblema. Come interpretarlo?

Si tratta, senza dubbio, di un omaggio meritato ad un intellettuale comunista le cui analisi lucide, sia teoriche che fattuali, hanno fertilizzato la sinistra spagnola nell’arco degli ultimi trent’anni. Una premessa: tra i meriti di Podemos c’è stato quello di portare alla luce e riunire migliaia di giovani talenti, una generazione che segnerà sicuramente la storia della Spagna che, senza questa organizzazione si sarebbe dispersa nell’aria o ponendosi al servizio, a malincuore e senza alternative, di multinazionali e grandi aziende private.

Ma questa generazione, che ha avuto buoni insegnanti, non ha avuto maestri. Quelli che avrebbero dovuto esserlo sono stati talmente ai margini, da essere stati impercettibili, esercitando un insegnamento clandestino, quando non hanno abdicato ad ogni insegnamento. Che Pablo Iglesias riconosca pubblicamente davanti a 10.000 uno di questi maestri costituisce un significativo gesto di gratitudine, di amore verso la conoscenza e impegno militante e di ripristino di una tradizione interrotta. A sinistra questo abbraccio dovrebbe rassicurarci e rallegrarci.

Ma questo abbraccio è anche una lezione. Chiunque abbia letto gli articoli Manolo Monereo pubblicati in questo stesso sito da due anni conosce la sua scommessa coerente e coraggiosa. Membro e dirigente per anni e fino a pochi mesi fa di Izquierda Unida, ha sempre cercato di costruire un “partito organico”, una forza “nazional-popolare” o “blocco plebeo-democratico” in grado di affrontare il capitalismo europeo, trasformare il quadro produttivo e prefigurare un repubblicanesimo democratico, ecologico e femminista. Possiamo non essere d’accordo con alcune delle sue posizioni (sono discutibili per noi alcuni suoi assunti sulla geopolitica internazionale), ma non si può negare che Monereo ha giustificato con rigore lucido, ed a volte con coraggio doloroso, ogni passo compiuto per arrivare il 13 dicembre scorso all’abbraccio con il suo amico e allievo Pablo Iglesias nella Caja Magica di Madrid.

Monereo sosteneva Izquierda Unida e sostiene ora Podemos per le stesse ragioni. E continua sostenendo — con tutta la forza dei suoi argomenti e tutto il battito del suo grande cuore rosso militante — l’unità e la “confluenza”, e questo malgrado l’incomprensione e talvolta le calunnie e l’aggressività dei suoi ex-colleghi di partito Monereo resta quel che era 50 anni fa: un leninista Gramsciano allergico, come la realtà stessa, alle linee rette ed al patriottismo delle sigle.

Nell’abbraccio della Caja Magica Monereo ha abbracciato il futuro del suo passato. Pablo Iglesias ha abbracciato il passato del suo futuro ed anche la Izquierda Unida che deve farne parte. Ai miei occhi questo abbraccio spontaneo, ragionato e toccante, è lo specchio della confluenza cui si dovrebbe guardare, se non dell’”apparato”, dei dirigenti e molti membri e sostenitori di Izquierda Unida, ingiustamente ferita a morte, è vero, ma del tutto inutile, se non controproducente, per servire il progetto per il quale è nata.

Fonte: Cuarto Poder
da sollevAzione
Traduzione a cura della redazione