Oggi i ventotto ministri degli Interni dell’Ue si sono riuniti ad Amsterdam

Battono le agenzie: «Allo studio la proposta della Commissione di creare un corpo europeo di guardie di frontiera con cui gestire i flussi migratori in arrivo dal Mediterraneo. Al tempo stesso si lavora sull’ipotesi di escludere momentaneamente la Grecia dal trattato sulla libera circolazione delle persone». Non solo quindi più sbirraglia europea, si continua a voler punire la martoriata Grecia. Spettacolo raccapricciante.

Il trattato di Schengen, quello che assicura la libera circolazione delle persone non è mai stato a rischio come adesso. E’ solo a causa degli ingenti flussi migratori? Ovvio che no, che sotto c’è dell’altro. Gli europeisti infatti mettono in guardia: « E’ in gioco l’identità europea». Sempre la stessa solfa. Barcolla l’euro? “E’ in gioco l’identità europea”. Dissidi sulla politica estera comune? “E’ in gioco l’identità europea”. Contrasti sulle politiche di bilancio, le banche, ecc.? “E’ in gioco l’identità europea”.

Che trappola ideologica! Quel che Lorsignori chiamano “identità” è in realtà l’Unione europea, in altre parole questa determinata e peculiare architettura geopolitica il cui vero simbolo è la moneta unica e il cui perno è diventata la potente Germania.

Trappola linguistica! Significato e significante collidono, non coincidono. Oppure: un conto è l’essere, un altro il voler essere. Se le parole ed i concetti hanno un senso va detto che quella europea non è un’identità, semmai è un’aspirazione ideale. Per quanti sforzi abbiano compiuto le potenti forze globaliste e per quanto abbia scavato la globalizzazione, resta che in Europa resistono, perché esistono, le tanto vituperate identità nazionali, e resistono perché formatesi in secoli di storia e di conflitti.

Esistono dunque gli stati-nazione che quelle identità, nel bene e nel male, incarnano. E siccome permangono gli stati nazionali esistono frontiere. Le frontiere sono quindi il simbolo stesso della sovranità di queste nazioni.  Come esistono ancora le frontiere, ci sono forze che ne chiedono l’eliminazione, in quanto esse aspirano a seppellire gli stati nazionali che quelle delimitano. Quali sono queste forze? Tre fondamentalmente: le élite globaliste, il clero cattolico, le correnti politiche anarco-comuniste.

Tre ideologie universaliste (potremmo aggiungerne una quarta, quella islamista): il cosmopolitismo di origine kantiana, l’universalismo cristiano-cattolico, e quello che abbiamo chiamato cosmo-internazionalismo. Tre ideologie molto diverse l’una dall’altra, di cui la prima è quella che conta, in quanto essa si presenta come la veste ideologica delle potenze economiche, finanziarie e politiche dell’Occidente. Le altre due fanno infatti da contorno. Un’ideologia, il cosmopolitismo delle élite, dietro alla quale si celano i giganteschi interessi dei settori più forti delle classi dominanti.

Se ora alcuni Stati,
compresi Austria, Francia,  Danimarca e Svezia, ristabiliscono controlli alle frontiere ciò sta ad indicare due fenomeni: (1) che uno scontro si sta aprendo all’interno stesso delle classi dominanti con i fondamentalisti della globalizzazione in grave difficoltà e (2) che l’unione europea è sul viale del tramonto.

I paladini della globalizzazione neoliberista,
gli ultrà europeisti, non sono sprovveduti. Capiscono bene che il problema è enorme. Sentiamo ad  esempio cosa scrive Ilvo Diamanti su la Repubblica di oggi:
«Le frontiere e i confini: servono. Sono necessari. Non solo sul piano istituzionale, ma anche cognitivo. Come la geografia, le mappe. Servono a orientarci, a rappresentare il mondo intorno a noi. I cambiamenti dei confini — e della geografia — riflettono, a loro volta, i cambiamenti nella distribuzione e nell’organizzazione del potere, su base territoriale. Il nostro disorientamento, negli ultimi decenni, negli ultimi anni, riflette il declino, in alcuni casi, il dissolversi dei nostri punti di riferimento. (…)Ma, proprio per questo, abbiamo bisogno di confini. Di frontiere. Perché, come ha sostenuto Régis Debray, in un testo alcuni anni fa (dal titolo significativo Eloge des frontières , Gallimard 2010, pubblicato in Italia da ADD, 2012): “…una frontiera riconosciuta è il miglior vaccino possibile contro l’epidemia dei muri”. (…) Per questo, tanto più per questo, abbiamo bisogno di frontiere. Per dare ordine alla nostra visione del mondo. Per sentirci sicuri. Per avere la sensazione che esistano autorità in grado di governare la società. Capaci di esercitare la sovranità nel territorio in cui viviamo. (…) Perché, in fondo, è questo il fondamento — e il significato — dello Stato. Senza confini e senza frontiere, noi rischiamo di perderci. Di divenire, noi stessi, eterni migranti. Alla ricerca di una terra. Non “promessa”. Una terra e basta».

Analisi quasi impeccabile, a cui corrisponde una conclusione sconcertante. Siccome c’è bisogno di confini e frontiere, occorre abolire ciò che resta di quelli nazionali, rafforzando di converso, con cavalli di Frisia e soldati armati fino ai denti, quelle dell’Unione europea. E Diamanti infatti conclude:
«Senza uno spazio comune, senza un confine condiviso: com’è possibile costruire un’identità europea? Sentirsi e dirsi europei»?

Ci dicono quindi le élite globaliste: “l’euro non basta, avanti tutta! con il cosiddetto “europeismo”, ovvero verso la costruzione di uno Stato europeo federale. Che gli Stati nazionali cedano dunque gli ultimi brandelli di sovranità. Consegnandole a chi? Ma ovviamente alle medesime e dispotiche tecno-oligarchie che stanno conducendo l’Europa verso il baratro.

Morale della favola: teniamoci strette le frontiere nazionali perché il mondo che vogliono le élite globaliste è ben peggiore di quello che vorrebbero ci lasciassimo alle spalle. Siamo diventati nazionalisti? Per niente! Siamo gli stessi antimperialisti di ieri, ma che han compreso che oggi come oggi il patriottismo democratico è una preziosa arma di resistenza.

da sollevAzione