Con il suo Nein il presidente della Bce strapazza malamente Ignazio Visco e chiarisce una volta di più chi comanda in Eurolandia
Non che ci fossero dubbi, ma Mario Draghi l’ha voluto affermare con chiarezza: lui sta con Berlino e con la Bundesbank, non certo con Bankitalia e con il governo di Roma.
Il governatore Ignazio Visco, che di Draghi prese il posto alla Banca d’Italia quando quest’ultimo si insediò a Francoforte, si è così beccato un no secco, rapido ed irrevocabile. Vedremo ora se Visco avrà la forza di replicare, ma ne dubitiamo fortemente.
La materia del contendere è ovviamente il dispositivo del bail in. Un meccanismo che si è rivelato micidiale per le banche italiane, la cui crisi è soltanto all’inizio.
Venerdì scorso, parlando al Forex, Visco ha riaperto la questione, invitando il governo Renzi a chiedere la revisione del bail in sfruttando una clausola della stessa direttiva europea che permetterebbe di promuovere un suo riesame «da avviare entro il giugno 2018», ma che il governatore vorrebbe accelerare.
Ieri, parlando a Strasburgo, Draghi ha gelato il suo successore a Palazzo Koch con un no, anzi un Nein. «Si applichi il bail-in con coerenza», questo il titolo del Sole 24 Ore di stamattina che sintetizza il succo del discorso pronunciato all’euro-parlamento. Queste le testuali parole del capo della Bce: (bisogna) «assicurare una applicazione coerente delle regole introdotte con la direttiva» sui salvataggi bancari.
Altro che revisione! La bacchettata non avrebbe potuto essere più forte. Sia chiaro, se il Nein di Draghi è arrivato dopo tre giorni, quello della Commissione europea era giunto a stretto giro, poche ore dopo il discorso di Visco. «Non ci sono piani di cambiare la direttiva», ha detto seccamente un portavoce della Commissione, che si è anche premurato di ricordare come questa sia stata adottata nel 2014 «con il consenso di una stragrande maggioranza al parlamento europeo e con l’accordo unanime degli stati membri».
E qui siamo alle solite. Da un lato l’UE che ricorda all’Italia i patti e le norme sottoscritte, dall’altro una classe dirigente nazionale che si accorge – o finge di accorgersi – dei danni compiuti solo quando è ormai troppo tardi.
Visco dice di aver segnalato per tempo le problematicità del bail in, ma di fatto nessuno ne ha tenuto conto. Non il governo, ma neppure il parlamento che nel luglio scorso approvò in via definitiva il recepimento della direttiva europea. Ora, a distanza di soli sei mesi, ci si rende conto del disastro fatto: esiste o no un problema di totale irresponsabilità e/o incompetenza dell’intera classe dirigente italiana? Giudicate voi.
Ma torniamo a Draghi. Nel suo discorso di ieri l’allineamento con la Germania è stato totale. Non solo il bail in è intoccabile, ma pure le condizioni poste da Berlino per attivare il fondo di garanzia europeo sui depositi sono fatte proprie dal presidente della Banca centrale. Come ho scritto nei giorni scorsi (vedi L’attacco tedesco all’Italia), l’accettazione di queste condizioni sarebbe disastrosa non solo per il sistema bancario italiano, ma pure per l’aumento dei tassi di interesse sul debito pubblico che produrrebbe.
Chiaro quindi che il fondo di garanzia è rimandato alle calende greche. Ma se la cosiddetta «terza gamba» dell’Unione Bancaria non si fa, e forse non si farà mai, perché tenersi le altre due (i poteri di controllo della Bce ed il bail in)?
Questo è il punto politico sul quale un governo non subalterno all’oligarchia eurista – non parliamo qui di un governo anti-euro come quello che vorremmo noi – potrebbe e dovrebbe fare forza. Voi non accettate il fondo di garanzia? Bene, noi ricusiamo l’intera Unione Bancaria finché non verrà completata. Come si vede, una posizione moderata e lineare, ben comprensibile ed altrettanto sostenibile. Oltre che chiaramente efficace nella difesa dell’interesse dell’economia nazionale.
Ma niente di tutto questo è all’orizzonte. Renzi accusa l’«Europa degli zerovirgola», ma il primo a ragionare in termini di decimali è proprio lui. Al fiorentino interessa soprattutto di poter evitare una manovra aggiuntiva in primavera, dunque il suo obiettivo principale sono proprio i due decimali di Pil di flessibilità da ottenere con la «clausola migranti».
Qui l’argomento del capo del governo è ragionevole quanto minimalista. A parole Renzi chiede infatti che l’Italia venga trattata almeno come la Turchia. L’UE dà 3 miliardi di euro ad Ankara? Che li dia anche all’Italia che è in prima linea nel Mediterraneo. Fosse così il ragionamento filerebbe, ma non è così dato che i tre miliardi al governo Erdogan sono soldi veri, mentre (ecco il minimalismo) i tre miliardi richiesti da Renzi sono solo debito aggiuntivo da scomputare ai fini del rispetto delle regole europee. Ma al danno si aggiunge la beffa: i soldi per la Turchia sono cosa fatta, mentre sulla flessibilità chiesta dall’Italia la Commissione si è riservata di decidere nei prossimi mesi. Insomma: becchi e bastonati.
Come abbiamo visto, bastonati anche da quel Draghi che in tanti dipingono come l’uomo che sa resistere al governo tedesco. In realtà la più grande preoccupazione di costui pare quella che l’UE continui a funzionare come uno dei tempi prediletti delle oligarchie finanziarie. Per ottenere questo obiettivo Draghi si è speso ieri affinché si vada incontro al governo inglese al fine di scongiurare l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione. Ma le richieste di Cameron sono ben più pesanti di quelle davvero minimaliste avanzate da Renzi. E per giunta Londra, non essendo nell’eurozona, dovrebbe essere fuori dal perimetro delle competenze del banchiere centrale…
Ma l’Unione Europea è fatta così, la Bce è fatta così, così sono i trattati, le regole e le direttive europee. E che Draghi sia l’espressione di tutto ciò è la scoperta dell’acqua calda. Che egli sia il capo dell’oligarchia eurista è insomma nelle cose; che si allinei con Berlino nei passaggi topici – come già avvenne l’estate scorsa sulla crisi greca – è un semplice dato di fatto. La vicenda bancaria ne è la conferma più lampante.