No al pacifismo, nuovo oppio dei popoli
In merito all’appello di Alex Zanotelli

Tanto tuonò che piovve. Le recenti mosse delle diplomazie occidentali sembrano confermare le prime indiscrezioni giornalistiche per cui, le potenze NATO, con a capo gli Stati Uniti, si preparano ad un secondo intervento militare in Libia. Questa volta con l’invio di truppe sul terreno. (Nella foto: 2011 – bombardamenti NATO sulla Libia)

Il governo Renzi, in barba alle sue formali dichiarazioni di dissenso, proprio come accadde nel 2011 con Berlusconi, finirà per capitolare alla pressione della NATO e del Pentagono — effetti collaterali della sovranità limitata.

Il primo intervento, malgrado il successo tattico ottenuto con il rovesciamento del regime di Gheddafi, si concluse in un totale disastro. E’ facile prevedere che quello in preparazione avrà un esito ancor più catastrofico e sanguinoso. I comandi militari NATO non pensano affatto ad un’azione di breve durata come quella precedente. Sanno bene che il Paese è in preda all’anarchia militare e sanno anche di correre lo stesso rischio che corsero i sovietici in Afghanistan con l’invasione del dicembre 1979. L’aggressione russa agì come catalizzatore per i litigiosi gruppi armati islamisti e non. La guerra civile divenne guerra nazionale di liberazione.

Per intervenire la NATO ha bisogno di una legittimazione politica. Le potenze occidentali sanno infatti molto bene che non basta agitare lo spauracchio dello Stato Islamico affinché le principali forze in campo facciano causa comune.

Quali sono queste forze è presto detto: (1) il Congresso Generale Nazionale, leggi Fratellanza Musulmana, appoggiato da Turchia, Qatar e Sudan; (2) il Consiglio Rivoluzionario di Bengasi, leggi Ansar al-Sharia; (3) il governo fantoccio di Tobruk, ovvero le milizie del generale Khalifa Haftar — sostenuto dall’Egitto e dall’Arabia Saudita. Ci sarebbe poi da tenere dentro le altre milizie tribali che spadroneggiano all’interno del Paese, non solo quelle Tuareg.

Riusciranno gli imperialisti nell’impresa? Ne dubitiamo. Ammesso che con la loro pressione riuscissero a mettere in piedi una posticcia alleanza anti-Stato islamico essa si romperà sul terreno; sia la Fratellanza sia Ansar al-Sharia, per quanto combattano lo Stato Islamico sono altrettanto ostili all’intervento NATO.

Il fatto è che, tolto di mezzo Gheddafi, la Libia si è dimostrata per quel che è: una mera espressione geografica, inventata dal colonialismo italiano quando, a partire dal 1911, si avventò sul corpo moribondo dell’Impero ottomano. Prevalgono, anche in Tripolitania ed in Cirenaica, i vincoli tribali e clanistici, che sono infatti (fatta eccezione per lo Stato islamico) il principale collante identitario delle milizie che si combattono sul terreno.

Ciò che complica e di molto la vita ai paesi NATO è che la battaglia tra le diverse milizie è anche una guerra per procura tra due dei principali blocchi geopolitici mediorientali, quello capeggiato da Egitto e Arabia Saudita da una parte e quello che invece sostiene la Fratellanza Musulmana (Turchia e Qatar in primis). Questi due blocchi, se sono sostanzialmente dalla stessa parte della barricata in Siria e Yemen, in Libia si trovano su opposti schieramenti. Vero è che entrambi sono nemici del disegno strategico dello Stato islamico — che punta a fare della ridotta di Sirte la testa di ponte per estendere il califfato alla Tunisia ed a tutto il Nord Africa —, tuttavia entrambi non vorrebbero in Libia una presenza diretta della NATO, ovvero di una o più enclavi militari neo-coloniali.

Al di là di quali potranno essere gli scenari futuri, è evidente che le forze pacifiste e antimperialiste italiane debbono tentare, a dispetto della difficile situazione che vivono, di far sentire la loro voce, dando vita ad una mobilitazione la più forte per dire no all’intervento militare NATO in Libia. Occorre, come minimo, impedire al governo Renzi di partecipare alla spedizione in preparazione. Come minimo. Poiché una volta che questa spedizione avesse luogo e l’aggressione non si riuscisse ad evitarla, come insegna la vicenda dell’Iraq del 1991 e del 2003, al vento finirebbero le invocazioni per la pace, e occorrerà dire da che parte stare. Occorrerà cioè essere conseguenti e sostenere come legittima la resistenza dei libici, quali che siano le forme che prenderà e le formazioni che si trovassero alla testa della resistenza.

Circola da giorni l’appello di Zanotelli per una “manifestazione nazionale contro tutte le guerre”. Sorvoliamo per carità di patria sulla stupidaggine secondo cui “lo Stato islamico sarebbe armato e finanziato da Arabia Saudita, Qatar e dall’Italia”. E sorvoliamo sull’uso deviante e confusionario che vien fatto del concetto di “fondamentalismo islamico”.

L’appello di Zanotelli ci ripropone la stessa solfa pacifista del “contro tutte le guerre”, equiparando così le guerre di aggressione imperialista non solo a quelle fratricide (vedi Siria) ma pure a quelle difensive, resistenza e di liberazione dei popoli. Un’equiparazione inaccettabile sul piano dei principi e autodistruttiva sul piano politico, che di fatto finisce per legittimare la trappola ideologica dell’imperialismo, che camuffa i suoi appetiti neocoloniali e di supremazia globale col pretesto di combattere il terrorismo — dove ogni forma di resistenza antimperialista è bollata come terrorismo, ed ogni nazione che si ribella condannata come “stato canaglia”.

Giusto ricostruire un vasto e inclusivo movimento antiguerra. Giusto unire le forze per una manifestazione nazionale contro la nuova spedizione militare NATO in Libia.

Noi daremo il nostro contributo, ferma restando la nostra difesa incondizionata di tutti i movimenti di resistenza antimperialista e la nostra critica al pacifismo, che mentre i potenti della terra sono più forti e prepotenti che mai, rischia di diventare il nuovo oppio dei popoli.