«A Madrid si gioca con la tattica, ma è a Bruxellles, Berlino e Francoforte che si decide la strategia. Chi vivrà, vedrà»

Dopo il fallimento di Rajoy, il Re ha consegnato il mandato che noi italiani definiremmo “esplorativo” al segretario socialista Pedro Sanchez. Riuscirà a formare il governo ed evitare il ritorno alle urne?

Un’impresa apparentemente impossibile, visto che il sistema tradizionalmente bipolare è uscito scardinato dalle elezioni di dicembre.

In un quadro oramai tripartito (PP, PSOE e Podemos), quadripolare, se includiamo i neoliberisti di Ciudadanos; balcanizzato, se teniamo conto delle diverse forze “regionali” (catalani, baschi ecc.); in questo quadro, dicevamo, è ostruita la via a governi in cui PP e PSOE facciano il bello ed il cattivo tempo.

Se Rajoy ha dovuto gettare la spugna perché non ha trovato alleati (fatta eccezione per Ciudadanos, ma i numeri non bastavano a dar vita ad una solida maggioranza parlamentare), Sanchez pare invece avere non una, ma almeno tre carte da giocare. I socialisti, che per quanto usciti massacrati dalla urne sono il dominus della scena politica istituzionale, potrebbero infatti (a) formare un governo di “unità nazionale” con i popolari di Rajoy, (b) oppure puntare ad un governo di minoranza con Ciudadanos ed alcune forze regionali, (c) infine volgersi a sinistra, imbarcando al governo Podemos e Izquierda Unida.

Il circo delle consultazioni ricorda da vicino quanto accadeva da noi ai tempi della “prima repubblica”, esasperanti tatticismi, manovre di corridoio, dichiarazioni e controdichiarazioni, colpi di scena.

Il colpo di scena più sorprendente è stato quello del Segretario generale di Podemos Pablo Iglesias il quale, spiazzando tutti (ed anche, sospettiamo, molti alla base del movimento) ha affermato di essere disposto a formare il governo con i socialisti. Intenzione poi riconfermata solennemente nell’audizione con il Re.

Questa astuta mossa tattica ha letteralmente sparigliato le carte e posto Sanchez (ve la ricordate la storia del “cerino acceso”?) davanti alla responsabilità di respingere la possibilità di un governo “progressista e di sinistra”. Tuttavia nemmeno Sanchez difetta di furbizia ed ha rispedito la palla nel campo di Podemos, proponendo sì un governo con Podemos ma che includa anche la nuova formazione di Ciudadanos.

La quale mossa ha messo in un certo imbarazzo Iglesias, il quale, prima ha affermato che… “con Ciudadanos non se ne parla nemmeno”, poi, per riaggiustare il tiro, ha sostenuto che “..sarebbe stupendo se Ciudadanos consentisse, con l’astensione la formazione di un governo PSOE-Podemos-Izquierda Unida”. Si tenga conto che Alberto Garzon, leader di un’Izquierda Unida uscita più che dimezzata dalle urne, ha già dato la sua piena disponibilità ad entrare nel governo a guida PSOE.

Tatticismi esasperati, dicevo.
Come potranno mai trovare un accordo di governo, ovvero un programma comune degno di questo nome, PSOE e Podemos? I punti di divergenza tra queste due forze (discutendo ovviamente di cose serie e non di scranni e poltrone) sono infatti, almeno sulla carta, su tutta la linea. Podemos non solo ha ricevuto un mandato a rovesciare le politiche sociali neoliberiste praticate nei decenni sia dal PP che dal PSOE, riguardo alla questione dell’indipendenza della Catalogna (che solleva il problema di fondo dell’assetto istituzionale della Spagna), pure Iglesias ha difeso l’idea che debbano decidere i catalani con un loro referendum, ipotesi che il PSOE respinge in linea di principio.

L’impressione è che la mossa di Iglesias sia stata concepita per essere respinta da Sanchez e scaricare su di lui la responsabilità di tornare alle urne — in questo caso tutti i sondaggi darebbero Podemos in avanzata come secondo partito dopo i popolari.

E questo, la cupola socialista (parte integrante del regime oligarchico spagnolo), lo ha molto ben capito.

Vedremo gli sviluppi dei prossimi giorni.

E’ un fatto che osservando il teatrino politico spagnolo “governo sì? governo no? governo con chi? governo come? governo quando?”, tutto sembra potersi decidere a Madrid e dintorni. Ma è proprio così? Che fine ha fatto l’Europa? Possibile che gli euro-dittatori e i grandi player del mondo finanziario e bancario si limitino ad osservare alla finestra quanto accade in Spagna? Possibile che siano indifferenti all’eventualità che Podemos entri nel governo? Certo che no! Essi (quelli che Manolo Monereo chiama “coloro che comandano ma non si presentano alle elezioni”) stanno sicuramente tramando dietro le quinte. La loro opzione è certamente quella di un governo di coalizione dei due partiti oligarchici PP e PSOE.

Potrebbe sembrare kafkiano, paradossale, assurdo, ma i temi dei vincoli europei, del cappio dell’euro, della scippata sovranità nazionale, sono del tutto esclusi dal dibattito politico spagnolo. Ahimè, Pablo Iglesias  è il primo a non violare questi tabù, in cocciuta coerenza con la narrazione della “altra Europa” e con l’atto di immolarsi sull’altare della difesa della capitolazione di Tsipras.

A Madrid si gioca con la tattica, ma è a Bruxellles, Berlino e Francoforte che si decide la strategia. Chi vivrà, vedrà.