Il tempo, si sa, è galantuomo. Ed i nodi vengono sempre al pettine. Anche quelli del renzismo. Costui continua ad assicurare crescita ed a predicare flessibilità. Si annuncia invece una nuova recessione, mentre sulla flessibilità delle regole di bilancio Juncker gli ha risposto picche.
Per la verità i nodi del renzismo sono anche altri. Prendiamo, ad esempio, il caso delle banche. Prima il governo ha trasformato in legge la suicida regola (per l’Italia) del bail in, poi si è accorto del disastro compiuto ed ora vorrebbe tornare indietro. La spinta in questo senso è forte – dopo le parole di Visco, la richiesta di una sospensione del bail in viene da un editoriale del Sole 24 Ore – ma per Berlino, per la Commissione, per la Bce, la risposta è una sola: le regole sono regole e devono solo essere applicate.
Risuonano ancora le stolte parole del fiorentino di fronte ai primi crolli borsistici delle banche italiane: «è il mercato, bellezza». Ma il mercato non sta risolvendo un bel nulla. Ci sarà magari qualche fusione, ma non pare proprio che ci sia la coda di potenziali acquirenti. La capitalizzazione di molte banche vola ormai verso lo zero, ma siccome il prezzo deve tener conto anche delle perdite future dovute alle “sofferenze” dei loro crediti, per ora non se ne fa niente. E la crisi bancaria continua così ad avvitarsi su se stessa.
Ma torniamo ai due nodi da cui siamo partiti: quello che disegna il contesto economico (la crescita), quello che traccia lo scenario delle scelte politiche (nel linguaggio renziano la cosiddetta “flessibilità”).
Su entrambi i fronti Renzi sta andando a sbattere. Ridicola l’idea di una ripresa che sarebbe dovuta arrivare dal Jobs act e da altre trovate filo-confindustriali. Abbiamo sempre segnalato quanto i modesti zerovirgola del rimbalzino del Pil nel 2015 indicassero piuttosto una sostanziale stagnazione dell’economia italiana, incapace di recuperare i 9 punti persi dal 2008, con il macroscopico -25% della produzione industriale che è ancora tutto lì. E proprio ieri è arrivato il dato Istat sul Pil 2015, un modestissimo +0,7% invece del pur sempre modesto 0,9 strombazzato dal governo.
Ma avevamo segnalato anche altre due cose: a) l’addensarsi di parecchie nuvole nello scenario internazionale (rallentamento cinese, debole crescita Usa, crisi dei cosiddetti “emergenti”, ed in particolare dei produttori di materie prime); b) l’approssimarsi di una nuova crisi finanziaria, pur non prevedibile nelle sue forme. Bene, l’inizio del 2016 ha reso più chiara la situazione: lo scenario recessivo prende sempre più forma, mentre per osservare la crisi finanziaria in atto è sufficiente scorrere le cronache dei giornali.
Vedremo come impatterà tutto ciò con la debole economia italiana, ma i proclami di crescita sembrano già una cosa del passato. Non solo non si esce dalla crisi con la semplice compressione salariale (altrimenti detta svalutazione interna), ma neppure con i decimali della famosa “flessibilità”, sui quali si è arrampicato Renzi in questi due anni di governo. Flessibilità che – informano da Bruxelles – è ormai giunta al capolinea. «Juncker: “Renzi non ci chieda altro”», questo il lapidario titolo de la Repubblica di ieri sulla risposta della Commissione alla lettera del premier pubblicata il giorno prima dallo stesso giornale.
E questa è la vera questione politica. Premesso che con la pidocchiosa “flessibilità” europea non si va comunque da nessuna parte, è altrettanto certo che senza di essa i nodi arriveranno al pettine anche prima.
Non è difficile immaginarsi la tattica che Renzi ha in mente. Poiché l’Unione Europea è in crisi, poiché ogni paese tende sempre più a privilegiare i propri interessi, l’Italia può permettersi di fare la voce grossa, minacciando molto per ottenere sì poco, ma non il nulla dei governi precedenti. E’ con questa logica che Renzi si presenterà ai lavori del Consiglio Europeo convocato per il 18-19 febbraio, con all’ordine del giorno le concessioni da fare alla Gran Bretagna per provare ad impedire il Brexit, nonché l’irrisolto problema della gestione dei flussi migratori. Perché sì ai favori a Cameron e no a quelli che richiedo io? – dirà il fiorentino. Ed ancora: perché alla Turchia si danno soldi mentre all’Italia si chiede solo rigore?
Ovviamente queste domande sono più che motivate, ma anche se Renzi ottenesse alla fine qualche briciola, questo non sposterebbe di una virgola i veri problemi.
Ecco allora il vero nodo: fino a che punto Renzi è pronto a scontrarsi con la Commissione Europea? Chi scrive non pensa che l’attuale capo del governo sia una semplice marionetta, tantomeno che la sua sostituzione sia già lì bella e pronta come fu con Berlusconi nel 2011. Nella già citata lettera a la Repubblica chiaro è il suo no alla istituzione di un super-ministro del Tesoro europeo, avanzata formalmente dai governatori della Bundesbank e della Banca di Francia, Jens Weidmann e Francois Villeroy de Galhau.
Cosa dicono i due governatori? Nella sostanza il loro discorso è fin troppo chiaro: o l’integrazione europea procede, con la creazione di un super-ministero del Tesoro dell’eurozona, oppure le regole austeritarie – a partire da quelle del fiscal compact – dovranno essere applicate con maggior vigore. Detto in altri termini: o i paesi della periferia della zona euro accettano di essere commissariati dall’asse carolingio, con un’ulteriore e decisiva cessione di sovranità, oppure si preparino a nuovi e pesantissimi sacrifici.
In Italia, diversi esponenti del blocco dominante si sono già schierati con i governatori di Francia e Germania. Non solo il patetico duo Scalfari-Boldrini di cui si è occupato Emmezeta. Ma pure l’immancabile Napolitano ed il redivivo Enrico Letta, accompagnati nell’occasione dal lamentoso Cofferati.
Per costoro si risponde alla crisi dell’Europa solo con il «più Europa», per il resto nessuna parola sui disastri dell’euro, del fiscal compact, del bail in. Meno che mai sulle pittoresche contraddizioni della signora Merkel sui migranti.
Nella sua replica ai governatori Renzi fa ampia professione di fede europeista, bolla ovviamente come demagogiche le posizioni no-euro, ma al tempo stesso risponde picche all’idea del super-ministro del Tesoro. In questo quadro i suoi margini di manovra sono evidentemente molto stretti, anche per l’evidente determinazione tedesca a regolare i conti al più presto.
Il momento della verità dunque si avvicina. Magari al vertice del 18-19 un nuovo compromesso verrà trovato, ma il tempo ormai stringe. Nei prossimi mesi Renzi ha di fatto tre opzioni: a) adattarsi e diventare un Letta qualunque, b) resistere verbalmente per poi cedere rovinosamente come ha fatto Tsipras, c) tenere la posizione, mantenendo aperto lo scontro con la Commissione e con Berlino.
E’ da escludere la terza possibilità? Forse mi sbaglio, ma io non la escluderei affatto. Certo, Renzi è quel che è, un ultra-liberista sfegatato, un uomo di Obama, per giunta legato alla potente lobby sionista. Ma ci dimentichiamo forse che a volte le contraddizioni più violente scoppiano proprio nel campo dei dominanti?
Chi vivrà vedrà, ma che il decisivo fronte italiano si sia finalmente aperto è senz’altro un fatto positivo per chi, come noi, lavora nel suo piccolo per la demolizione dell’orribile gabbia europea.