«Riforma» delle Banche di credito cooperativo (Bcc): qual è la posta in gioco?

Privatizzare, privatizzare ed ancora privatizzare. Questa è la filosofia di Matteo Renzi. Anche in materia bancaria, come dimostra la «riforma» delle Banche di credito cooperativo (Bcc) varata dal governo la scorsa settimana.

La vicenda riempie le cronache di questi giorni anche per alcuni aspetti collaterali, che riportano all’ordine del giorno le ordinarie parentopoli di marca piddina. «Dopo il papà Boschi, il papà Lotti», attacca M5S a proposito dei cambiamenti sostanziali introdotti dal Consiglio dei ministri al testo base condiviso dal mondo del credito cooperativo.

Vedere solo questo aspetto e non il più generale processo di privatizzazione è il solito errore di certi oppositori, tuttavia per una volta è difficile dar torto allo stesso Brunetta quando ironizza così sull’improvviso protagonismo del Lotti: «Neanche bravi a camuffare questi renziani. Luca Lotti non parla mai. In questi giorni invece iperattivo su Bcc. Gli stanno proprio a cuore».

In effetti Luca Lotti è «sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega all’informazione e comunicazione del Governo e all’editoria, alle commemorazioni del centenario della Prima Guerra Mondiale e alle celebrazioni del settantesimo anniversario della Resistenza e della Guerra di Liberazione» (da Wikipedia). Ora, è vero che il suddetto è pure segretario del CIPE, ma nessuno ricorda i suoi interventi in materia economica.

Questa volta, invece, sembra proprio che si sia dato da fare. «E’ stato Luca Lotti», avrebbero esclamato gli interessati del settore, di fronte alle impreviste modifiche dell’ultimora. Così almeno riferisce il Fatto Quotidiano del 12 febbraio. Quale la ragione di tanto impegno? Secondo il resoconto del giornale diretto da Marco Travaglio, il motivo sarebbe nei legami (parentali ma anche politici) con la Bcc di Cambiano.

Leggiamo: «La Bcc di Cambiano ha sede a Empoli ed è renzianissima, anzi lottianissima visto che dirigenti ne è Marco Lotti, padre del sottosegretario. Il presidente è Paolo Regini, già sindaco Ds di Castelfiorentino, marito della senatrice Pd Laura Cantini, sostenitore del premier dalle primarie del 2012, quando Cambiano fu la banca d’appoggio per il fund raising: già nel 2009, però, era stato l’istituto a concedere a Renzi il mutuo per la campagna elettorale da sindaco».

Fermiamoci ora qui sul più che motivato gossip relativo agli intrallazzi del cerchio magico renziano. Del resto lo scriviamo da tempo: nonostante il suo pittoresco dilettantismo, si tratta di uno dei più famelici gruppi di potere apparsi sul territorio nazionale dall’unità d’Italia in avanti. Dunque parlarne è doveroso. Ancora più importante, però, cogliere gli aspetti di fondo che si celano dietro a certi favoritismi.

Come si è arrivati alla «riforma» delle Bcc

Il favore concesso alla banca di Empoli, e ad un’altra dozzina di Bcc con un patrimonio superiore ai 200 milioni di euro, consiste nel consentirne una privatizzazione alimentata dall’impossessamento di quella che nella banca cooperativa viene chiamata «riserva indivisibile». In questo modo le banche rientranti nella deroga prevista dal governo potranno trasformarsi da pubbliche a private, passando da un principio mutualistico ad uno lucrativo, il tutto mettendo mano a fondi oggi indisponibili per i soci proprio perché destinati a svolgere l’attività mutualistica.

Si capirà dunque come la questione non si esaurisca con Luca Lotti, così come la vicenda del decreto novembrino sulle quattro banche “risolte” (oggi si dice così) non ci parla soltanto delle nobili gesta della famiglia di Maria Elena Boschi.

Il fatto è che tutta l’operazione Bcc spinge verso una privatizzazione anche di questo comparto del sistema bancario. E’ la linea di Matteo Renzi, un ultraliberista a prova di bomba. E’ la linea di questo governo. E’ il desiderio dei soliti pescecani della finanza (nazionale e non), sempre pronti a saltare sulle prede che la crisi porta sempre più allo scoperto.

Le vie della privatizzazione possono essere le più diverse. Ma prima di entrare nel dettaglio è certamente utile vedere brevemente come si è arrivati alle decisioni della scorsa settimana.

Attualmente le Bcc sono 363. Erano 411 solo nel 2011, ma il loro numero si è ridotto a causa di un buon numero di aggregazioni. Il sistema Bcc detiene solo il 6% degli attivi del sistema bancario italiano, ma il numero degli sportelli rappresenta ben il 15% di quelli presenti sul territorio nazionale. La raccolta diretta di risparmio è pari a 163,2 miliardi di euro, mentre gli impieghi si fermano a quota 135. Il patrimonio aggregato è pari a 20,2 miliardi. I dipendenti sono 37mila.

Il peso delle Bcc è sì abbastanza modesto rispetto a quello delle grandi banche, ma – anche per la loro diffusione territoriale – esse rappresentano comunque un interessante boccone messo certamente nel mirino delle politiche predatorie della grande finanza.

Le motivazioni ufficiali che hanno dato il via al processo di «riforma» sono quelle solite: ci sono troppe piccole banche, bisogna invece «fare sistema», razionalizzando (cioè riducendo) i costi, anche per impedire che il lascito di una crisi ancora in corso (le «sofferenze») finisca per travolgere le Bcc più deboli. In proposito, è stato calcolato che senza una mutualizzazione dei patrimoni come delle sofferenze circa il 10% delle Bcc potrebbe saltare in tempi piuttosto brevi.

Da qui la proposta di una holding, una capogruppo alla quale le singole Bcc aderirebbero attraverso un «contratto di coesione», che prevederebbe tra l’altro la garanzia in solido delle obbligazioni assunte dalla capogruppo e dalle banche aderenti. Come  ha scritto il Sole 24 Ore dell’11 febbraio: «il sistema delle garanzie incrociate è il meccanismo che consente di mettere a fattor comune il patrimonio di tutte le Bcc».   

Apparentemente tutto bene. Il sistema Bcc si rafforza, il principio mutualistico mette insieme – senza per questo scioglierle – le singole banche, scongiurando così anche i tracolli di quelle meno solide.

Ma, come sempre, il diavolo sta nei dettagli. Dettagli tutt’altro che secondari già prima del colpo di mano Renzi/Lotti. Dettagli oggi diventati aspetti dominanti dopo le decisioni del Consiglio dei ministri.    

Le tante vie della privatizzazione

Che si sia di fronte ad un vero e proprio colpo di mano lo dimostrano le proteste del mondo della cooperazione, le accuse tra “emiliani” e “toscani”, le divisioni presenti anche nel governo, i tanti richiami fatti alla stessa Costituzione.

In effetti l’articolo 45 così recita: «La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità. La legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell’artigianato».

La questione potrebbe dar luogo a numerosi ricorsi, ed a Palazzo Chigi sono abbastanza preoccupati di salvare la forma, che in quanto alla sostanza certo il governo non mollerà tanto facilmente. Così scriveva in proposito il Sole 24 Ore del 12 febbraio: «Da questo punto di vista si sta già ragionando su come poter attenuare i profili di incostituzionalità legati al fatto di consentire a una banca cooperativa con un capitale minimo di 200 milioni – che ha potuto accantonare utili a riserve senza tassazione perché la Costituzione tutela la mutualità – pagando un’imposta del 20%, di riscattare il patrimonio e svolgere attività di lucro trasformandosi in spa».

Eh già! Talvolta la furia privatizzatrice cozza proprio con la lettera e lo spirito della Costituzione del 1948. Che fare, allora? Ovvio che il governo doveva inventarsi qualcosa, un escamotage per provare ad imbrogliare le carte, che è esattamente quel che ha fatto limando il testo poi pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Ecco come descrive questa trovata il Sole 24 ore del 16 febbraio: «La norma consente nei fatti la scissione delle attività bancarie in una spa mantenendo il controllo di questa società nelle mani della scatola cooperativa che è stata privata del ramo creditizio. Un escamotage per tenere l’attività nell’ambito della cooperazione che, però, non sgombra il campo dal rischio di incostituzionalità».

Come si può ben capire, tra trucchi, modifiche dell’ultimora, divisioni all’interno della stessa maggioranza di governo, c’è ancora spazio per altri cambiamenti in sede parlamentare.

Vedremo. Quel che è certo, in ogni caso, è l’obiettivo del governo di sviluppare in tutti i modi il processo di privatizzazione. Ricapitoliamo, allora, i vari aspetti di questo processo così come disegnati dal decreto sulle Bcc.

1. Le Bcc più grandi potranno trasformarsi in spa privatizzando le riserve indivisibili.
E’ l’aspetto da cui siamo partiti, quello che ha innescato le polemiche più accese. Ad oggi potrebbero avvalersi della cosiddetta way out almeno 15 banche, esattamente quelle più grandi. La privatizzazione delle riserve indivisibili che ne deriverebbe è un aspetto che grida semplicemente vendetta. Nelle cooperative le riserve indivisibili non possono essere ripartite tra i soci nemmeno in caso di scioglimento. Viceversa, il dispositivo approvato dal governo darebbe alle Bcc trasformatesi in spa il diritto di appropriarsene. In questo modo quel che non era disponibile per i soci della cooperativa, diverrà patrimonio nelle mani degli azionisti. E’ da notare che le riserve nascono dal dovere delle Bcc di mettere a riserva il 70% degli utili, che in tal modo sono esenti da imposte. Con la «riforma» basterà invece pagare all’erario un 20% di tasse per appropriarsi, privatizzandolo, di un bene comune costituitosi nel tempo.

2. La holding stessa è una spa. E’ vero che il testo del decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale prevede che la maggioranza delle azioni dovrà essere comunque posseduta dalle stesse Bcc. Su questo il governo ha fatto per ora marcia indietro rispetto alla formulazione precedente che conteneva una clausola che permetteva – su proposta di Bankitalia e con decisione del ministero dell’Economia – di portare la quota di azioni delle Bcc nella holding anche sotto il 50%. In ogni caso l’esperienza insegna: una volta costituita una spa non sarà mai troppo difficile metterla col tempo in mano ai privati. Tanto più se gli indirizzi politici resteranno quelli oggi dominanti.

3. La way out indebolirà la holding e le Bcc che vi avranno aderito.
E’ chiaro che il sistema incentrato sulla holding sarà tanto più debole quanto più saranno le banche che si chiameranno fuori. In ogni caso, rispetto al progetto iniziale, la holding ne uscirà certamente indebolita e così pure le Bcc che saranno rimaste fedeli al principio mutualistico ed avranno rifiutato di diventare delle spa.

4. Le stesse Bcc trasformatesi in spa diventeranno facili prede di gruppi più grandi.
Pesce grande mangia pesce piccolo: siccome anche le Bcc più grandi sempre piccole resteranno, non è difficile immaginarsi come molte delle nuove spa finiranno in pasto a banche più grandi, favorendo anche per questa via il processo di centralizzazione finanziaria privata che caratterizza il capitalismo contemporaneo.


Brevi conclusioni

A questo punto credo che sia lampante la natura antisociale di questa ennesima contro-riforma. Sia chiaro, chi scrive non si è mai fatto troppe illusioni sul sistema cooperativo in regime capitalistico. Tantomeno sulla sua concreta gestione di questi ultimi decenni. Ma non c’è bisogno di essere dei fans della cooperazione per capire il significato dell’ennesima porcata del governo Renzi. Che porcata è e rimane indipendentemente dagli evidenti traffici dei suoi compagni di merende.

da P101