Nazionalizzare per privatizzare: le pittoresche contraddizioni del sig. Giavazzi

Pubblicizzare le perdite per privatizzare i profitti: sai che novità ! Il “bostoniano” della Bocconi, al secolo Francesco Giavazzi, ce la ripropone stamattina sul Corsera come fosse l’innovazione del secolo. Quando, invece, è quel che Lorsignori van facendo da decenni. Questa volta si tratta di nazionalizzare le perdite del Monte dei Paschi di Siena (Mps), per mettere le mani sui profitti delle maggiori aziende che lo Stato ancora controlla.

Nell’articolo Giavazzi non si occupa solo di questo. Già  il titolo dell’edizione cartacea è un doveroso omaggio all’indiscussa presunzione del soggetto: «Le 5 cose da fare per ripartire». Il Nostro prende atto che la ripresa non c’è – sai che scoperta! E perché non c’è? Perché il Renzi del Jobs act è sì bravo – ci mancherebbe! – ma è troppo attento alle scadenze elettorali. Eh, bei tempi, quando non c’era neppure la seccatura del voto!

Dunque, cosa bisogna fare? Ovviamente dar retta a lui. Nei 5 punti elencati, ve n’è perfino uno condivisibile (il rilancio degli investimenti pubblici). Per il resto è la solita solfa fatta di liberalizzazioni, come se non fossero in atto da un quarto di secolo; di imponenti tagli alla spesa pubblica per consentire una forte riduzione delle tasse; di nuove massicce privatizzazioni.

Ovviamente le tasse che Giavazzi vuol tagliare sono solo quelle delle imprese. Egli cita infatti soltanto Ires ed Irap. Ma dove ridurre la spesa pubblica è difficile da dirsi anche per il bocconiano, che parla dei tagli alle municipalizzate e della necessità di alzare le tasse universitarie. Una linea di classe ben precisa, ovviamente, ma comunque ben poco efficace per far cassa nella misura che vorrebbe.

Il Nostro se ne accorge, ed ecco che parla apertamente della necessità di sforare la soglia del 3% nel rapporto deficit/Pil. A suo avviso, l’Europa lo tollererebbe se finalizzato ad una drastica riduzione delle tasse sulle imprese. Una tesi leggermente azzardata, figlia della necessità di accordare il suo liberismo di marca anglosassone con la linea sempre più filo-tedesca del giornalone su cui scrive.

Ma veniamo al vero punto forte dell’articolo di Giavazzi, non a caso il primo della sua esposizione. Quello dal titolo: «Mettere in sicurezza le banche». Qui la proposta è chiara e precisa fin nei dettagli. Ed è indicativa non solo del pensiero del suo autore, peraltro piuttosto noto, ma anche delle divertenti ed irrisolvibili contraddizioni in cui si dibatte la sua teoria.

La sua opinione è che le grandi banche italiane non abbiano problemi (quelle piccole sì, ma chissenefrega), salvo una macroscopica eccezione: il Monte dei Paschi di Siena. Ecco allora la sua proposta, che conviene leggere integralmente:

«Per fugare l’ombra che si stende sulle nostre banche bisogna mettere in sicurezza il Monte. Servono circa dieci miliardi di euro. E’ escluso che vi siano investitori privati disposti a metterceli e sarebbe un delitto indurre le banche maggiori a farlo mettendone a rischio la solidità. Lo Stato sarebbe potuto intervenire quando ancora le regole europee lo consentivano, ma non lo fece. L’unica strada rimasta è usare la Cassa depositi e prestiti, un’istituzione di fatto pubblica (il maggior azionista è il ministero dell’economia) ma che le regole europee considerano privata perché una quota di minoranza è posseduta dalle fondazioni bancarie. Per mettere dieci miliardi nel Monte la Cassa deve però vendere una parte delle sue partecipazioni in Eni, Snam, Terna, Fincantieri. Almeno temporaneamente, perché il Monte risanato fra qualche anno potrà essere venduto, come fece il governo di Londra dopo aver nazionalizzato Lloyds e Royal Bank of Scotland. Non farlo per l’orgoglio di non perdere il controllo delle aziende di cui Cdp è il maggiore azionista sarebbe una decisione poco lungimirante».

Ora, ridurre la questione bancaria italiana ad Mps è davvero superficiale, ma almeno Giavazzi ha ben chiaro – a differenza del Renzi del «E’ il mercato, bellezza!» – che nello specifico il “mercato” (il suo tanto amato “mercato”) non potrà funzionare. Non ci sono – ma guarda un po’ – privati disposti ad investire i 10 miliardi che servirebbero. Bene, ma allora perchè impedire al mercato, che secondo la sua teoria tutto alla fine risolve, di fare il suo corso?

E’ qui che casca l’asino del neoliberista. Certo, il laissez-faire porterebbe al fallimento di fatto della banca ed all’applicazione del bail in, dunque ad un rischio sistemico per l’intero sistema bancario italiano. Ma perché non riconoscere, allora, che la teoria mercatista proprio non funziona?

Per Giavazzi «Lo Stato sarebbe potuto intervenire quando ancora le regole europee lo consentivano, ma non lo fece». Dunque, lo Stato doveva intervenire, alla faccia del “mercato”, ma non lo fece. Ora, a parte il fatto che non lo fece neanche quando il Nostro faceva il consulente economico del sig. Monti, perché nessun governo italiano ha potuto farlo? Qui, il nostro bocconiano ha una singolare amnesia. Certo, in teoria le regole glielo avrebbero consentito, ma si puù dire altrettanto dei vincoli di bilancio rigorosamente controllati dagli occhiuti funzionari europei? Giavazzi sa bene che la risposta è no, ma l’eurismo è un dogma che il Nostro non intende neppure sfiorare.

Dunque, lo Stato non lo fece, e tantomeno può farlo oggi che le regole dell’Unione Bancaria ci sono. Da questo ragionamento giavazziano si evince come il blocco dominante italiano ha di fatto rinunciato alla messa in discussione del bail in, accontentandosi probabilmente di un atteggiamento più tenero da parte tedesca sulla questione della quantità e della prezzatura da attribuire ai Btp detenuti dalle banche italiane. E’ probabilmente in questa chiave che possiamo leggere le pubbliche manifestazioni d’amorosi sensi seguite al recente incontro Renzi-Juncker.

Se le cose stanno come pensiamo, ciò significa che da parte italiana si rinuncia ad ogni efficace azione sull’Unione Bancaria, mentre l’eventuale (e tutta da verificare) retromarcia tedesca sulla questione dei titoli di stato si tradurrà, proprio come desiderato dalla Germania, in un rinvio all’infinito del Fondo di garanzia europeo, che è esattamente lo scopo per il quale i tedeschi hanno sollevato (leggi QUI) la questione dei Btp posseduti dalle banche italiane.

Per terminare questa breve digressione: cosa ha ottenuto in cambio allora Renzi tanto da amoreggiare in pubblico con l’ubriacone lussemburghese? Naturalmente non possiamo giurarci, ma l’unico risultato sarà probabilmente quello di poter evitare manovre aggiuntive nella primavera-estate. In quanto all’autunno, ed alla finanziaria 2017, è presto per dirlo. La politica – quella italiana, ma ormai anche quella europea – funziona così, con un orizzonte temporale sempre più corto.

Ma torniamo a Giavazzi ed alla sua proposta. Premesso che nel quadro dell’Eurozona lo Stato non può agire direttamente, il Nostro ammette candidamente che il “mercato” è addirittura fuori gioco. Che fare allora? Semplice, per un attimo ci si dimentica delle teorie insegnate alla Bocconi, nonché dei dogmi euristi sempre venerati, e si propone un banale trucchetto: facciamo intervenire la Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), che pubblica è ma non formalmente.

Avete capito la trovata? Un po’ di basso livello, ma anche i bocconiani non sono più quelli di una volta… C’è però qualcos’altro: dove li piglia i 10 miliardi la Cdp? Ovvio, li prende mettendo sul mercato, cioè privatizzando, quote di «Eni, Snam, Terna, Fincantieri», eccetera. Ma andando su questa strada – attualmente Cdp possiede il 30% di Terna, il 29% di Snam, il 26,3 di Eni ed il 100% di Fintecna che controlla a sua volta il 71,6% della citata Fincantieri – non si rischia di perderne il controllo?

Naturalmente sì, ma per il Nostro non volerne perdere il controllo sarebbe solo una questione di «orgoglio… una decisione poco lungimirante». Nazionalizzare per privatizzare: ecco dunque la ricetta giavazziana per far quadrare il cerchio. Cerchio che viene chiuso con l’obiettivo di riprivatizzare anche Mps una volta che la banca sarà tornata, grazie ai soldi pubblici, competitiva. Uno schema copiato pari pari dal modello britannico al quale evidentemente si ispira.

Dall’esame dell’articolo di Giavazzi spero si saranno capite due cose: 1) quanto sia debole e contraddittoria la teoria neoliberista quando deve confrontarsi davvero con i disastri che essa stessa ha prodotto; 2) quanto la sua proposta di momentanea nazionalizzazione sia lontana dalla nostra.

Per l’ex consigliere del governo Monti la nazionalizzazione ha da essere fatta solo per riprivatizzare la banca quando potrà produrre nuovamente utili, mentre la nobile causa della sua salvezza andrà perseguita privatizzando quel poco che resta di pubblico nelle grandi aziende nazionali. Appunto, come abbiamo già detto, nazionalizzare per privatizzare, in base al classico schema della pubblicizzazione delle perdite e della privatizzazione dei profitti. Assolutamente inaccettabile.

Per noi, invece, la nazionalizzazione del sistema bancario, non soltanto di Mps, è non solo il modo di salvare le banche italiane dal prepotente attacco tedesco, ma quello per porre sotto il controllo pubblico il decisivo settore finanziario, iniziando così un processo di sganciamento dal sistema del finanz-capitalismo che è alla base dell’irrisolta crisi che viviamo ormai da 8 anni.

La trappola del bail in va evitata, ma per farlo davvero bisogna mandare a quel paese l’euro e l’Unione Europea, mandando al tempo stesso in pensione le politiche neoliberiste di ogni tipo. Non si esce dalla crisi attuale, neppure da quella bancaria, con la scelta dei continui rammendi che niente risolvono.

Capisco che per uno come Giavazzi sia praticamente impossibile ammettere che questa è la realtà. Ma il suo “prendere tempo”, in attesa che i fatti si accordino alla sua teoria, ci ricorda molto l’acquistar tempo del furbo fiorentino (che egli critica) che lo vuol guadagnare per ingraziarsi ancora per un po’ il favore delle urne…