Il capo della Bce da SuperMario a Super Pippo
Avevamo scritto che SuperMario non esiste. Sono bastati alcuni giorni ed al suo posto è apparso una specie di Super Pippo rimasto senza noccioline. Il Draghi del fantasmagorico QE ha già lasciato il posto a quello della solita litania eurista, ma con qualche interessante dubbio in più.
Gli espertoni poi – quegli stessi che lo avevano osannato come il Salvatore – hanno già ripreso a scrivere dei limiti della politica monetaria, che da sola non può bastare, eccetera, eccetera. Sai che scoperta! Ma anche questo lo avevamo già previsto:
«SuperMario non esiste, e la seconda revisione del Qe non potrà dare altri risultati se non quello – che per le oligarchie è però quel che conta – di prendere ancora tempo. Il grande spacciatore di Francoforte ha solo aumentato la dose di una droga dagli effimeri effetti euforizzanti. Tra non molto, vedrete, gli espertoni torneranno a parlare dei limiti dell’azione della Bce. Nel frattempo la crisi continuerà la sua azione disgregatrice dell’edificio europeo, e Mario Draghi dovrà inventarsi qualche altra trovata. Fino a quando potrà durare tutto ciò?». (Lo spacciatore di Francoforte, 11 marzo 2016)
Giovedì scorso, parlando alla sessione economica dell’ennesimo vertice europeo – quello che ha deciso di sbolognare 72mila profughi alla Turchia per la modica cifra di 40mila euro cadauno da versare ad Erdogan (grande l’Europa, grandissimi i suoi principi!) – il sig. Draghi, smessi prudentemente gli abiti del supereroe, ha chiesto ai suoi interlocutori politici tre cose. Anzi, tre cose più una, quella decisiva.
Cosa ha detto Super Pippo rivolgendosi ai governanti dell’Eurozona? Gli ha detto che bisogna fare «chiarezza sul futuro della nostra unione economica e monetaria». Oh bella! Finalmente una richiesta utile e sensata. Magari un po’ tardiva, ma fa niente. Vi ricordate i tempi in cui l’euro ci veniva presentato semplicemente come irreversibile? Era solo un anno fa (leggi QUI).
Per la verità l’uomo di Francoforte cominciò a manifestare qualche dubbio con la crisi greca. Se fosse precipitata – egli disse – ci saremmo trovati in «acque inesplorate».
La crisi greca è stata “risolta” come sappiamo, ma evidentemente le acque si sono fatte ancor più turbolente e limacciose, alla faccia dei tanti faciloni che ancora pensano che dall’euro non si possa né si debba uscire.
A differenza di costoro, Mario Draghi ha invece posto la domanda, chiedendo una «chiarezza» che evidentemente non c’è.
Ma seguiamo il ragionamento del presidente della Bce, così come lo ha esposto ai giornalisti: «Ho detto loro chiaramente (ai governanti dell’Eurozona, ndr) che anche se la politica monetaria è stata l’unica politica a guidare la ripresa, essa non può risolvere alcune delle debolezze strutturali di base dell’economia della zona euro».
Bene, dopo questa ennesima scoperta dell’acqua calda, quali sono le tre cose da fare secondo mister euro? Udite, udite, che c’è veramente da ridere. Esse sono: 1. riforme strutturali, 2. tasse più basse, 3. sostenere la domanda.
Ora, i casi sono due: o le famose “riforme strutturali” sono qualcosa di diametralmente opposto a quel che si è inteso finora (nel qual caso Super Pippo, con o senza noccioline di scorta, potrebbe provare a spiegarcelo), oppure siamo di fronte ad una sorta di schizofrenia necessaria del discorso pubblico eurista.
Un po’ per vezzo, un po’ per non spaventare troppo i sudditi, lorsignori sono molto affezionati alla criptica formula delle “riforme strutturali”. Ma ormai anche i bambini lo sanno: quella formula è facilmente traducibile come taglio dei salari e delle pensioni, taglio al welfare ed alla spesa pubblica in generale, privatizzazioni e liberalizzazioni a gogò.
Mettere insieme “riforme strutturali” e “sostegno alla domanda”, od anche “riduzione delle tasse”, equivale a voler tenere insieme il Diavolo e l’acqua santa. Impresa non facile neppure per un fantomatico SuperMario, figuriamoci per un Super Pippo senza arachidi.
Il fatto è che questa schizofrenia è assolutamente necessaria nel discorso eurista. Con un minimo di onestà intellettuale Draghi avrebbe dovuto dire che per uscire dalla crisi occorre un sostegno alla domanda, dunque non solo meno tasse, quanto soprattutto più salario e più occupazione, nonché più investimenti pubblici, e dunque più spesa pubblica.
Orrore, orrore, triplo orrore! Questo, è ovvio, il capo dell’oligarchia eurista non potrà mai dirlo. Anche perché la logica chiusura del discorso sarebbe esattamente il disfacimento della gabbia dell’euro, e non possiamo pretendere che il custode della euro-prigione proponga – proprio lui – di segare le sbarre.
Quel che Draghi non può fare, potrebbero forse farlo i tanti commentatori che ne applaudono perfino le smorfie, ma la schizofrenia necessaria del discorso eurista li affligge ancor di più del loro indiscusso vate.
Tra costoro segnaliamo la sempre più patetica figura di Eugenio Scalfari, che nell’odierno editoriale su la Repubblica sostiene che il presidente della Bce è ormai – de facto – il ministro delle finanze dell’Eurozona, e che:
«Draghi, con l’appoggio e la collaborazione di tutto il Consiglio direttivo della Banca salvo due sole eccezioni dei rappresentanti della Bundesbank, la partita la sta giocando con una finalità esplicita ed una implicita. Quella esplicita è una politica di crescita economica; quella implicita (della quale forse Draghi non è neppure consapevole) è l’inizio concreto d’un rafforzamento dell’Unione europea con finalità d’arrivare agli Stati Uniti d’Europa».
Dunque, secondo Scalfari, Draghi non sarebbe schizofrenico, ma forse soltanto “inconsapevole”, un gap che egli potrà comunque colmare agevolmente con la lettura domenicale dell’organo ufficiale dell’ultra-europeismo nostrano…
Ma lasciamo queste pur divertenti amenità e proviamo ad andare al nocciolo della questione. Perché ai fallimenti dell’Unione Europea, e della stessa Bce, si risponde sempre con un andare avanti a testa bassa?
Ha detto sensatamente in proposito il filosofo francese Alain de Benoist che: «Il dramma è che più le politiche che la Commissione europea realizza falliscono, più si ostina a perseverare nella stessa opera, convinta com’è che tutto crollerà se si dovesse interrompere la sua fuga in avanti. Non si sfuggirà quindi a questa fuga in avanti. Né al crollo».
Giustamente de Benoist sottolinea l’aspetto ideologico, ma non meno importante è quello degli interessi materiali dell’intero ceto politico (come pure di quello intellettuale e mediatico) eurista: quando il disfacimento dell’Unione Europea sarà compiuto, buona parte di costoro dovrà trovarsi un altro lavoro ed un’altra fonte di reddito. La loro testardaggine anche da questo deriva.
La fuga in avanti del “più Europa” è dunque destinata a continuare. Che pur perseverando su quella strada, sia proprio il capo della cricca eurista a manifestare qualcosa di più di un semplice dubbio, è significativo assai. Che lo faccia soltanto con gli schemi (il)logici della schizofrenia necessaria è la plateale confessione di un’impotenza ormai manifesta.