Spesso la finanza è immaginifica. E a volte ricorre alla mitologia. E’ nato così «Atlante», che anziché portare l’intera volta celeste sulle spalle, come nella leggenda, questa volta dovrà occuparsi di mantenere in piedi il sistema bancario italiano. Non è detto che l’impresa si riveli più facile.
Ma che cos’è Atlante? Questa nuova creatura governativo-bancaria altro non è che un Fia (Fondo di investimenti alternativo), di natura teoricamente privata, dotato di una semplice (si fa per dire) mission: garantire la ricapitalizzazione degli istituti di credito in crisi, ripulire i bilanci degli stessi dal peso insopportabile delle sofferenze. In una parola, evitare il crac di buona parte del sistema bancario nazionale.
Insomma, dopo aver rimandato per anni gli interventi necessari, dopo aver subito la disastrosa regola europea del bail in, dopo aver incassato il nein euro-tedesco alla bad bank, la classe dirigente italiana (governo, Bankitalia, maggiori gruppi bancari, eccetera) ha partorito il gracile Atlante. Riuscirà questo fondo a raggiungere gli obiettivi dichiarati? Crederlo non è difficile, è praticamente impossibile.
Certo mostra di crederci Renzi, e come potrebbe essere diversamente! «Atlante sarà la soluzione ai problemi delle banche italiane» ha twittato trionfante come sempre il fiorentino. E come lui si sono precipitati a cantare le lodi del nuovo eroe mitologico i solitamente più austeri Visco e Padoan. Ma anche loro non potevano fare nulla di diverso. Siccome la forza di Atlante è in larga misura solo virtuale, è chiaro che occorre un pressing per convincere gli investitori ed i mercati finanziari della robustezza dell’operazione.
Del resto gli alti e bassi della Borsa sono lì a dimostrare la precaria fiducia degli operatori finanziari, mentre il forte calo registrato dalle due banche maggiormente impegnate in Atlante (Intesa e Unicredit) è il segno di una pesante sfiducia sulle prospettive del fondo.
Più che una soluzione, Atlante sembra proprio un rattoppo. Ma un rattoppo fatto male, ispirato ad una logica emergenziale piuttosto che “sistemica”, come invece capita di sentir dire a sproposito in questi giorni.
La verità è che solo un robusto intervento dello Stato potrebbe risolvere la situazione. Piccolo particolare, esso contrasterebbe con le rigide norme europee, dunque non si potrà fare finché si resterà nell’eurozona. Ecco allora Atlante, il minuscolo coniglio uscito dal cappello di una classe dirigente che ormai vive alla giornata.
Gira che ti rigira torniamo sempre a questi nodi. Così concludevamo un articolo della fine del 2015: «Le banche vengano dunque salvate (evitando il bail-in e mandando a quel paese l’UE), ma nello stesso tempo nazionalizzate. Questa è la posizione che dovrebbe assumere chiunque abbia a cuore le sorti del popolo lavoratore. Altre non ne vediamo».
E’ evidente infatti che un salvataggio senza nazionalizzazione sarebbe solo un regalo agli istituti privati ed ai loro ricchi proprietari. Ma è altrettanto evidente che senza un vero intervento pubblico non potremo avere alcun salvataggio, con le disastrose conseguenze sull’economia nazionale che tutti sono in grado di immaginare.
Da questi nodi non si scappa. Padoan e Visco lo sanno bene, ma non possono dirlo, sia per ragioni ideologiche – dato che equivarrebbe ad ammettere il fallimento del sistema -, sia per ragioni concrete, visto che da Bruxelles ci metterebbero meno di un minuto a pronunciare un gigantesco no.
In queste condizioni la montagna non poteva che partorire il topolino. Questa volta per gonfiarsi il petto e fingere una forza che non c’è l’hanno chiamato Atlante, ma più che un gigante sembra proprio un nanerottolo.
Fatte queste premesse, entriamo ora nel merito. Per ragioni di chiarezza espositiva lo faremo per punti.
1. Che cos’è Atlante?
Abbiamo già detto che Atlante è un fondo di investimenti. La sua particolarità sta nella sua architettura, nelle sue finalità, nelle regole che si è dato.
La struttura proprietaria è la prima caratteristica da evidenziare. Si dice che la dote iniziale del fondo sarà tra 5 e 6 miliardi di euro. Di questi, 3 miliardi arriveranno dalle banche, con Intesa ed Unicredit in testa con una quota di circa un miliardo ciascuno. Un altro miliardo arriverà dalle assicurazioni, 500 milioni dalle Fondazioni, 5/600 milioni dalla Cassa depositi e prestiti. Altri 500 milioni verranno dalla Sga (Società per la gestione delle attività). La somma si ferma così attorno ai 5,5 miliardi, ma altri soggetti potrebbero aggiungersi. Difficile comunque che si raggiunga la soglia massima prevista di 6 miliardi.
L’adesione ad Atlante è volontaria, ma il fatto che struttura, finalità e indirizzo gestionale siano stati il frutto di tre riunioni tenutesi presso il MEF (Ministero dell’Economia e delle Finanze), spiega assai bene perché si parli di “operazione sistemica”. Diciamo che le alte sfere del sistema capitalistico italiano – specie quelle che governano il settore finanziario – hanno cercato un punto d’intesa per provare una specie di “piano B” per il salvataggio del sistema bancario.
Un salvataggio – e qui veniamo alle finalità di Atlante – da perseguire agendo in due direzioni, la partecipazione alle ricapitalizzazioni e – soprattutto – l’alleggerimento delle sofferenze presenti nei bilanci delle banche. Sulle ricapitalizzazioni il primo test sarà pressoché immediato. Sono infatti imminenti gli aumenti di capitale necessari per tenere in piedi la Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, due istituti che abbisognano di capitali freschi per un totale di 2,5 miliardi. Ma nella lista di attesa pare ci siano già la Cassa di Rimini e quella di Cesena, nonché la Banca di San Miniato. Conclusione: se la risposta degli azionisti di queste banche fosse particolarmente bassa, il che certo non stupirebbe, Atlante potrebbe bruciare subito più della metà dei fondi iniziali. Qualcuno arriva a prevedere perfino un 70%…
La partita più grossa è comunque quella delle sofferenze, che d’ora in avanti chiameremo per comodità npl (non performing loans). La chiave di volta su cui tutto si regge sta in una regola che sarebbe scritta in un documento di 18 pagine, ovviamente segreto ma non per tutti, che prevederebbe l’acquisto degli npl a prezzo di carico anziché a prezzo di mercato.
Se fosse davvero così, se – del tutto ipoteticamente – Atlante fosse in grado di acquistare tutti gli npl presenti nei portafogli delle banche a quel prezzo, il problema si risolverebbe da solo. O meglio, si risolverebbe per le banche, ma si complicherebbe assai per Atlante e per i suoi fondatori (in larga parte sempre banche), dato che alla fine qualcuno dovrà pur sostenere l’enorme differenza esistente tra il prezzo iscritto a bilancio (mediamente attorno al 44% del valore nominale) ed il 20% attualmente considerato di “mercato”. Una differenza che tradotta in euri ammonta alla non modica cifra di 48 miliardi.
Certo, i fautori di Atlante sostengono che con la sua attività il fondo riuscirebbe a far rialzare di qualche punto il valore di mercato degli npl. Ma qui di punti percentuali per far quadrare i conti ne servono ben 24… Ed anche se Padoan parla di un effetto leva di 50 miliardi, secondo il Sole 24 Ore l’obiettivo di Atlante sarebbe quello di smobilizzare 15-20 miliardi di npl. Cioè meno del 10% della loro massa complessiva…
2. Come finirà il contenzioso con l’Europa?
Già si sarà capito il punto di probabile frizione con la Commissione europea. Non solo le regole dell’Unione Bancaria impediscono gli aiuti di stato, ma le norme eurocratiche considerano tali anche gli effetti derivanti da azioni private in qualche modo ispirate, favorite o – peggio – coordinate dai governi nazionali. Questo perché verrebbe in qualche modo alterata la “concorrenza”.
E’ questo il motivo per cui, alla fine, non si è fatta la bad bank. Il bello è che tanti paesi europei (Germania in testa) hanno usati soldi pubblici per mettere in sicurezza le loro banche (leggi QUI), ma oggi che toccherebbe all’Italia non lo si può più fare. Insomma: «chi ha avuto, ha avuto, ha avuto… chi ha dato, ha dato, ha dato… scurdàmmoce ‘o passato, simmo ‘e Napule paisà». Solo che queste regole non vengono da Napoli, bensì da Berlino.
La rigidità europea che ha stoppato la bad bank si ammorbidirà di fronte alle spalle private di Atlante? C’è da dubitarne, anche se Padoan e Visco si sbracciano (magari un po’ troppo) per dire che non ci saranno problemi. In realtà non ci vuole molto a capire che il parto delle riunioni al MEF non è propriamente “privato”.
Contrariamente ad altre ipotesi circolate, si è cercato di minimizzare il ruolo di Cdp – banca pubblica per l’80,1% – proprio per non mettere una trave negli occhi dei funzionari dell’euro-germania. Basterà questa accortezza, quando il problema dal punto di vista dei dogmi euristi è semmai quello del prezzo “politico” degli npl? Non lo possiamo sapere, dato che la decisione sarà eminentemente politica.
Certo è che in materia bancaria in Europa se ne vedono di tutti i colori. E’ notizia recentissima quella che riguarda Deutsche Bank. La banca tedesca, che ha emesso derivati per 75mila miliardi (20 volte il Pil del suo paese), si ritrova proprio per questo in una situazione alquanto rischiosa. Le norme bancarie, approvate dal Comitato di Basilea, imporrebbero dal 2018 regole più restrittive sul calcolo del valore dei derivati in bilancio. Regole assai pericolose per Deutsche Bank e per le banche tedesche in genere. Bene, il governo di Berlino ha immediatamente messo in atto una forte pressione su Basilea affinché tornasse indietro. Missione compiuta: lunedì scorso il Comitato ha annunciato il dietrofront. Questa la conclusione di Alessandro Plateroti sul Sole 24 Ore: «Che dire? Mercato Unico, regole uniche: quello che fa bene a Berlino fa bene all’Europa. Rischi sistemici compresi».
Ipotesi: il governo Renzi ha forse trattato con il governo tedesco uno scambio utile ad entrambi, del tipo io faccio finta di non vedere i derivati e tu fai finta di non vedere la garanzia sugli npl? Difficile dirlo. Fino ad ora tutte le decisioni in materia bancaria sono sempre andate a vantaggio della Germania ed a svantaggio dell’Italia. Se oggi le cose andassero diversamente, questo vorrebbe dire solo una cosa, che il bubbone dei derivati è molto, ma molto più grande di quel che già sappiamo. Cosa che in effetti non è da escludere.
3. Perché diciamo che è solo un rattoppo?
Il problema è che anche ipotizzando che le resistenze europee possano essere in qualche modo superate, resta la straordinaria debolezza di Atlante.
Già la tempistica mostra uno strumento messo in piedi con una logica emergenziale. Le banche venete devono ricapitalizzare e l’operazione potrebbe fare flop? Ecco che arriva in fretta e furia Atlante a fare da garante, ed abbiamo già detto come questa priorità potrebbe assorbire il grosso del capitale raccolto.
Parlando del solo Monte dei Paschi, Francesco Giavazzi scriveva a fine febbraio di un salvataggio da 10 miliardi. Adesso invece, con soli 6 miliardi scarsi si vorrebbe mettere in sicurezza l’intero sistema bancario… E’ evidente che qualche conto non torna.
In realtà, a voler prendere sul serio quanto viene dichiarato, si scopre che tutto si regge su alcune speranze del tutte ipotetiche. Si spera che la garanzia fornita alle ricapitalizzazioni garantisca il successo delle stesse, senza che Atlante debba svenarsi per queste. Si spera – come abbiamo già visto – che il mercato degli npl si riprenda: ma allora come giustificare la prezzatura governativa al 17% applicata alle famose 4 banche “risolte” a novembre? E come giustificare la pressione esercitata dalla Bce di Mario Draghi affinché la Carige accettasse l’offerta del fondo Apollo, con un prezzo degli npl sempre al 17%?
Questo nessuno ce lo spiega. Ed al posto di un minimo di razionalità ci tocca leggere testi ideologici come quello che Federico Fubini ha rifilato ai suoi lettori lo scorso 10 aprile. Secondo il giornalista del Corriere, che scriveva alla vigilia della nascita di Atlante, della quale evidentemente molto sapeva, il modello ha da essere quello adottato per il salvataggio di Ltcm, il grande fondo americano che fu salvato nel 1998 da un pool di 16 banche, spinto a tal fine dalla Federal Reserve. Quello di Fubini è un racconto quasi epico, con una specie di “capitalismo solidale” (fra capitalisti, questo è sottinteso), che alla fine riesce pure a guadagnarci qualcosa, ma sempre in nome di un fine superiore. Un modello che oggi ci viene proposto in questi termini: «una coalizione di responsabili sul mercato che si faccia carico dell’interesse collettivo».
Ma com’è bello il capitalismo di Fubini, e quanto è emozionante! Peccato che non esista. Le banche americane del 1998 pensavano certamente ai loro affari, ed una congiuntura ben diversa dell’attuale fece il resto.
Anche le banche italiane di oggi, nonché gli altri soggetti coinvolti, pensano certamente al loro interesse. A quello di impedire crisi finanziarie potenzialmente devastanti anche per gli istituti più solidi, a quello di apprezzare gli npl che tutti hanno in pancia, a quello di evitare gli effetti recessivi che ogni crac porta con se. Ma il punto è che lo strumento Atlante non potrà essere qualcosa di più di un rattoppo. Un rattoppo magari utile nell’immediato, ma del tutto inadeguato rispetto alle necessità sistemiche.
4. Atlante potrebbe funzionare solo se…
Un’operazione come quella ipotizzata dal Fubini potrebbe funzionare solo a due condizioni: 1) una dotazione di capitale molto più elevata, 2) una vera ripresa economica, diciamo con tassi di almeno il 2% per parecchi anni consecutivi.
Su quanto possa essere realistica la seconda condizione non sprechiamo inchiostro. In quanto alla prima, se le cifre stanziate dai vari soggetti coinvolti sono così modeste una ragione ci sarà…
Il fatto è che la questione degli npl può essere risolta solo da una garanzia pubblica sul loro prezzo di acquisto. Una garanzia che si dice sia in qualche modo implicita nel testo del documento segreto al quale abbiamo già accennato, ma che con la dotazione attuale non può che riguardare comunque una quota troppo piccola di sofferenze.
5. Conclusioni
La conclusione è dunque semplice. Non crediamo al “capitalismo solidale” di Fubini, né crediamo che l’Unione Europea (salvo qualche interessato scambio su Deutsche Bank) sia disposta a particolari concessioni in materia. Che un sistema bancario italiano alla deriva, e dunque violentemente deprezzato, sia nei sogni e negli interessi della finanza predatoria internazionale è del tutto evidente. Al tempo stesso, non scopriamo oggi la leggendaria irresponsabilità della classe dirigente italiana.
Atlante è la risultante di tutti questi elementi. Non è il gesto d’orgoglio di una borghesia nazionale in cerca di riscatto. E’ invece soltanto la mossa difensiva di una borghesia compradora che non osa andare al cuore del problema. Quel cuore che sta non solo nelle regole, ma nell’autentico dominio dell’euro-germania.
Con le mezze misure non si salva l’economia del paese. Questo vale per i ridicoli decimali di “flessibilità” di Renzi e Padoan, per gli accordicchi di Alfano sui migranti, come per i rattoppi dei nostrani banchieri sulla devastante crisi degli istituti che guidano.
Altri articoli recenti sulla crisi bancaria
Bpm-Banco popolare: avanti tutta con l’iper-finanza speculativa (25 marzo 2016)
Esproprio anti-proletario (6 marzo 2016)
Dove casca l’asino del neoliberista (28 febbraio 2016)
Privatizzazioni: il caso delle Bcc (17 febbraio 2016)
L’attacco tedesco all’Italia (26 gennaio 2016)
Il 2016 di fuoco delle banche italiane (30 dicembre 2015)