Tutto come previsto: le banche italiane ancora nella tempesta. Il Fondo voluto dal governo è solo un modesto rattoppo per salvare le banche venete. Dopo di che le casse saranno praticamente vuote.

Eravamo stati facili profeti: più che l’Atlante mitologico, il fondo patrocinato da Renzi e Padoan è solo un atlantino formato tascabile. Utile sì per affrontare l’emergenza delle due banche venete a rischio bail in (Banca Popolare di Vicenza e Banca Veneto), del tutto inadeguato sul fronte delle “sofferenze” (altrimenti dette npl), che è il vero problema cruciale del sistema bancario italiano.

Recentemente anche Draghi ha parlato di Atlante come di «un piccolo passo nella giusta direzione», laddove l’accento era da porsi ovviamente sul «piccolo passo» piuttosto che sulla «giusta direzione».

Ma lasciamo parlare i numeri.

In primo luogo il fondo – costituito da banche, assicurazioni, fondazioni, più altri soggetti – avrebbe dovuto avere una dotazione iniziale fino a 6 miliardi. Di questi ne sono mancati in realtà all’appello 1,8. La dotazione è dunque di 4,2 miliardi. Un -30% che la dice lunga sull’entusiasmo mostrato dai soggetti chiamati a metter mano al portafoglio. Scrivemmo il 15 aprile, che 6 miliardi erano comunque del tutto insufficienti rispetto alla mission dichiarata del salvataggio dell’intero sistema bancario, ma – come avrebbe detto ai suoi tempi il mitico Catalano – 4,2 sono anche meno. Ognuno tragga le sue conclusioni.

In secondo luogo, alcuni tra i sostenitori mediatici della grandiosità dell’operazione Atlante – gli idioti non mancano mai – arrivarono a sostenere che l’iniezione di fiducia prodotta dalla creazione del fondo sarebbe stata sufficiente a far partecipare gli azionisti delle due banche venete alla ricapitalizzazione. In sostanza, quella di Atlante sarebbe stata solo una garanzia, quella dell’acquirente di ultima istanza, che forse non avrebbe dovuto sborsare granché vista la ritrovata fiducia degli azionisti.

Bene, a poco più di due settimane di distanza sappiamo invece com’è andata. Del miliardo e mezzo necessario alla ricapitalizzazione della Banca Popolare di Vicenza, Atlante ha dovuto farsi carico interamente. Per la verità, dei 120mila azionisti della banca, seimila avevano accettato di partecipare, acquistando nuove azioni, all’aumento di capitale. La loro quota copriva solo l’8% del necessario, ma a questo punto (ieri) è intervenuta la Borsa: il flottante è troppo poco e la quotazione a Piazza Affari impossibile. Dunque l’offerta è decaduta ed Atlante si ritrova a controllare il 99,33% della banca vicentina.

Ben difficilmente le cose andranno diversamente con la prossima ricapitalizzazione da un miliardo di euro di Banca Veneto. In quel caso la cassa di Atlante si ridurrebbe a 1,7 miliardi. A quel punto Renzi avrà ancora il coraggio di ripetere che «Atlante sarà la soluzione ai problemi delle banche italiane»? Meno di due miliardi a fronte dei 200 di npl: ai voglia di “effetto leva” e di ricorso alla fantasia finanziaria! La verità è che ci vorrà ben altro per uscire dall’attuale marasma bancario. La cosa è così evidente che non è il caso di insistere.

E qui potremmo chiudere il discorso Atlante. Ma abbiamo scritto nel titolo che questo fondo è non solo inadeguato, ma anche truffaldino. O, perlomeno, è truffaldino assai il meccanismo che ha portato alla mancata quotazione borsistica. Vediamo brevemente il perché.

Abbiamo già visto che Atlante controllerà la banca al 99,33%. Buffa percentuale, ma chi è che possiede il restante 0,67%? Si tratta dei vecchi azionisti, che fino all’altro ieri detenevano il 100% del capitale della banca! Costoro hanno perso una montagna di soldi. Alcuni avevano comprato le azioni ad un prezzo di 62,50 euro. Adesso il valore di ogni azione, che è sceso a 10 centesimi, è pari ad 1/625 (un seicentoventicinquesimo) del prezzo d’acquisto! Si dice che i veneti siano pazienti ma non stupidi, ed a questo punto sono pure leggermente incazzati.

Ed il fatto che la banca non sia stata quotata in Borsa è per loro un’autentica fregatura. Come spiega questa mattina Morya Longo sul Sole 24 Ore, i vecchi azionisti (che, ricordiamolo, sono ben 120mila) hanno almeno tre buone ragioni per protestare.

La prima è che non potranno neppure vendere le loro azioni. D’accordo, il loro valore è ormai bassissimo, ma non potranno comunque incassarlo. Il secondo è che i 6mila che avevano aderito all’aumento di capitale non potranno limitare le perdite precedenti grazie ad un eventuale (e da non escludersi in futuro) aumento di prezzo. Il terzo è che, essendo fuori dalla Borsa, la Popolare di Vicenza non è sottoposta alla normativa OPA, per cui – diamo la parola a Morya Longo – «se un giorno qualcuno volesse rilevare la banca, potrebbe accordarsi con Atlante e non dare nulla ai piccoli azionisti».

Ecco dove sta il trucco. Il solito, quando si parla di finanza. Un trucco che ha un solo possibile vincitore futuro: Atlante, appunto, e dunque le banche e le assicurazioni che hanno condotto l’operazione.

Il tutto alla faccia di quella immaginaria «coalizione di responsabili sul mercato che si faccia carico dell’interesse collettivo», idealizzata da Federico Fubini e già criticata QUI. Il “capitalismo solidale” teorizzato dall’editorialista del Corriere della Sera semplicemente non esiste. E la vicenda di cui ci siamo occupati lo dimostra ad abundantiam.

 

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