Eravamo stati facili profeti: la guerra civile libica è destinata a continuare, le potenze europee e gli Usa proseguiranno i loro sporchi giochi, ma per ora niente “stivali sul terreno”, visto che le divisione sono troppe anche nel campo degli imperialisti.
E’ questo il succo del vertice tenutosi ieri a Vienna (foto), di cui ci parla Alberto Negri nell’articolo che pubblichiamo di seguito. In effetti le cose hanno preso la piega che avevamo previsto. Così scriveva lo scorso 31 marzo Leonardo Mazzei:
«…Vedremo se davvero ci si spingerà a tanto (cioè all’invasione della Libia, ndr). Le mosse 3 (richiesta di aiuto da parte di al-Serraj, ndr) e 4 (intervento militare diretto delle potenze occidentali, ndr) questo prevederebbero. Ma i giochi sono in realtà più complessi. Gli strateghi occidentali – siano essi quelli di Washington, di Londra, di Parigi o di Roma – hanno sempre pensato di potersi giocare la Libia con due armi: quella delle contraddizioni tribali, da manipolare all’uopo; quella delle azioni mirate delle forze speciali già presenti sul terreno. Insomma, per dirla in breve, l’idea è quella di una strategia politico-militare low cost.
Ma è dal drammatico 2011 che vanno avanti i patteggiamenti con le varie realtà tribali, ed è certamente dalla guerra di quell’anno che le unità speciali agiscono sul territorio libico. A giudicare dalla successione degli eventi non sembrerebbe con troppo successo. Perché quel che non è stato possibile fino ad oggi, dovrebbe realizzarsi con il governo del canotto?
Questo gli analisti non ce lo dicono. E non ce lo dicono perché la vera alternativa è quella di una guerra ancor più sanguinosa di quella di cinque anni fa, questa volta con gli “stivali sul terreno”, con il dispiegamento cioè di un contingente militare piuttosto numeroso.
Le prossime settimane ci diranno se le fasi 3 e 4 scatteranno davvero, o se – come riteniamo più probabile – proseguirà invece l’attuale situazione di una guerra civile incancrenita anche a causa dei tanti interessi geopolitici in gioco. Interessi assai confliggenti anche all’interno dello stesso schieramento euro-atlantico».
Qui sotto l’articolo di Alberto Negri (il Sole 24 Ore)
«Libia, nessun intervento di terra»
di Alberto Negri
Convocato da Stati Uniti e Italia, il vertice di Vienna sulla Libia – al quale farà seguito oggi una riunione internazionale sulla Siria – avrebbe dovuto affrontare due temi: 1) come ristabilire l’unità del Paese 2) la strategia della guerra all’Isis. Non ha risolto ovviamente nessuna delle questioni sul tavolo e il comunicato dei 21 ministri auspica la creazione di un unico esercito in grado di controllare il territorio, accogliendo positivamente la creazione di una Guardia presidenziale.
Ma dal ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni un messaggio chiaro è arrivato: non ci saranno “boots on the ground”, ovvero un intervento militare di terra. Come del resto era stato annunciato alla vigilia del vertice ed è stato ribadito a Vienna dal primo ministro libico Fayez Sarraj, il quale ha dichiarato di non volere un intervento straniero ma assistenza per l’addestramento delle truppe e la rimozione dell’embargo sulle armi.
Il premier Sarraj ha lanciato un appello che in considerazione della sua situazione a Tripoli, ancora assai precaria, è apparso quasi accorato: «La comunità internazionale ha delle responsabilità verso la Libia. Quanto alla sconfitta dello Stato islamico ricordo ai nostri amici che questo obiettivo sarà raggiunto senza interventi esterni».
Per la verità Fayez Sarraj ha scoccato anche una frecciata al bersaglio grosso del momento, che non è il Califfato contro il quale si dovrebbe fare la guerra al terrorismo. «Il nostro nemico peggiore – ha affermato – non è l’Isis ma le divisioni interne. I terroristi saranno sconfitti dal nostro esercito nazionale sotto il comando civile, non dalle milizie rivali che rivendicano un ruolo politico». Il premier libico ha quindi fatto un chiaro riferimento al sostegno di cui godono in una parte della Cirenaica il generale Khalifa Haftar e il presidente del parlamento di Tobruk, Agila Saleh, che stanno sistematicamente boicottando il governo di unità nazionale di Tripoli sostenuto dal piano dell’Onu.
Il passo decisivo per sbloccare la crisi libica è il voto del Parlamento di Tobruk al governo di Sarraj che finora non è mai arrivato. Il presidente della Camera di Tobruk Saleh, su pressione del generale Haftar, da mesi ha messo in atto un boicottaggio per impedire ai deputati di votare, al punto che è stato sanzionato prima dall’Unione europea e poi anche dall’amministrazione Obama. Per sette volte il Parlamento libico si è riunito a Tobruk senza mai riuscire a votare la fiducia ai ministri presentati dal premier Sarraj.
Ma Haftar si sente ancora forte per il sostegno ricevuto dall’Egitto del generale Al Sisi, dalla Francia – che secondo “Le Monde” ha inviato in Cirenaica forze speciali per affiancarlo – e dagli Emirati Arabi Uniti che hanno aggirato l’embargo internazionale con forniture di armi al generale che vuole essere lui a riconquistare la Sirte e prendere il controllo del petrolio.
Quale è stata ieri la risposta della comunità internazionale all’appello di Sarraj? In una conferenza congiunta con il segretario di Stato Usa John Kerry e il ministro Gentiloni è stato ribadito che «la stabilizzazione della Libia è la chiave per combattere il terrorismo. Senza, si rischia un conflitto interno, anche armato. Cercheremo di rafforzare l’accordo politico, per combattere contro l’Isis, incluso il generale Haftar, ma serve il riconoscimento pieno del governo di unità nazionale».
Quanto all’embargo sulle armi Gentiloni ha sottolineato che il punto della questione sarà come regolamentarlo: «Non verrà abolito completamente ma saranno attuate delle limitazioni». Sulla stessa linea il segretario di Stato americano Kerry, che ha dichiarato che «la comunità internazionale sosterrà la richiesta del governo libico» di ottenere armi per combattere l’Isis, anche se bisognerà trovare un «difficile equilibrio» per evitare che queste armi cadano in mani sbagliate.
Come torna Sarraj a Tripoli dopo il vertice di Vienna? Forse più rafforzato nelle sue convinzioni che confortato dal sostegno ricevuto dalla comunità internazionale. Ma questi sono i tempi che corrono perché la confusione sotto il cielo, non solo della Sirte, è grande.