Eurostop: il meglio della sinistra che c’è

Si è svolto sabato scorso a Napoli il convegno: «ITALEXIT: una via per rompere la gabbia dell’Unione Euro». [Nella foto l’inizio dei lavori]

Dopo i saluti del sindaco De Magistris, che ha voluto personalmente esprimere la sua vicinanza ai promotori del convegno, i lavori sono stati aperti da Giorgio Cremaschi.

Un’introduzione, quella di Cremaschi, appassionata e di ampio respiro.
Dopo una disamina puntuale del carattere oligarchico, imperialista e antipopolare dell’Unione europea, Cremaschi ha snocciolato le ragioni per cui l’euro non è solo una moneta ma il paradigma e il pilastro di un regime politico; quindi i motivi per cui la Ue non è riformabile, perché essa va combattuta e seppellita se davvero si hanno a cuore non solo gli interessi del popolo lavoratore ma le stesse sorti delle democrazia. Al centro della sua esposizione  [QUI il testo integrale] tre tesi ribadite con forza:

«(1) Una certa sinistra, che pretende di considerarsi “radicale” ci accusa che la rottura dell’Unione e l’uscita dall’euro sarebbero cose “di destra”. E’ vero il contrario: siccome l’Unione e l’euro sono strumenti delle classi dominanti, rottura e uscita sono per loro natura cose di sinistra, elementi di lotta di classe nella situazione concreta. Ed è solo perché la sinistra ha abdicato alla sua missione che certe destre possono presentarsi come campioni della battaglia per la riconquista della sovranità popolare. (2) Tutti qui ci auguriamo che questa rottura veda sincronicamente uniti i diversi popoli europei, ma questo appare oggi altamente improbabile. La catena si spezzerà necessariamente in quello che si rivelerà l’anello più debole. Viva dunque quel popolo che si sgancerà per primo! Liberando il proprio Paese dalla prigione liberista europea quel popolo aprirà la via a tutti gli altri. (3) In questa cornice non dobbiamo temere il concetto di “nazione”, dovremo anzi fa sì che si sposi con i valori della democrazia, della eguaglianza, della solidarietà internazionalista tra i popoli».

Sul solco tracciato da Cremaschi si è quindi aperta la sessione di dibattito mattutina, ricca, articolata, e che ha visto, tra l’altro, il confronto fra due posizioni principali: quella esposta da Franco Russo e quella contraria difesa da Moreno Pasquinelli.

La posizione di Russo si può riassumere in due assunti: (1) la crisi ha rafforzato non indebolito l’Unione europea ed i suoi meccanismi di comando e governance — tesi che è stata ripresa e difesa, nella sessione pomeridiana, da Mauro Casadio — e (2) la rottura è necessaria ma…” Dio ce ne scampi da un ritorno all’indietro alle sovranità nazionali”. Bisogna invece tenere fermo il discorso internazionalista lasciatoci in eredità dal movimento operaio, poiché solo una forza internazionale può portarci fuori dall’ordine di cose esistente.

Pasquinelli, portando esempi concreti, ha invece sostenuto che la tendenza dominante è quella alla dissoluzione dell’Unione ciò che, giocoforza, implica un recupero di sovranità statuali e nazionali — la vicenda Schengen è lì a dimostrarlo. Questo recupero non è per sua natura reazionario (come vuole far credere certa sinistra “cosmo-internazionalista” che con la scusa dell’internazionalismo abbraccia il cosmopolitismo imperiale), anzi, è una leva che dovrebbe essere utilizzata per dare un contenuto ed uno sbocco democratici alla battaglia contro il regime eurocratico. Qui Pasquinelli ha accennato alla necessità di rivalutare i discorsi di Antonio Gramsci su egemonia e strategia nazionale-popolare, di liberarsi dalla congenita malattia dell’intellettualità sinistrorsa, dal suo carattere élitario che la tiene sideralmente distante dalle larghe masse. “A poco servirà aver le analisi e la strategia corrette se poi non sapremo farci capire dai “semplici”, da chi sta in basso. In questo senso dobbiamo imparare la lezione dei “populismi”, anzitutto di quelli progressisti che han saputo mobilitare milioni di persone e quindi rovesciare i regimi neoliberisti. Solo così potremo sbarrare la strada alla rinascita di movimenti di massa neo-fascisti”.

Carlo Formenti, riagganciandosi a questo discorso, dopo aver detto che bisogna smetterla di avere paura delle parole, di concetti come nazione, popolo e sovranità, con efficacia ha sostenuto l’idea che va costruito un discorso populista di sinistra, che sappia tenere assieme le lotte per i bisogni materiali alla speranza di un radicale cambiamento.

Tra gli interventi della sessione mattutina degna di nota la posizione avanzata dall’economista Emiliano Brancaccio, riassumibile anche qui in tre punti. (1) Non c’è dubbio che la tendenza è quella alla conflagrazione dell’Unione, (2) ma le forze reazionarie, xenofobe e liberiste sono in grande vantaggio, di qui il rischio molto probabile che siano esse ad approfittare di questa crisi, salendo al potere. (3) Il terzo punto è tutto politico: “Non sono affatto convinto, anzi, che sia percorribile la via di un Comitato di liberazione nazionale. Siamo talmente deboli che se ci alleassimo con certe forze borghesi anti-Ue saremmo fagocitati”.

E’ stato Ugo Boghetta, nella sessione pomeridiana, a rispondere a Brancaccio e al suo rifiuto di un’alleanza tattica con le “destre costituzionali”. Boghetta dopo aver sostenuto l’idea che non dobbiamo abbandonare l’obbiettivo strategico del socialismo ha ribadito con forza l’idea che se vogliamo davvero vincere la guerra, dobbiamo accettare l’idea che occorre essere protagonisti di una alleanza ampia, necessariamente interclassista. Non solo la maggioranza dei settori del lavoro dipendente hanno interesse a rompere la gabbia europea, ma pure i tanti pezzi maciullati dalla crisi del mondo delle piccole e medie imprese, quei settori che vivono di mercato interno. “Se siamo d’accordo nel dire che una volta usciti dalla gabbia eurocatica occorre ristabilire l’ordine sociale descritto nella Costituzione del 1948, allora questa dev’essere la base per un fronte popolare il più ampio, lo si chiami CLN o in altro modo”.

Oltre ai saluti portati dal sindacalista inglese, dal delegato del Partito comunista cubano e dai compagni catalani, la sessione pomeridiana ha visto, oltre al contributo di Epic (Loredana Signorile e Giacomo Bracci) gli interventi di altri tre economisti: Gennaro Zezza, Ernesto Screpanti e Luciano Vasapollo.

Gennaro Zezza, dopo aver spiegato che l’euro è un regime economico e monetario insostenibile e votato alla dissoluzione, ha presentato la proposta di “moneta fiscale”, come via per far uscire subito l’Italia dalla recessione — QUI la sua proposta nel dettaglio.

Ernesto Screpanti, partendo dal “Trilemma di Rodrik” per cui non si possono avere simultaneamente globalizzazione, democrazia e sovranità nazionale, ha denunciato la natura antipopolare e antidemocratica dell’Unione europea. Ha quindi passato in rassegna quelle che secondo lui sono le possibili vie d’uscita dalla gabbia eurocratica. Screpanti ha sostenuto la tesi che uno Stato nazionale da solo, premesso che dovrebbe darsi un piano di forte rilancio industriale, non riuscirebbe a sopravvivere, nell’attuale contesto globalizzato, nemmeno se facesse affidamento a forti misure protezionistiche o a forti svalutazioni monetarie. Saranno quindi necessarie grandi entità geopolitiche e Screpanti immagina possibile una Unione mediterranea (politica non solo economica, onde evitare che si ricreino al suo interno i medesimi squilibri Nord-Sud che vediamo nella Ue), una coalizione dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, sia della sponda Nord che Sud.

Polemico, e per certi versi singolare, l’intervento di Luciano Vasapollo. Dopo aver sostenuto che, certo, occorre fare nostra la consegna della sovranità nazionale, ha detto che è ormai inutile e financo deviante discutere del dopodomani: “Sono stanco di sentire parlare di ciò che semmai potremo fare quando avremo il potere”. Forse ci sbagliamo ma la frecciata era rivolta proprio a Screpanti, la qual cosa ha suonato strano, visto che proprio lui è stato l’artefice dell’idea di “Alba mediterranea” (che a noi non ha mai convinto, e QUI spieghiamo il perché). Vasapollo ha quindi insistito che la lotta per la sovranità va calata nella concreta situazione, che occorre fare sì che essa marci nei movimenti e nelle lotte sociali. Come? Ricollegandosi all’intervento di Carlo Formenti, ha insistito che dobbiamo stare nei conflitti, da quelli per la casa a quelli per strappare diritti sociali.

Il convegno si è concluso con l’approvazione all’unanimità di una mozione che chiama ad una manifestazione “No Renzi Day” il sabato precedente al Referendun costituzionale di ottobre.

Per concludere.
Un convegno che segna un passo avanti per la coalizione Eurostop, nata nel novembre scorso. Un punto positivo nel camposanto della sinistra odierna. Sta nascendo un raggruppamento che fa della rottura della gabbia europea il punto di ancoraggio di una strategia di più ampio respiro la quale, pur tenendo ferma la stella polare del socialismo, dovrà tenere conto di ineludibili passaggi di fase, passaggi che saranno certo difficili, non escluso dirimenti, e che chiederanno metodi, linguaggi e tattiche adeguati affinché sia possibile domani la saldatura tra quella che è oggi una piccola minoranza e le larghe masse popolari.

Nb
Quanto prima, sul nostro canale Youtube, pubblicheremo le registrazioni filmate di alcuni interventi.

da sollevAzione