Elezioni comunali: alcune note a caldo, a scrutini ancora in corso

Mentre scriviamo gli scrutini non sono ancora terminati. Alcune tendenze appaiono comunque assai chiare. Proviamo a sintetizzarle per punti, analizzando soprattutto i dati delle cinque città principali (Roma, Milano, Napoli, Torino e Bologna). Nelle altre, infatti, la ridicola sfilza di liste e listarelle, spesso associata alla scomparsa e/o mascheramento di quelle di partito, rende il giudizio più complesso.

1. Il Pd va male – Il partito di Renzi esce dal voto amministrativo peggio di come era entrato in campagna elettorale. Non si tratta di un crollo, ma l’arretramento è evidente. Fuori dal ballottaggio a Napoli, come previsto, il Pd non è riuscito a conquistare nessuna città al primo turno. Anzi, nelle due dove sembrava possibile ha ottenuto solo il 41,9% a Torino ed il 39,5% a Bologna.

E se nel capoluogo emiliano il successo al ballottaggio pare comunque quasi certo, a Torino non è affatto escluso un recupero della candidata M5S tra quindici giorni. Pesante, poi, la situazione a Milano dove il vantaggio di Sala su Parisi è al momento al di sotto di un punto percentuale. Certo, il candidato piddino Giachetti va al secondo turno a Roma, ma con possibilità di successo praticamente vicine allo zero.

Programma 101
aveva scritto che nelle elezioni amministrative di ieri l’importante era battere il Pd. Certo, per fare un bilancio compiuto bisognerà aspettare il 19 giugno, ma ad oggi possiamo dirci soddisfatti.

2. Renzi più debole in vista del referendum d’autunno – Comunque andranno le cose nei ballottaggi del 19 giugno, la posizione di Renzi si è dunque indebolita. A questo punto le cose sono sempre più chiare: il blocco renziano (Pd ed alleati) non solo non ha la maggioranza nel paese, ma è sempre più lontano da essa. Ne consegue che il fronte del no, il referendum può solo perderlo con le sue mani. Se tutte le forze politiche che si sono pronunciate contro la “riforma” costituzionale si impegneranno davvero in campagna elettorale Renzi non avrà scampo.

Sappiamo che le cose sono in realtà assai complesse, che nel referendum i poteri dominanti (a partire da quelli europei) scenderanno pesantemente in campo, che vi sarà una forte campagna di terrorismo psicologico, eccetera. Ma, al netto di tutto questo, i fondamentali che disegnano le basi di partenza del SI’ e del NO verso il voto autunnale, sono quelli usciti dal voto di ieri: il Pd ha oggi circa un 30% dei consensi, ed anche aggiungendo i “cespugli” che gli si raccolgono attorno non si supera comunque il 35%.    

3. Il chiaro successo di M5S
– Il successo di M5S è evidente nel 35,3% di Virginia Raggi a Roma, ma forse ancor di più nel 30,8% di Chiara Appendino a Torino, dove andrà a contendere all’ittiosauro Fassino la vittoria finale. Si tratta di due risultati davvero notevoli, che dovrebbero sfatare l’idea di un’insuperabile debolezza dei Cinque Stelle sul terreno amministrativo.

Debolezza che comunque permane in molte altre città. Scorrendo l’elenco dei capoluoghi di provincia M5S sembra andare al ballottaggio (almeno a questo punto dello scrutinio) solo a Carbonia. Un po’ poco per una forza che aspira a contendere al Pd il ruolo di maggior partito a livello nazionale. La verità è che un movimento che voglia davvero competere per il governo del paese non può pensare di strutturarsi soltanto attraverso la rete. Detto questo, evidenziati questi limiti (tra i quali molti contenziosi ai livelli locali), il risultato del voto di ieri rappresenta comunque un deciso passo avanti nel consolidamento di M5S sulla scena nazionale.

4. La destra –  Il risultato della destra ci dice fondamentalmente due cose. La prima è che il cosiddetto “centrodestra” è sì in crisi, ma non è affatto tagliato fuori dalla battaglia delle prossime elezioni politiche, come dimostra assai bene il risultato di Milano. La seconda è che la partita tra destra “lepenista” e destra conservatrice è tutt’altro che risolta. La destra unita va al ballottaggio a Milano e Bologna e (benché divisa) anche a Napoli. Non ci va a Roma solo per la nota spaccatura tra le due “anime” di cui sopra.

Il voto di ieri non risolve però la partita interna sull’egemonia, dal cui esito sbucherà fuori ad un certo punto il candidato premier (o i candidati se la frattura non dovesse ricomporsi). Al momento né i berluscones né Salvini possono davvero cantare vittoria. I primi possono gioire solo perché a Milano – l’unica grande città dove la destra possa aspirare alla vittoria il 19 giugno – Forza Italia è rimasto di gran lunga il primo partito dello schieramento. I salviniani possono vantare la prevalenza sui forzisti in diverse altre città, ma nell’insieme Salvini non sfonda, ed a sud dell’Appennino Tosco-Emiliano i risultati sono davvero modestissimi.

5. La sinistra sinistrata: senza idee e senza voti – I risultati delle liste della sinistra sinistrata sono stati alquanto deludenti. La definizione di “sinistra sinistrata” deriva da due fatti. Il primo è che in ogni città si è presentato un nome diverso, e questo già la dice lunga. Il secondo è che non si è saputa presentare un’idea davvero forte, capace di mordere nell’immaginario collettivo. Al di là delle spaccature, che pure vi sono state, sull’appoggio o meno ai candidati piddini (vedi il caso di Milano), resta il fatto che anche le candidature alternative al Pd si sono fermate su percentuali piuttosto basse. Emblematici i casi di Torino e Milano con un risultato intorno al 3,5%, la metà di quel che dicevano i sondaggi. Non molto diverso il dato di Fassina a Roma, che si è fermato al 4,4% a fronte di sondaggi che gli davano l’8%.

Senza dubbio queste percentuali sono anche il frutto dell’effetto di polarizzazione che si determina in questo tipo di elezioni, ma resta il dato di fondo: l’incapacità di presentare una proposta politica per il futuro del paese. E’ questa, ormai, un’incapacità provata e certificata. Connessa con il Dna di una sinistra che non sa più leggere la realtà sociale. Certo, le difficoltà degli sparsi frammenti di quest’area, che si riuniscono per lo più solo in vista degli appuntamenti elettorali (vedi Lista Tsipras – a proposito, già scomparsa: chissà mai il perché!) dipendono anche dalla presenza ormai consolidata di M5S.

Ma allora perché non porsi intanto il problema di un’alleanza con i Cinque Stelle? Alleanza non facile, anche per l’autoreferenzialità di M5S. Ma abbiamo visto in Spagna come le cose possono cambiare. Ci immaginiamo già le obiezioni a questa ipotesi. Obiezioni che potremmo anche comprendere, ma non in bocca a quegli stessi che non hanno avuto problemi in questi anni ad allearsi sistematicamente con il Pd, un partito che anche prima di Renzi era il principale guardiano dell’ortodossia mercatista.

6. Conclusioni – Quelle che precedono sono solo alcune note a caldo. Non è che da ogni consultazione elettorale si debbano trarre chissà quali conclusioni. In questo caso, però, un dato è certo ed è utile rimarcarlo: Renzi è più debole di ventiquattrore fa. A maggior ragione va messo nel mirino. La sua controriforma costituzionale va bocciata, il suo disegno autoritario va sconfitto, il suo governo va mandato a casa. E, ancora più importante, ogni prudenza “politicamente corretta” va mandata in soffitta. La partita del referendum è ancora tutta da giocare. Che ognuno faccia la sua parte.

da Programma 101 (P101)