Falluja, la città delle 60 moschee, è stata una eroica roccaforte della Resistenza Irachena contro l’invasione anglo-americana del 2003. Fu la prima città liberata dalla Resistenza e per questo venne attaccata in forze dagli anglo-americani nell’aprile 2004, e poi nuovamente nel novembre dello stesso anno. Falluja cadde dopo una resistenza eroica durata mesi e solo dopo che gli imperialisti rasero al suolo mezza città e usarono sistematicamente bombe al fosforo. Da allora Falluja è considerata città martire della Resistenza antimperialista. Ed oggi è di nuovo sotto attacco.

Il 23 maggio scorso il Primo ministro shiita iracheno Haider al-Abadi annunciava l’avvio dell’offensiva per prendere Falluja, roccaforte dello Stato islamico sin dal gennaio 2014, prima ancora che esse liberassero Mosul. Annunciando l’attacco al-Abadi dichiarava: “Si tratta di un’operazione storica. Non c’è altra opzione per il Daesh che la fuga”.

L’offensiva, lanciata da sud-ovest, sud-est e nord-ovest impegna, sotto il comando del generale Abdulwahab al-Saedi, (fonti di Baghdad, ma si sospetta siano il doppio) circa 30mila tra soldati, poliziotti e volontari di diverse milizie shiite. La sproporzione di forze è impressionante. Secondo il colonnello americano Steve Warren i combattenti dello Stato islamico in città oscillerebbero tra i 500 ed i 1000.

Questi combattenti stanno opponendo agli assedianti una resistenza accanita. Molto più forte di quella messa in campo a Ramadi, capitale della provincia di al-Anbar, riconquistata dagli shiiti nel dicembre scorso. A fine maggio le autorità di Baghdad annunciavano in pompa magna che Falluja stava per essere “definitivamente ripulita dai terroristi”. Oggi, 6 giugno, veniamo a sapere che gli assedianti sono invece ancora impaludati ai bordi del centro storico.

Le forze armate statunitensi, su ordine della Casa Bianca e Pentagono, sono direttamente coinvolte nell’attacco, non solo offrendo copertura aerea logistica alle forze assedianti ma partecipando con bombardamenti massicci. Di più: l’offensiva per espugnare Falluja è stata anticipata e preparata da numerosi e martellanti raid aerei dal 14 al 20 maggio, ciò non solo allo scopo di smantellare le linee difensive approntate dallo Stato islamico e fiaccare le forze resistenti, ma con quello di seminare il terrore tra la popolazione della città martire e spingerla alla fuga dalla città. Una tattica consolidata per gli yankee: togli l’acqua attorno ai pesci.

C’è voluto quindi il pieno assenso e appoggio del Pentagono e della Casa Bianca affinché le autorità di Baghdad scatenassero l’inferno.

Nello stesso momento le truppe siriane di Assad, con l’appoggio diretto dell’aviazione russa (stessa tattica degli americani) stanno tentando l’assedio di Raqqa, cosiddetta capitale del Califfato. Qui il ruolo giocato dalle milizie shiite in Iraq è svolto da quelle curdo-siriane dello YPG, imparentate col PKK. Sì, le forze curde agiscono come una quinta colonna degli americani. E’ infatti noto che il Pentagono non solo dà assistenza militare allo YPG, ma li arma e li finanzia. Sono centinaia i mercenari USA stanziati nella zona di Rojava. Secondo fonti statunitensi i curdi hanno addirittura offerto al Pentagono di aprire in zona una base aerea.

Che abbiamo quindi? Abbiamo che contro lo Stato Islamico si è costituita una Santa alleanza imperialista che vede in combutta americani, russi e iraniani, sostenuti sul campo da milizie shiite e curde. Una Santa alleanza che certo è solo temporanea, che andrà in pezzi non appena essa avrà avuto ragione del califfato. Ogni contraente di questa Santa alleanza ha il suo proprio disegno geopolitico, il suo proprio miserabile tornaconto. Per adesso sono uniti nel fare fuori quello che si presenta come il principale ostacolo ai loro pur configgenti appetiti egemonici.

Abbiamo detto, e non una volta sola, che siamo contrari alle concezioni ed alle pratiche takfire dello Stato islamico. Ma gli oppressi di tutto il mondo non hanno nulla da guadagnare da una vittoria della crociata della Santa alleanza imperialista.