Dichiarazione del Consiglio nazionale di P101
1. Un voto storico – Con lo storico voto inglese del 23 giugno si apre in Europa una fase nuova ed interessante. Nuovo, e decisamente più avanzato, il contesto in cui si svolgerà d’ora in poi la lotta per farla finita con le oligarchie euriste. La narrazione dominante di un’Unione, magari piena di problemi, ma destinata ad allargarsi ed in definitiva a consolidarsi sempre più, è stata fatta a pezzi dall’uscita della Gran Bretagna. Dalla gabbia dell’Unione si può uscire, e c’è chi lo fa: questo è il nocciolo duro contenuto nell’affermazione del Leave. Questo è quel che spaventa gli oligarchi di Bruxelles e Francoforte.
2. Un voto di classe – Quello britannico è stato un voto di classe. Se il confine tra favorevoli e contrari alla Brexit non si è conformato alle tradizionali linee di divisione tra destra e sinistra, di certo esso ha seguito in larghissima misura la faglia che segna la frattura sociale tra chi nella crisi ha retto e chi è precipitato nell’insicurezza e nella povertà, quando non addirittura nella miseria e nella disperazione. In Inghilterra, dove il voto non era influenzato da altri fattori — come in Scozia, dove ha prevalso la spinta separatista anti-inglese: a dimostrazione, anche in questo caso, del peso che l’identità nazionale ha nel comportamento dei popoli — il Remain ha vinto solo nelle zone ricche, nei centri delle città, mentre ha perso nelle periferie e in tutte le zone abitate dalle classi più povere. Una lezione — di classe appunto — per il Labour di Corbyn, che ha visto milioni di elettori del proprio partito pronunciarsi per il Leave contro la sua disgraziata indicazione di voto.
3. La rivolta contro le èlite – L’esito del voto sulla Brexit, la sua distribuzione geografica e sociale, confermano come sia in atto, un po’ dappertutto, una vera e propria rivolta contro le èlite dominanti. Naturalmente, ogni paese ha la sua storia, ma ovunque i partiti sistemici, quelli che da decenni governano – magari alternandosi tra loro — vivono una crisi di consenso senza precedenti. Ed ovunque il segno sociale è chiaro: i ceti benestanti si compattano intorno ai partiti del sistema, quelli popolari premiano le forze che a vario titolo si presentano come anti-sistemiche. In qualche modo la lotta di classe riemerge, in forme nuove ed inattese, ma ben visibili ad occhio nudo da qualsiasi onesto osservatore.
4. I limiti del terrorismo del potere – Contro questa rivolta anti-èlite il terrorismo del potere non funziona più, o quantomeno non funziona più come un tempo. Le classi popolari non sanno cosa farsene della “stabilità” invocata dai mercati finanziari. Anzi, è sempre più chiaro come quella “stabilità” sia la gabbia che disegna l’immutabilità dell’oppressione che subiscono con la precarietà, la disoccupazione, l’esclusione sociale e la povertà crescenti. In Gran Bretagna il terrorismo di Cameron — “con la Brexit ci sarà la guerra in Europa” — di Obama e di Tusk — “l’uscita della Gran Bretagna sarà la fine della civiltà occidentale” — ha clamorosamente fallito. E neppure l’omicidio ad orologeria della parlamentare laburista Jo Cox ha cambiato il risultato del referendum. Una dimostrazione di quanto i potenti non siano onnipotenti. Anche con i soldi, con i media, con tutti i grandi poteri internazionali, e magari anche con le operazioni sporche di qualche servizio, il consenso non va più nella direzione desiderata. Lentamente, talvolta confusamente, i popoli danno segni inequivocabili di un effettivo risveglio. Contro ogni forma di pessimismo, la comprensione di questo fatto è la base di ogni futura azione politica dotata di senso ed efficacia.
5. La centralità della questione nazionale – In un’Europa disegnata per succhiare risorse dalla periferia verso il centro di un’Unione ad egemonia tedesca, in un mondo dove la globalizzazione capitalistica è stata lo strumento per aumentare le diseguaglianze, la prepotente riemersione della “questione nazionale” è quanto di più naturale potesse accadere. Dobbiamo contrastare od accompagnare questa tendenza? Coloro che la vogliono contrastare, magari in nome di un astratto internazionalismo, finiscono sempre con lo schierarsi con le oligarchie. Nel referendum britannico i vari Varoufakis, Zizek, insieme al grosso della “sinistra europea”, ha combattuto dalla stessa parte di Cameron, della City, delle grandi banche d’affari europee ed americane, delle oligarchie euriste e della Casa Bianca. Il riemergere della “questione nazionale” è la logica conseguenza del fallimento della globalizzazione. Anziché averne paura, si deve invece rivendicare la sovranità nazionale come base attraverso la quale riappropiarsi della democrazia per costruire una nuova sovranità popolare.
6. Una sinistra da rottamare – Se, pur con le dovute eccezioni, il ritardo delle sinistre sulla questione dell’Ue e dell’euro non ha mai avuto giustificazioni, chi dovesse ancora oggi attardarsi su posizioni tendenti ad un’impossibile “riforma dell’Unione”, andrebbe con ciò a collocarsi nel campo avverso a quello della liberazione dei popoli. Da adesso in avanti nessuna ambiguità potrà essere tollerata. Una sinistra incapace di fare i conti con la novità storica del voto britannico meriterà soltanto la pattumiera della storia. Viceversa, chi vorrà ricostruire una sinistra all’altezza dei tempi, dovrà partire proprio dalla concretezza della nuova situazione, misurandosi con le nuove forme della rivolta contro il blocco dominante, coniugando la questione di classe con quella nazionale, lavorando per la costruzione di un ampio fronte politico-sociale in grado di ribaltare l’attuale assetto di potere.
7. Contrastare la risposta delle oligarchie euriste – I centri del potere eurista sono adesso in bambola, ma presto arriverà una loro risposta allo schiaffo appena subito. Nell’impossibilità di rilanciare il disegno degli Stati uniti d’Europa, al quale nessuno ormai crede, il tentativo sarà quello di riproporre un’Unione a geometria variabile, con un forte centro euro-tedesco e satelliti con orbite differenti. Tutto ciò non tanto in nome di un vero e proprio progetto che non c’è, ma come segnale preventivo nei confronti di chi volesse seguire l’esempio britannico. Insomma, non un’Unione più capace di attrarre, bensì una gabbia unionista maggiormente capace di punire. Contro questa possibile ulteriore svolta autoritaria occorre una mobilitazione immediata in tutti i Paesi.
8. Per la fratellanza tra i popoli – Per ragioni storiche, economiche, culturali e linguistiche le nazioni europee sono destinate a vivere ancora molto a lungo. Una volta smantellata questa Unione oligarchica e neoliberista, spetterà ai diversi popoli europei, dall’Atlantico agli Urali, decidere se e come associarsi, dando vita ad una Confederazione che faccia della fratellanza la sua stella polare, quindi la pace, la democrazia e la giustizia sociale i propri principi politici.
9. Il NO d’autunno anche come NO all’Unione Europea – In Italia tutto ciò significa, in primo luogo, la necessità di rafforzare la mobilitazione per respingere la controriforma costituzionale di Renzi. Se ad ottobre il NO vincerà, le conseguenze non saranno soltanto nazionali. Al contrario esse si sentiranno immediatamente nei palazzi del potere europeo. Anche la controriforma Boschi-Renzi è stata “voluta dall’Europa”, e la vittoria del NO aprirebbe scenari inediti, certamente più favorevoli alla lotta contro la gabbia eurista.
10. Programma 101 – Programma 101, che terrà nei prossimi giorni la propria assemblea nazionale a Chianciano Terme, fa appello a tutte le forze che si riconoscono nell’esigenza di un salto di qualità nella lotta al sistema eurista, affinché esse si uniscano per far fronte alle necessità del momento. Si è a lungo parlato di un nuovo Comitato di Liberazione Nazionale. Si sta avvicinando il momento in cui bisognerà passare dalle parole ai fatti. La Brexit ce lo dice chiaramente.
Movimento di liberazione popolare Programma 101 (P101)