Perché M5S ha ragione a rifiutare i pasticci del Palazzo, mentre ha invece torto nel riproporre la propria legge sul modello spagnolo

La danza attorno all’Italicum prosegue con la scivolosa mozione di Sinistra Italiana

Qualche giorno fa ho sostenuto che Renzi non può fare retromarce sull’Italicum, ed ho cercato di spiegare il perché. Per essere più chiaro, e per evidenziare il caos generato dalle leggi dell’attuale governo, ho anche scritto che: «La legge elettorale è in palio al referendum d’ottobre, prima non si potrà fare niente».

Così stanno le cose, questo lo sanno tutti. Ma proprio per questo il Palazzo è in subbuglio. Un fatto che ce lo dimostra è la calendarizzazione nel programma dei lavori della Camera di una mozione di Sinistra Italiana. Come si legge sull’omonimo sito «La mozione chiede di cambiare l’Italicum, almeno nei suoi aspetti più discutibili e di dubbia costituzionalità (capilista nominati e abnorme premio di maggioranza al ballottaggio)».

La discussione sulla mozione avverrà a settembre. Di per sé il voto che ne seguirà non cambierà la legge, ma l’intento dei promotori è chiaro: tracciare le linee di fondo per la riscrittura dell’Italicum dopo lo svolgimento del referendum.

Obiettivo comprensibile, ma anche condivisibile? La risposta è no.

Premesso che voler predeterminare la nuova legge elettorale prima del referendum, è un po’ come pretendere di fare piani dettagliati di ricostruzione prima di un terremoto del quale non si conosce né l’epicentro né l’intensità, il lavorio parlamentare di cui si è fatta portavoce Sinistra Italiana, ma che certo va incontro ai malumori della destra, dei centristi e della minoranza interna del Pd, non va nella direzione di un superamento dell’Italicum, bensì di un suo aggiustamento in base agli interessi delle forze di cui sopra.

Il che è certamente legittimo, la qual cosa non vuol però dire che in questo modo si vada verso una legge davvero democratica.

Tra i sostenitori della mozione vi sono certo le idee più disparate. C’è chi (come Alfano) vorrebbe tornare alle coalizioni per assegnare il premio di maggioranza, chi desidererebbe abolire solo il ballottaggio (che cadrà comunque automaticamente in caso di vittoria del no al referendum), chi vorrebbe una soglia minima al primo turno per assegnare il premio di maggioranza al secondo, chi sceglierebbe il ritorno al Mattarellum, chi come il bersaniano Miguel Gotor vorrebbe il Mattarellum ma con secondo turno di collegio (modello francese). Insomma, una babele. Ma con un punto in comune: la permanenza di un sistema comunque maggioritario.

Ha ragione dunque il M5S nel rifiutare il pasticcio di Palazzo che qualcuno vorrebbe cucinare sull’Italicum. Per come è stato congegnato, per quella che è la sua impostazione ultra-maggioritaria, l’Italicum non può essere migliorato, può essere solo cancellato per fare posto ad una legge completamente diversa.

Insomma, «l’Italicum s’abbatte e non si cambia». Parole che ha giustamente usato anche il pentastellato Toninelli in un’intervista: «Faremo di tutto per abbattere l’Italicum e la strada maestra è quella della vittoria del no al referendum».

Parole che chi scrive condivide in toto, anche se purtroppo non è invece condivisibile la riproposizione della proposta di legge M5S, una sorta di modello spagnolo (un finto proporzionale, che contiene un premio di maggioranza nascosto) che già criticammo duramente a suo tempo.

Se la strada maestra è quella del referendum, la via per arrivare ad un sistema minimamente degno della parola «democrazia» è quella, e soltanto quella, del ritorno al principio democratico di «una testa un voto». Tutti i cittadini devono contare nello stesso modo. Principio tanto più importante nell’era post-Brexit, quando le oligarchie lo vorrebbero invece cancellare del tutto, come l’infame campagna mediatica di questi giorni è lì a dimostrarcelo ad abundantiam. Principio che si traduce concretamente solo in un sistema integralmente proporzionale.

Perché allora ripartire dall’orribile ed antidemocratico Italicum, e non giocarsela invece con il referendum? Il fatto è che Sinistra Italiana, che per adesso più che un partito è solo un gruppo parlamentare, vuol fare da sponda alla «sinistra» Pd. Cioè a quei Cuor di Leone che hanno paura anche della propria ombra, che voterebbero pure sì al referendum se solo Renzi ritoccasse qualche virgola dell’Italicum. Con i sinistritaliani costoro condividono un problema: rientrare in parlamento. Cosa assai più agevole con il ritorno alle coalizioni. E difatti gli uni e gli altri sono oggi sovra-rappresentati alla Camera proprio grazie al premio ottenuto dalla coalizione di centrosinistra nel 2013…

Vedremo quel che accadrà a settembre. Certo Renzi è sempre più in affanno, i centristi attaccano, e la sua maggioranza parlamentare è sempre più in bilico. Ma per ora (le ragioni sono quelle già spiegate) non sembra proprio intenzionato a mollare.

Di certo, sull’altro fronte, non dovranno mollare i sostenitori della democrazia basata sulla Costituzione del 1948. Nessun pasticcio può essere fatto. Le varie forme di maggioritario sperimentate dal 1994 – dal Mattarellum al Porcellum – si sono rivelate solo degli strumenti al servizio delle oligarchie. E’ ora di farla finita con ogni forma di distorsione truffaldina del principio della rappresentanza.

E’ “soltanto” una questione di principio? Non solo, ma certo che è anche una questione di principio. E non sarebbe l’ora che i principi della democrazia prendessero il posto degli imbrogli e dei pasticci del palazzo?