Nella Nato del terzo millennio, le basi militari ospitate in Italia hanno un ruolo fondamentale e insostituibile nelle strategie di guerra. Siamo tutti sempre più nucleari e con logiche di attacco.
Forze armate dotate di mezzi, sistemi d’arma, capacità operative e livelli d’addestramento adeguati, prontamente impiegabili in ambito NATO nei termini richiesti, per lunghi periodi e al di fuori delle normali aree stanziali. Un dispositivo bellico superefficiente in grado di respingere eventuali aggressioni militari che si dovessero manifestare contro l’Italia e i suoi “interessi vitali”, sempre pronto a “rimuovere le minacce” e contribuire alla “difesa integrata” dei territori dell’Alleanza Atlantica e alla “lotta al terrorismo internazionale”. Sono alcuni degli obiettivi strategici prefigurati dal Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa 2015 per quelle che dovranno essere le strutture militari nazionali del prossimo ventennio. Il sogno di un’Italia media potenza internazionale ma sempre più ancorata all’Alleanza Atlantica e al paese leader, gli Stati Uniti d’America. “L’unica strategia in grado di mitigare i rischi relativi è quella di un’attiva partecipazione alla NATO”, spiega il ministero della Difesa. “Perché solo l’alleanza tra europei e nordamericani è in grado di esercitare la dissuasione, la deterrenza e la difesa militare…”.
A ridisegnare status, ruoli e modalità d’intervento della NATO del terzo millennio è il Readiness Action Plan approvato il 5 settembre 2014 al Summit dell’Alleanza tenutosi in Galles. “Le forze NATO saranno in grado di rispondere velocemente e con fermezza alle nuove sfide alla sicurezza, grazie all’utilizzo di un coerente pacchetto di strumenti militari ai confini dell’Alleanza e anche più lontano”, riporta il nuovo piano operativo alleato. Nello specifico, si prevede un rafforzamento nell’Europa centrale ed orientale e un profondo cambiamento della postura delle forze armate per “accrescere le capacità dell’Alleanza nel rispondere ancora più velocemente alle emergenze, ovunque esse si presentino”.
La prova generale della nuova Alleanza si è svolta l’autunno scorso in Italia, Spagna, Portogallo e nel Mediterraneo centrale. Denominata Trident Juncture 2015, è stata la più grande esercitazione NATO dalla fine della Guerra fredda ad oggi, con la partecipazione di oltre 36.000 militari, 400 tra cacciabombardieri, aerei-spia con e senza pilota, elicotteri e una settantina di unità navali di superficie e sottomarini. Grazie a Trident Juncture, la NATO ha simulato gli interventi richiesti nelle guerre moderne, come l’abbordaggio di unità navali, la ricerca, il riconoscimento e l’individuazione degli obiettivi, le operazioni d’infiltrazione ed esfiltrazione, ecc.. L’esercitazione ha inoltre consentito di certificare la piena operatività delle nuove forze di pronto intervento NATO, destinate ad intervenire in qualsiasi scacchiere mondiale. Nello specifico,Trident Juncture ha permesso di sperimentare in scala continentale i corpi d’élite della NATO Responce Force – NRF, dotati delle tecnologie più avanzate in campo bellico e posti gerarchicamente sotto il controllo del Joint Force Command di Brunssum e del Comando congiunto per il Sud Europa di Lago Patria, Giugliano (Napoli). Proprio il JCF di Lago Patria ha ospitato il 2 febbraio 2016 una conferenza dei comandanti delle forze alleate per pianificare la certificazione finale della NATO Response Force attraverso un intenso programma di esercitazioni che avranno luogo in tutta Europa nel biennio 2016-17. Quando sarà completato il programma addestrativo, il Comando alleato campano assumerà la guida della NRF.
Che le basi militari ospitate in Italia abbiano assunto un ruolo fondamentale e insostituibile nelle strategie di guerra NATO è confermato pure dalla scelta dell’Alleanza di svolgere la prima fase “simulata” di Trident Juncture presso la sede del Comando Operazione Aeree dell’Aeronautica militare di Poggio Renatico, Ferrara, oggi a disposizione dell’Alleanza Atlantica per gli interventi della NRF. Nel giugno 2015, a Poggio Renatico è stato attivato il primo sito ACCS che fornisce alla NATO un sistema di comando e controllo unificato per la pianificazione e l’esecuzione di tutte le operazioni di sorveglianza aerea. Altri siti ACCS diverranno operativi in altri paesi dell’Alleanza entro la fine del 2016.
Allo smisurato potere di pronto intervento offensivo della NATO Response Force contribuirà pure il sofisticato sistema di telerilevamento ed intelligence AGS (Alliance Ground Surveillance) che sarà attivato nella base siciliana di Sigonella. L’AGS dovrà fornire informazioni in tempo reale per compiti di vigilanza aria-terra a supporto dell’intero spettro delle operazioni alleate nel Mediterraneo, nei Balcani, in Africa e in Medio oriente. Il nuovo sistema si articolerà in stazioni di terra fisse, mobili e trasportabili per la pianificazione e il supporto operativo alle missioni e da una componente aerea basata su cinque velivoli a controllo remoto RQ-4 “Global Hawk” prodotti dall’azienda statunitense Northrop Grumman. La stazione aeronavale di Sigonella ospiterà sia il Centro di comando e controllo dell’AGS che l’intero apparato logistico e i velivoli senza pilota. Il nuovo sistema s’interfaccerà con l’articolata rete operativa militare e con tutti i centri di comando, controllo, intelligence, sorveglianza e riconoscimento della NATO a livello planetario.
“L’AGS supporterà un ampio ventaglio di missioni NATO come la protezione delle forze terrestri e delle popolazioni civili, il controllo delle frontiere, la sicurezza navale e l’assistenza umanitaria”, ha dichiarato Rob Sheehan, manager di Northrop Grumman. L’azienda statunitense prevede di trasferire i primi droni a Sigonella entro la fine del 2016, mentre per l’avvio delle operazioni si dovrà attendere il 2017. Pure le forze armate statunitensi contribuiranno alla trasformazione di Sigonella in uno dei centri nevralgici a livello mondiale per l’uso dei velivoli senza pilota nei teatri di guerra. La base siciliana è stata prescelta infatti come base operativa avanzata del sistema aereo MQ-4C “Triton”, anch’esso basato sulla piattaforma del “Global Hawk”. Secondo il Comando generale della Marina militare USA, i primi “Triton” inizieranno ad operare dalla Sicilia a partire del giugno 2019. Come se non bastasse, Washington prevede di realizzare a Sigonella uno dei principali centri al mondo per il comando, il controllo e la manutenzione di tutti i droni statunitensi (UAS SATCOM Relay Pads and Facility) assicurando la “massima efficienza operativa durante le missioni di attacco armato e di riconoscimento pianificate dai comandi strategici di Eucom, Africom e Centcom a supporto dei war-fighters”.
La NATO del terzo millennio sarà ancora più nucleare e l’Italia, di conseguenza, vedrà rafforzare il proprio ruolo di piattaforma di lancio per eventuali attacchi con testate atomiche. Attualmente sono due le installazioni utilizzate per lo stoccaggio di armi di distruzione di massa, la base aerea di Aviano (Pordenone) e quella di Ghedi (Brescia). Aviano è sede del 31st Fighter Wing di US Air Force con due squadroni dotati di cacciabombardieri F-16 abilitati al trasporto e al lancio di testate nucleari e in grado di operare regionalmente ed extra-area su richiesta della NATO e del Comando supremo alleato in Europa. Gli F-16 di Aviano sono stati tra i protagonisti di tutti i raid aerei scatenati negli ultimi anni nei Balcani e in Libia. Dall’agosto 2015 sei di questi cacciabombardieri sono stati dislocati in Turchia per contribuire ai bombardamenti contro le postazioni dello Stato Islamico in Siria.
Nei mesi scorsi, le forze armate statunitensi hanno dato vita al potenziamento dei sistemi di protezione dei bunker destinati alla custodia delle testate. I lavori di ristrutturazione rientrano nell’ambizioso programma di ammodernamento nucleare varato dall’amministrazione Obama che prevede nel caso specifico di Aviano e di altre basi USA in Europa la sostituzione delle vecchie testate B61 con le nuove bombe all’idrogeno B61-12. Queste saranno disponibili in quattro versioni (da 0.3, 1.5, 10 e 50 kilotoni), tutte a guida di precisione, e potranno essere sganciate a grande distanza dall’obiettivo, con una capacità di penetrazione nel suolo e una potenza distruttiva nettamente superiori alle vecchie testate. Per il programma di aggiornamento, Washington ha previsto una spesa compresa tra gli 8 e i 12 miliardi di dollari e le testate potranno essere utilizzate con i bombardieri strategici B-2, i cacciabombardieri F-16 e Tornado PA-200 e, a partire del 2020, anche con i caccia F-35 acquistati da alcuni paesi NATO e Israele.
L’Italia contribuisce alle spese necessarie a potenziare i depositi-bunker per le atomiche aviotrasportabili. Il 12 novembre 2014 il Segretariato generale del ministero della Difesa ha firmato un contratto classificato come riservatissimo, del valore di oltre 200.000 euro, per la “progettazione delle opere di ammodernamento del sistema WS3 (Weapon Storage and Security System)”, cioè del sistema sotterraneo di stoccaggio e protezione delle armi nucleari nella base aerea di Ghedi. Nello scalo lombardo sarebbero operativi undici sistemi WS3 sotto la custodia del 704th Munitions Maintenance Squadron dell’US Air Force. L’unità speciale è operativa a Ghedi sin dal 1963 e – come riportato dal Penatgono – ha la “responsabilità di ricevere, custodire ed assicurare la manutenzione e il controllo delle armi nucleari USA in supporto della North Atlantic Treaty Organization (NATO) e delle sue missioni strike”. Secondo quanto previsto dal nuclear burden-sharing, in caso di conflitto le bombe USA possono essere messe a disposizione dei cacciabombardieri “Tornado IDS” del 6° Stormo dell’Aeronautica italiana, anch’essi di stanza a Ghedi e appositamente configurati per l’attacco nucleare. Per addestrarsi allo sganciamento del loro carico di morte, questi reparti di volo dell’Aeronautica utilizzano i poligoni sardi di Perdasdefogu e Capo San Lorenzo e lo scalo di Decimomannu, infrastrutture-chiave per la sperimentazione delle nuove dottrine e tecnologie della guerra globale in ambito NATO ed extra-NATO.